Appuntamenti

Cambiare la prosa del mondo Convegno SIL 2024

Scritto da Segreteria il 09 Febbraio 2024

di Luisa Ricaldone

Sabato 3 febbraio, nei locali della Casa Internazionale delle Donne, si sono incontrate le amiche della Società Italiana delle Letterate intorno al tema Cambiare la prosa del mondo. Con questo titolo, che riproduce un verso della poeta Amelia Rosselli, il direttivo uscente ha inteso evidenziare i nessi particolarmente eloquenti del cambiamento dei linguaggi in corso in questi ultimi tempi. Dalla schwa ai podcast realizzati dalla SIL stessa, dalle modalità narrative e filmiche dell’autobiografia femminile alle questioni inerenti il tradurre in una prospettiva di decolonizzazione di pensiero e linguaggio,  dalle culture antiche alla lingua italiana come lingua di libertà.

I lavori della giornata si sono conclusi con la presentazione del volume Visibile e invisibile. Scritture e rappresentazioni del lavoro delle donne, fresco di stampa, edito da Iacobelli per la cura di Laura Graziano e Luisa Ricaldone. Il volume prende spunto dal Convegno veneziano della SIL del dicembre 2019 ed è costituito da cinque saggi (di Cristina Bracchi, Loredana Magazzeni, Annarosa Buttarelli e delle curatrici) e due dialoghi (Laura Fortini-Laura Pugno, Giulia Caminito-Chiara Ingrao). Introducendo il volume, si è fatto cenno ai workshop che avevano concluso il Convegno, ricordando, fra i numerosi altri, il lavoro di gruppo sui temi della letteratura di emigrazione coordinato da Lidia Curti, al quale il Concorso Lingua Madre aveva trovato un autorevole spazio.

Tra gli interventi, L’italiano come lingua di libertà: l’autoaffermazione e l’accettazione nelle opere delle scrittrici italiane di origine straniera di Claudiléia Lemes Dias è stato particolarmente apprezzato e applaudito.

L’ITALIANO LINGUA DI LIBERTÀ

di Claudiléia Lemes Dias

Per l’intervento al Convegno della SIL Cambiare la prosa nel mondo, oltre alla mia personale esperienza letteraria, ho scelto alcuni testi delle autrici del Concorso letterario nazionale Lingua Madre.

A mio parere, in questi anni, molte di loro hanno saputo discostarsi dalla cosiddetta “letteratura della nostalgia”: al racconto delle peculiarità dei loro paesi di provenienza e/o dai conflitti identitari, autrici di diverse provenienze ci hanno offerto spaccati sulla condizione femminile profondamente intimi e comuni a tutte le donne.

Per le scrittrici di madrelingua non italiana, come me, conquistarsi uno spazio letterario in cui la nostra condizione di “donne migranti” non prevalga sul nostro “essere donne e basta” è un’impresa. Purtroppo, l’immigrazione scelta o subita da noi, oppure dai nostri genitori, è ciò che ancora prevale nelle opere pubblicate dalle grandi o medie case editrici.

La non sottomissione al passato, alle nostre “radici”, e il rifiuto di coltivare ad aeternum la memoria di ciò che siamo state, in ogni opera, anche se ci rende scrittrici marginali nell’ambito dell’editoria italiana, ci porta ad abbandonare il ruolo della vittima o dell’eroina migrante, quella sempre pronta a rivivere il proprio vissuto di sofferenza e di dolore per, alla fine della storia, riscattarsi. Più che altro, abbandonare i ruoli a noi preconfezionati, oltre che trattarsi di una scelta di libertà, ci impedisce di ritornare sempre sullo stesso punto, compromettendo quindi il nostro processo creativo al solo fine di conformarlo a ciò che si aspetta il mercato editoriale.

Scrive la filosofa e professoressa Rosi Braidotti:

(…) per colui che è partito senza rimpianti e senza il desiderio di tornare sui propri passi, il luogo che ha appena lasciato ha una ben minore importanza rispetto a quello in cui si arriverà. Non vivrà più ormai “fuori da questo luogo” ma s’impegnerà sul cammino che porta verso un “non luogo”, verso quell’altrove che dimora per sempre fuori di ogni attesa. Proprio come il nomade, lui sarà sempre a casa sua dovunque metterà piede.

In effetti, per molte scrittrici di madrelingua diversa dall’italiana, questo paese ha rappresentato e rappresenta un luogo di libertà e di autoaffermazione.

Soprattutto nei testi prodotti da autrici provenienti da paesi governati da regimi autoritari – cioè, da donne che hanno subito sulla propria pelle la mancanza di libertà – l’Italia viene vista come un grande pozzo in cui poter affacciarsi per urlare la più intima verità, senza paura o vergogna. Con il giudizio della società di appartenenza o della famiglia lasciata alle spalle si sentono donne libere e provano un senso di gratitudine, come evidenziato nel racconto di Yeniffer Lilibell Aliaga Chávez, vincitrice del CLM 2020:

Ero una donna diversa dalle altre donne peruviane, avevo quasi trent’anni e non avevo una famiglia. Una cosa poi mi faceva sentire diversa più di ogni altra: la mia omosessualità. Il merito di tutte queste diversità nel mio stare al mondo è dell’Italia.

L’Italia mi ha insegnato che l’amore può avere mille colori, che una donna può amare un’altra donna, che una donna può non desiderare di avere dei figli o un marito. Mi ha dimostrato che uomo e donna sono due generi frutto di locali costruzioni culturali. L’Italia mi ha insegnato che non bisogna avere paura di conoscere la diversità. Mi ha insegnato che la diversità non si dovrebbe reprimere o censurare ma vivere e imparare a scoprire.

In Il mio corpo: un posto felice, racconto vincitore del CLM 2022, Diana Paola Agámez Pájaro racconta la nonna in un modo in cui tutte noi possiamo specchiarci ora o nel futuro. Il tema centrale è il corpo, l’erotismo, il volersi bene:

Mia nonna è amica del suo corpo, accetta volentieri che la sua pelle sia scesa e allo stesso tempo sa descrivere le sensazioni che un tempo la nutrivano. Parla senza esitazione del suo corpo e dei figli che da lì sono usciti. La voce assume una tonalità mistica quando ricorda le vibrazioni che le hanno provocato gli orgasmi di una lunga e faticosa vita a fianco allo stesso uomo. Prima del nonno altri uomini l’avevano sfiorata. Molte volte aveva goduto i piaceri dell’amore davanti al fiume Magdalena, sdraiata vicino alla riva, il sole che le tramontava fra le gambe.

Penso che come scrittrice, come donna che si è scoperta libera scrivendo in italiano, sia imperativo rendere altre donne più consapevoli della loro potenza, della bellezza dei loro corpi e delle infinite possibilità che la vita ci concede, quando intraprendiamo un percorso di autoaffermazione e di accettazione del sé.

Sebbene i piaceri del corpo, il godimento della vita, l’autoerotismo, il sesso e i suoi tabù, siano temi poco trattati negli scritti delle autrici di origine straniera, trovo che la scrittrice italo-bulgara Guergana Radeva, vincitrice della VI edizione del CLM, abbia infranto e sfidato questo silenzio editoriale nei suoi romanzi La vergine puttana e altri tranelli del corpo e dell’anima e Rosa Canina, essenze e spine dell’eros, che troverete su Amazon.

Sono convinta che gli scritti delle donne che abbiano vissuto un processo di migrazione “da grandi” e per scelta, donne che abbiano liberamente deciso di re-esistere e resistere da tutt’altra parte rispetto ai loro luoghi di nascita, possano servire da guida ad altre donne, soprattutto quando vivono in contesti di violenza domestica. A tutte servono fonti di ispirazione al femminile.

Gli scritti di Clarice Lispector, ad esempio, illustrano questo bisogno delle donne di dimenticare il passato, di ricominciare e di ricostruirsi. Le protagoniste dei suoi romanzi e racconti respirano a pieni polmoni il tempo presente e la loro condizione di donne. Ciò è stato possibile perché Lispector – nata in Ucraina, ma arrivata in Brasile all’età di due anni – non ha avvertito, come ci insegna Braidotti, il desiderio di tornare sui propri passi, andando oltre il processo migratorio che ha dovuto subire da bambina e trasformandosi, così, in una delle maggiori scrittrici brasiliane del XX secolo.

Di certo, ciò che osserviamo in molti dei testi disponibili sul sito del CLM e sulle antologie pubblicate ogni anno da Seb27, è l’emanazione di un qualcosa che vale ogni secondo di fatica di questo nostro viaggio: la libertà di poter essere e scrivere ciò che vogliamo, non ciò che ci viene imposto.

Dopo aver esordito con la raccolta di racconti Storie di extracomunitaria follia (2008), nella quale mi soffermavo sugli stereotipi appioppati ai migranti, ho compreso di dover fare un’inversione di marcia, mettendo a frutto ciò che stavo imparando sulla società italiana e su me stessa. L’osservazione del microcosmo delle famiglie borghesi mi ha portato a scrivere Nessun requiem per mia madre (Fazi Editore, 2012), un romanzo nel quale affronto il tema del rapporto madre-figlio, il classismo, il razzismo e la negazione della malattia mentale all’interno delle famiglie borghesi. Successivamente, in Anatomia del maschio invisibile (Erudita, 2016), ripubblicato come Biografia non autorizzata di un marito narcisista (Youcanprint, 2019) parlo della crisi di coppia.

La decisione di andare oltre i temi legati alla migrazione mi ha portato alla creazione del blog di autoaiuto Arte di Salvarsi nel 2015, molto seguito anche in Germania dalle/dagli italiani. Nel 2019, il blog ha vinto il premio Mytherapy come miglior blog di salute mentale in lingua italiana e ad oggi ha raggiunto oltre 13 milioni di visualizzazioni. Traducendo e scrivendo testi che spiegavano cosa fosse e come identificare la violenza psicologica – ovvero tutto ciò che precede la violenza fisica – ho imparato che prima di uccidere una donna, un uomo l’ha già uccisa infinite volte nella mente, e anche psicologicamente. Oltre ai femminicidi che leggiamo sui giornali, ogni anno circa 14 mila donne finiscono nei Pronto Soccorso italiani vittime di violenza fisica. Nel confrontarmi con le tante lettrici del blog ho compreso quanto fosse irrilevante la mia nazionalità.

Una ricercatrice e studiosa che stimo molto, Federica Angelini [la vincitrice per il 2014 di “Tesi in Con-corso”, iniziativa promossa dal Concorso Lingua Madre e dalle Biblioteche civiche torinesi] nel suo libro Il pensiero nomade: scrittrici migranti raccontano l’Italia multietnica, edito da Vertigo, così scrive:

Bisogna augurarsi per il futuro che lo spostamento di genti sia sempre più una scelta per vivere, invece che un’impellente necessità per sopravvivere. Ciò farebbe in modo che l’esilio volontario, la migrazione o il nomadismo che si voglia intraprendere per il proprio cammino sia sempre meno la storia “delle cose che ci lasciamo alle spalle” e sempre più la storia “delle cose che vengono dal futuro”.

È un augurio che sento di sottoscrivere, riaffermando la mia gratitudine nei confronti dell’Italia, un paese nel quale mi sono scoperta non solo scrittrice ma anche, e soprattutto, come donna libera.

Questo il programma completo del Convegno SIL e di seguito le foto dei due interventi, tratte dalla pagina Facebook Società delle Letterate.