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"AMBIENTE DICKINSON" Il nuovo libro di Daniela Fargione

Scritto da Segreteria il 10 Febbraio 2014

S’intitola AMBIENTE DICKINSON – poesie, sculture, nature, il nuovo libro di Daniela Fargione, Docente di Lingua e Letterature anglo-americane dell’Università di Torino e parte del gruppo di studio del Concorso Lingua Madre. Corredato delle opere di Matilde Domestico e con un saggio di Barbara Lanati, il volume è frutto di diverse collaborazioni e intrecci artistici (critica letteraria, poesia, scultura, fotografia). Domenica 16 febbraio, alle ore 18.oo, nell’ambito del Contemporary Art Talent Show di Genova, si terrà il primo incontro di presentazione del libro.
Aveva sedici anni, Emily, quando si mise in posa per l’unico ritratto certo di lei esistente, un dagherrotipo del 1846 che ce la consegna seduta su una seggiola, con indosso un abito scuro, i capelli raccolti in una crocchia e un’aria austera. Il braccio destro è posato su un piccolo tavolo rotondo ricoperto da un tappetino persiano su cui giace un libro chiuso. La mano sinistra stringe una rosellina bianca. Un libro, un fiore. I due fattori estremi di un’unica equazione esistenziale (Dal capitolo “Il giardino di Emily”).

Ambiente Dickinson, è innanzitutto l’indagine dei vari ambienti in cui visse e operò il “mito di Amherst”, primo dei quali la Homestead paterna, un’enorme casa di mattoni rossi circondata da un ampio giardino. È lì che tra il 1830 e il 1886 si consumò un’esistenza complessa ed enigmatica, capace ancora oggi di generare interrogativi sulle relazioni tra dimora umana, ruoli di genere, natura e scrittura femminile. Tali relazioni, qui affrontate con un approccio ecocritico, intendono dimostrare come la dissacrante poesia di Emily Dickinson fosse un potente veicolo di sovversione della predominante ideologia della domesticità e al contempo sonoro controcanto della retorica del dominio. Ne consegue che, al fine di valutare il suo apporto al discorso sulle interrelazioni tra la natura e la cultura americana del diciannovesimo secolo, occorre collocare la sua opera in una prospettiva di netto contrasto con la tradizione del tempo. Pur non dimostrando mai una piena consapevolezza ecologica, e dunque raramente considerata “nature poet” a tutti gli effetti, Emily Dickinson offrì (come tutti gli ecopoeti secondo le indicazioni fornite da J. Scott Bryson) “una visione del mondo che riconosce il valore dell’interrelazione tra due […] desideri interdipendenti, entrambi tentativi di rispondere all’attuale divorzio tra l’umanità e il mondo più-che-umano”, mondo che la poetessa esplorò dai suoi personalissimi osservatori (le colline e i boschi circostanti, il giardino di casa, la stanza al primo piano) per approdare alla moderna conclusione che tale “conoscibilità” ha limiti che né il patriarcato, né la Chiesa e nemmeno la scienza sono in grado di superare.