La conquista del sud (e del resto del mondo) Lidija Pisker al Taranto Mediterraneo Slow
Scritto da Segreteria il 18 Giugno 2025

Domenica 15 giugno la vincitrice CLM Lidija Pisker è intervenuta all’incontro Il cibo che unisce. Storie di viaggi, radici, contaminazioni che si è tenuto all’interno della manifestazione Taranto Mediterraneo Slow organizzata da Slow Food Italia, partner del Concorso. Insieme all’autrice, Mareme Cisse (Senegal) – cuoca del ristorante Ginger-people&food di Agrigento –, Carmelo Roccaro – presidente della cooperativa sociale Al Kharub e parte di Slow Food Sicilia – e Safa’a Ghalith (Palestina) – tecnologa alimentare, alunna del Master in Local Food Policy. A moderare Serena Milano, direttrice di Slow Food Italia. Un’occasione per parlare della dieta mediterranea, che si fa cultura, identità, memoria e al contempo simbolo di cambiamento.
resoconto di Lidija Pisker
Sono partita per Taranto con due barattoli di ajvar nello zaino e sul pullman ho mangiato dei panini spalmati della stessa salsa.
Il viaggio è stato lungo, caldo e un po’ scomodo, come spesso succede quando ci si muove in Italia. Ma due giorni dopo sono tornata a Roma soddisfatta: l’ajvar ha ufficialmente messo piede nel sud Italia.
Da quando ho vinto il premio Slow Food – Terra Madre della XX edizione del Concorso letterario nazionale Lingua Madre con il racconto Barattoli (e scritto un articolo sull’ajvar per BBC Travel) mi ritrovo ambasciatrice – involontaria ma devota – di questa mia amata salsa. Gli amici non balcanici mi chiedono come si fa, dove comprarla e sono sempre più curiosi di assaggiarla.
Ed eccomi anche allo Taranto Mediterraneo Slow, un evento di Slow Food Italia, a parlare di ajvar e delle divertenti liti tra i popoli balcanici sulla sua origine.
Qualche anno fa, quando è uscito il mio articolo sull’ajvar sul sito della BBC, ho ricevuto decine di messaggi ed e-mail. Tutti molto appassionati, qualcuno anche gentile con un complimento qua e là, ma ognuno diceva la sua: “L’ajvar è bulgaro!”, “È croato!”, “È macedone!”.
Nell’articolo avevo semplicemente puntualizzato che la prima nella storia a pubblicare la ricetta dell’ajvar è stata una cuoca serba. Non che la salsa sia serba. Era un articolo giornalistico, basato su fonti verificate. Ma i fatti, in certi contesti, valgono meno dei sentimenti.
Che la BBC abbia dedicato un articolo all’ajvar è stata gia una notizia. Tanti media dei Balcani l’hanno ripreso e tradotto nelle nostre lingue: “La BBC ha scritto della salsa serba”, “Ajvar, la salsa croata, finisce sulla BBC”, “Orgoglio macedone: anche la BBC parla del nostro ajvar”.
A seconda del paese cambiava la nazionalità della salsa. Potete immaginare come erano i commenti sui social!
Ma quella che sembra una polemica è, in realtà, il riflesso di un bisogno profondo di identità. Nei paesi nati dopo la guerra in Jugoslavia, la cucina è diventata uno strumento per raccontarsi, per distinguersi, per essere unici. E quello che una volta era un bene comune – come l’ajvar – adesso ognuno dei nostri giovani paesi lo stringe tra le mani come farebbe un bambino con il suo giocattolo, dicendo: “È solo mio”. Ma siamo ancora giovani. Ed è normale comportarsi da bambini.
Un piccolo sondaggio che ho fatto con il pubblico all’inizio del mio intervento a Taranto mi ha fatto capire che quasi nessuno conosceva l’ajvar. Alla fine in tanti volevano assaggiarlo.
E così, dopo la conferenza, i barattoli che ho portato sono finiti nelle mani (e spero anche nello stomaco) di un gruppo di studentesse e studenti magistrali in food policy provenienti da Canada, Giappone, Palestina, Africa del nord e Scandinavia. Gli ho spiegato al volo come si mangia: sul pane, con il riso, con la carne, con tutto.
Sono sembrati entusiasti. Ed io orgogliosa.
Come ogni diplomatica con un sogno ho un’ambizione sempre più chiara: far diventare l’ajvar famoso quanto – se non più – del suo cugino hummus.
Aprile l’ho passato a Gorizia, e ovviamente ho portato con me l’ajvar, convinta che sarebbe stata l’occasione giusta per farlo conoscere. Tanti incontri, tante persone del posto… E le persone locali mi dicevano: “Ajvar? Ma certo che lo conosciamo!”.
E in effetti l’ho trovato ovunque a Gorizia, in negozi grandi e piccoli, tra i barattoli di conserve locali. Sembra che il nord-est non sia ajvar-free come Roma, dove lo trovi solo nei negozietti arabi o dell’est Europa, accanto alla tahina libanese e alla zacusca romena.
A Gorizia signor Ajvar era già arrivato, e senza di me. Avrei potuto evitare di tirarmi dietro una valigia con quattro barattoli.
Ma vabbè. Il nord-est è già conquistato. Ora si punta sul sud (e sul resto del mondo).
Foto di Lidija Pisker e Serena Milano.
Qui il comunicato stampa del festival.