Le mie pietre sono aquiloni Intervista all’artista e autrice CLM Bahar Heidarzade
Scritto da Segreteria il 05 Luglio 2024
di Elena Pineschi
In occasione dell’apertura della mostra Le mie pietre sono aquiloni, l’artista iraniana Bahar Heidarzade racconta la sua nuova esposizione che sarà aperta tutta l’estate, fino al 3 novembre 2024, presso il Castello Scaligero di Malcesine, con la curatela di Marina Pizziolo e Romano Ravasio e il patrocinio della Fondazione Puzzilli, che con il Progetto Agata sostiene le donne che hanno subito violenza.
Questo è infatti il centro di riflessione delle opere, insieme al peso dei ricordi. L’artista sa far coincidere la semplicità di alcuni oggetti cardine con la complessità dei messaggi veicolati. Lo stesso titolo della mostra ne è una piena descrizione: se i ricordi da una parte sono considerati come memorie di violenza, dall’altra possono essere simbolo di speranza, ma solamente se condivisi. Solo a questo punto diventeranno aquiloni, fonte di una nuova libertà.
In passato vincitrice del Premio Speciale Fondazione Sandretto Re Rebaudengo del XIV CLM con la foto Parlo con te, l’autrice spiega in questa intervista ciò che si cela dietro alle sue creazioni artistiche.
Qual è il significato della forte contrapposizione simbolica nel suo lavoro e come ha voluto rappresentare visivamente la violenza contro le donne?
Sono nata in un paese dove le donne vengono limitate nelle loro possibilità e appesantite da molti divieti. Ho lasciato il mio paese per poter essere libera e portare la voce del mio popolo e delle donne, perché venga sentita dagli altri.
Le mie ricerche si concentrano da sempre sul peso dei ricordi che infatti in questa mostra sono simbolicamente rappresentati con le pietre.
Sono realizzate da me in cartapesta, utilizzando fogli di quotidiani con notizie di attualità negative a dimostrazione di come anche il discorso pubblico e sociale influenzi il benessere psicofisico di ogni singola persona.
Nella grande Sala Labia del Castello Scaligero abbiamo installato 151 pietre sospese. Al centro, a terra, è proiettato un video in cui sono sdraiata, schiacciata da una pietra enorme, il carico del dolore degli altri.
Su una parete viene invece proiettato un altro video, la performance Stone XXL che è stata ripresa per le vie del borgo di Malcesine: si tratta della condivisione di una fatica, la liberazione collettiva da questo dolore.
Negli spazi esterni del castello ci sono, infine, una serie di installazioni con un filo d’oro che collega le varie parti.
Tutto questo, NON per piangere le vittime di ieri, ma per salvare le donne di domani.
Un tema importante e ricorrente nella sua opera è appunto il ricordo: non solo necessario per conservare memorie positive, ma soprattutto per non dimenticare. Può spiegarci meglio come questo non si esaurisca – come lei stessa sostiene – in una ricchezza privata e personale, ma dell’intera collettività?
I ricordi giocano un ruolo importante nella nostra vita, senza che ce ne rendiamo conto. Oggi siamo costituiti dai ricordi formatisi nel passato. Ognuno/a di noi è alla ricerca dei ricordi di ieri per ritrovare se stesso/a, le proprie radici. Non sono solo i bei ricordi che ricordiamo, ma cerchiamo di dimenticare i brutti ricordi, quando in realtà possono svolgere un ruolo importante nel plasmare la vita presente e futura, la nostra e quella di tutte le persone con cui siamo in relazione nella società.
Nella mostra unisce la materia dei sassi, la multimedialità del video e la sua stessa fisicità di artista (aspetto che già si verificava nella foto con cui aveva vinto il Concorso Lingua Madre). Che valore dà alla messa in discussione del suo corpo in prima persona – non solo come produzione di qualcosa – nelle opere che realizza?
Sì utilizzo diversi media per raccontare le mie storie personali e sociali, ogni media gioca il proprio ruolo e comunica con il pubblico. Li scelgo in base al messaggio che voglio trasmettere. E metto il mio stesso corpo nelle performance per raccontare quello che ho vissuto e toccato; in realtà, a mio parere, io stessa sono una sorta di riproduzione ed è il mio corpo che comunica con il pubblico e il pubblico con me. L’energia scambiata è indescrivibile.
Può raccontarci cosa aveva voluto esprimere con la sua fotografia Parlo con te?
È un’installazione che rappresenta coloro che scappano dal proprio Paese, rischiando la vita per trovare un futuro migliore che lì non hanno. Sono stata anche io tra queste persone per ritrovare la libertà perduta, per riconquistare l’identità che mi è stata presa e dimenticata. Nella foto guardo il pubblico, ma il resto del mio viso è coperto da una maschera di gesso. I miei occhi, e non le mie labbra, parlano di quanto ho visto.
Quali i suoi progetti futuri?
Ho diversi progetti fotografici e uno di pittura unita alla scultura a cui sto lavorando da circa un anno. Inoltre è attualmente in corso un’altra mia personale alla galleria Riccardo Costantini Contemporary a Torino, intitolata 10 anni. Dieci anni in cui non torno in Iran da quando me ne sono andata. Qui il comunicato stampa e alcune opere.
Questo invece il comunicato della mostra di Malcesine con le foto di Jairo Trimeloni.