Coronavirus: e le donne?

Pagina 40 di un nuovo taccuino Il commento di Simona Cleopazzo

Scritto da Segreteria il 26 Maggio 2020

Coronavirus: e le donne?
Continuano le risposte all’invito a riflettere sul tema lanciato nei giorni scorsi dal CLM. Ecco il commento  dell’operatrice culturale, scrittrice e femminista Simona Cleopazzo.

Pagina 40 di un nuovo taccuino

Tutti parlano di tempo rallentato, di shock, di catastrofe, ma sono giorni, settimane ormai che non mi fermo un attimo. Se continua questa emergenza sanitaria impazzirò. L’aderenza a questa nuova realtà mi costringe a monumentali sacrifici. Mi sento stanca, e stanca è dire poco. Vorrei premiare la mia vigliaccheria, invece faccio torte e pane seguendo le istruzioni online, affianco le mie figlie e le aiuto a fare i compiti, esco a fare la spesa settimanale dopo aver redatto una lista impeccabile, pulisco lo sgabuzzino, mando vignette sceme al gruppo delle mamme o commento le loro con la faccia che ride, lavo i vetri, faccio di tutto, cantiamo dai balconi di casa, vado d’accordo con mio marito, sorridiamo ai vicini, taglio la frangia a mia figlia Alice, coloro con una crema all’ammoniaca la mia ricrescita.
Passano i giorni.

Fotografia “Alma 2” di Brunella Pernigotti

Oggi io scrivo. Non voglio fare l’archivio di me stessa su questo nuovo taccuino, ma qualcosa la devo pur scrivere e per scrivere bisogna spalancare le porte, la vita vera accade se spalanchi le porte. Mentre lavi i piatti, mentre dormi, mentre fai lo shampoo, mentre sei in fila al supermercato. Questa è la vita vera, ora. Questo è il mondo, ora. In queste pagine deve entrare tutto per intero in favore della memoria. Persone in carne e ossa, strade fatte di asfalto, sole alto, semafori impallati, gatti che dormono, chiacchiere, complotti e discorsi seri, litigi, sorrisi. Tutto deve entrare. Questa è già letteratura, ma se voglio spingermi oltre devo aprire una porta, spalancarla sì, ma sulla crepa. La posso aprire d’un tratto o aprire piano piano, la letteratura è lì. Dietro la porta c’è una verità. In questi giorni sento parlare di speranza e resilienza. Che orrore queste parole! La speranza è dei borghesi, la resilienza di chi si adatta. Parole astratte. Parole che mi colgono di sorpresa, nel quotidiano, che servono a scoprirmi, che segnano il mio rapporto con questa terra bipolare. Arida e generosa. Ma ora è necessario guardarsi intorno, non solo dentro. Ora bisogna spingersi oltre, bisogna raccontare la vita con altre parole, gli elementi linguistici ordinari non bastano più, la vita è dappertutto. Il mondo si è fatto più piccolo e la parola esplode in mille modi. Gli italiani parlano, si lamentano, resistono, giudicano, amano, rinnegano. Gli editori dicono di scrivere un romanzo ben ordinato e di evitare i piccoli racconti, quelli non si vendono. Ma non scriverò un romanzo per questo motivo. Questo è un periodo soglia, tutto si trasforma, anche la letteratura deve farlo. È l’effetto chiamato battito d’ali di farfalla, un gesto fatto in Cina settimane fa da una persona ha avuto effetti devastanti in tutto il mondo. E non vi piace più la globalizzazione? Decine, centinaia, migliaia, milioni di persone si sono ammalate, si ammaleranno. Una percentuale morirà. In questo momento non si può assecondare il mercato, è necessario dire la verità e la dirò in questo taccuino. Ci siamo svegliati e ci siamo scoperti esseri finiti. Un piccolo virus ha scoperchiato i dolori del pianeta, la vita da ordinaria e normale è diventata straordinaria. Un piccolo virus. Ma nulla accade a caso, c’è sempre una causa a determinare tutto. Cadono le leggi fisse dell’universo, cadono gli stereotipi sui meridionali, cadono le certezze, cadono le speranze. Non torneremo mai più all’altro ieri. Questo è l’inizio di una nuova epoca consapevole. Il dolore non è
ancora ben distribuito. Siamo tutti a casa, esclusi medici e indisciplinati. Le strade vuote decretano la nostra paura. Non ritorneremo più su un treno affollato, su un autobus che ci schiaccia le membra, sulle macchine a percorrere inutili chilometri. L’Italia ostenta la sua fiducia dai balconi, ma il decalogo dei dolori è chiaro a tutti. La grande opportunità però è quella di ripensarci. Ci evitiamo, ma sorridiamo dentro una mascherina. Abbiamo una seconda possibilità, una mela per pranzo, lo spirito in sommossa, un balletto di idee, le mani in guanti di plastica, il sonno da recuperare, un taccuino come testimonianza di vita. Snocciolo le parole. Mi arrampico sui discorsi. Sbriciolo i pensieri. È caduto il cielo. Le cose accadono nel momento di massimo splendore, senza dare il preavviso. La luce del cielo sfuma, i palazzi si mettono in fila, il giorno abbandona la scena, la vita continua in silenzio, la notte si affaccia timida, i gatti spazzolano i croccantini nei piatti lasciati ai bordi dei marciapiedi, i bimbi si addormentano nelle case, le mamme leggono, i padri lavano i piatti, alcune persone fanno i turni sfiancanti in ospedale, la città non è  più pronta a servire migliaia di cicchetti rum e pera a sette euro. Ora che sta rallentando il corso della storia e abbiamo messo una toppa alla geografia, i sussulti della terra sono chiari. L’io ha bisogno di “essere raccontato”, in quest’urgenza ci riconosciamo tutti.

 

La fotografia “Alma 2” fa parte della mostra Mani – sostantivo femminile plurale dell’autrice CLM Brunella Pernigotti.