Coronavirus: e le donne?

Lo spazio Il commento di Migena Proi

Scritto da Segreteria il 15 Maggio 2020

Coronavirus: e le donne?
Continuano le risposte all’invito a riflettere sul tema lanciato nei giorni scorsi dal CLM. Ecco il commento  dall’autrice CLM Migena Proi.

Lo spazio

Da inizio Marzo sono confinata nella città di Ancona, città nella quale vivo da un anno. Prima dell’arrivo del virus e delle conseguenti misure restrittive, la mia settimana si svolgeva ad Ancona e il fine settimana prendevo il treno e raggiungevo Montelupone, dove vivono I miei genitori.
L’obbligo di abitare le quattro mura senza possibilità di frequentare spazi esterni, mi ha spinta verso me stessa e mi ha incoraggiata a ridefinire e dare un senso nuovo allo spazio vissuto. La memoria ripercorre in maniera sparpagliata I luoghi dove negli ultimi 12 mesi sono stata felice. Luoghi che ho attraversato con leggerezza, li ritrovo ora pieni di vissuto emotivo e provo verso di essi un senso di gratitudine: gli alberi in autunno in Viale Vittoria; il mercatino degli archi con prodotti locali; la colonia felina sul molo che porta alla lanterna rossa; il cinema Azzurro dove una domenica mattina mi sono commossa guardando Il Mago di Oz in versione restaurata; le bancarelle di libri usati in Piazza Cavour dove ho scoperto Lalla Romano ed Erica Jong; la videoteca dove ho comprato il dvd del film tratto dal romanzo di Chuck Palahniuk Soffocare.

Fotografia “Laboratorio di D.Castaldo 6” di Brunella Pernigotti

Questi luoghi, sebbene non distanti da me nella realtà, sono impossibili (per il momento, certo!) da raggiungere e questo conferisce a me una sensazione di malinconia e dona a quei luoghi sacralità.
Gli spazi che ero solita frequentare a Montelupone sono ancora più lontani in termini di chilometri e, oltre alla malinconia, sento per essi un intenso desiderio. Penso al panificio situato al centro storico dove andavo il sabato mattina a comprare le paste. Di quel panificio mi manca lo spazio molto stretto di fronte al bancone dove attendevo di essere servita dalla commessa. Solitamente siamo in tre ad aspettare il nostro turno e quell’annullamento delle distanze mi invita sempre a uno sguardo più attento alle persone che mi circondano. Osservo le loro scarpe, ascolto attentamente le loro parole, mi soffermo sulle loro mani e cerco di indovinare il mestiere che fanno. A volte con curiosità morbosa osservo gli scaffali. È davvero un panificio essenziale: vendono della farina e poche altre cose fatte da loro, eppure la possibilità di tornare in quel luogo che sembra essere cosi da sempre – un luogo profumato di pane appena sfornato – dona senso al tempo terreno. Poi, desidero lo spazio della mia camera a Montelupone. La prospettiva della vita da quelle mura dove una facciata è piena di libri è totalmente diversa dalla prospettiva che mi si da in qualsiasi altro angolo del mondo. La sera, dopo la cena con i miei genitori, mi sedevo sul mio letto con in mano un libro e osservavo tutti i miei libri. Il mio pensiero ossessivo è come organizzare la libreria: vorrei regalare qualche libro per fare spazio ad altri, eppure non so mai bene di quale libro posso fare a meno. Un periodo ero una lettrice assidua di Osho. Adesso non lo leggo più, probabilmente quello di cui avevo bisogno l’ho già appreso da lui. Eppure non riesco a togliere i suoi libri dallo scaffale, potrebbero sempre tornarmi utili. Anche qui ad Ancona ho la mia piccola libreria, sebbene non ci sia il libro che ho sempre portato con me nei diversi luoghi dove ho vissuto per studio o per lavoro: il libro dell’inquietudine di Fernando Pessoa. Non l’ho portato con me per un senso di cura: il libro l’ho comprato alla libreria che si trovava all’ingresso del mio liceo a Recanti nel 2002 e ora inizia a essere anziano. Le sue pagine si sono ingiallite e alcune di esse staccate. Preferisco pensarlo al sicuro nella mia casa a Montelupone.

Mentre uso la mia memoria per godere dei luoghi che mi sono cari ad Ancona e a Montelupone, nelle passeggiate pomeridiane nel giardino di casa mi incanto ad osservare la gazza appoggiata sul comignolo, osservo come I rami degli ulivi seguono il ritmo del vento e come la farfalla bianca gira intorno alle piante di fava.
Ho la sensazione che lo spazio fuori dalla mia vista in questo tempo che dura da due mesi, mi sia diventato un luogo estraneo. Le strade e le città non sono diverse dagli umani e quando te ne allontani per un po, devi ri-conoscerle perché non sai mai come loro siano cambiate in tua assenza. Non sai nemmeno come tu sia cambiata in loro assenza e l’idea dell’incontro con questi spazi provoca l’angoscia che si coglie di fronte all’inatteso. Quello che esattamente sento posso solo spiegarlo con un mio sogno ricorrente da sempre: devo salire delle scale eppure queste scale, man mano che provo a salire, si ampliano e si restringono. Sono scale che pendono da un lato, solitamente a destra e spesso non fanno nemmeno parte di edifici ma sono come sospese nel nulla. Non riesco mai a salirle, il sonno si interrompe e con gli aperti mi rimane addosso la sensazione di uno spazio che non riesco a dominare.

In questo strano tempo della storia umana, sembra che solo il linguaggio del sogno possa descrivere con precisione il mio rapporto con la realtà.

 

La fotografia “Laboratorio di D.Castaldo 6” fa parte della mostra Mani – sostantivo femminile plurale dell’autrice CLM Brunella Pernigotti.