Siamo tutti sulla stessa barca Il commento di Jelena Zivkovic
Scritto da Segreteria il 08 Maggio 2020
Coronavirus: e le donne?
Continuano le risposte all’invito a riflettere sul tema lanciato nei giorni scorsi dal CLM. Ecco il commento dall’autrice CLM Jelena Zivkovic.
Siamo tutti sulla stessa barca
Finalmente il mondo si è allineato, ora abbiamo tutti le stesse paure – della solitudine, della povertà e della malattia.
Sì, è vero, l’abbiamo sempre avuta, solo che per anni è rimasta nascosta ed ora è esplosa in tutta la sua grandiosità.
Adesso siamo tutti uguali, almeno per un po’.
Era difficile spiegare cosa significa avere la madre in una clinica lontana dove sta morendo senza poterla vedere o tenerle la mano. Era difficile spiegare cosa significa non poter festeggiare insieme ai tuoi cari i compleanni, le lauree, andare al cinema o stare a cena. Non essere stati al funerale del padre. Non aver potuto festeggiare il matrimonio della sorella. Era difficile raccontare la solitudine di chi rimane chiuso in casa per giorni o settimane perché è in difficoltà e non c’è nessuno che possa aiutarlo.
Questo non significa che il nostro dolore fosse più grande. Il dolore è dolore e non si può misurare. Solo che ora è stato sdoganato. Questo dolore esiste.
Il dolore della solitudine, della lontananza, della mancanza, dell’incertezza. Un dolore e un vuoto che, voltandosi dall’altra parte per non vedere, sembrava che non riguardasse tutti e fosse quindi più sopportabile.
Non ho mai invidiato i soldi, le case, i vestiti. L’unica cosa che ho invidiato da quando ho lasciato l’ex Jugoslavia è sempre stata la vicinanza della famiglia. Quando vedevo i nonni aspettare i nipoti davanti alla scuola o programmare insieme le gite domenicali.
Questo silenzio è il silenzio al quale siamo abituate. Assordante. Dove i nostri sentimenti sbattono di qua e di là come delle campane impazzite ma le sentiamo solo noi. Adesso il silenzio ha avvolto tutti. E’ tutto ovattato e prevedibile e si può quasi toccare con la mano.
Siamo tutti attaccati al computer e ai cellulari per avere notizie di chi amiamo. Ci mandiamo le foto con la vista dalla finestra, le foto dei figli soli davanti alla torta di compleanno e del cibo fatto in casa che avremmo tanto voluto condividere.
Il mio pensiero va a tutte noi, alle donne sole, alle immigrate, ammalate, disoccupate, lontane dai loro cari, chiuse con chissà chi durante questa quarantena. Alle donne che non vengono credute anche quando trovano la forza di parlare. A noi che diventiamo fragili quando i nostri figli fanno i conti con le nostre solitudini, a noi, donne forti, che sappiamo condividere, perdonare, capire, andare avanti.
Un abbraccio speciale a mia figlia che studia in Canada e che dovrebbe rientrare in Italia ad agosto ma chissà se lo potrà fare, alla mia amica del Botswana, alle amiche in Serbia, ai cugini in Belgio, in Spagna e in Montenegro, all’amico in Olanda che ha preso il coronavirus ma che ora sta meglio, a mia sorella e ai miei nipoti che non vedo da un bel po’; ai miei ex studenti gambiani, guineani, ivoriani, nigeriani, pakistani, bengalesi e a tutti quelli rimasti bloccati durante questa quarantena in un centro di accoglienza o in qualche camera spoglia in giro per il mondo.
All’invisibile gruppo di chi non ha un posto dove tornare o qualcuno da invitare a casa quando la quarantena finirà. E a chi ha saputo dire, al momento giusto, la parola giusta e fare, al momento giusto, la cosa opportuna. A chi ci protegge e guida sempre, anche quando le cose vanno bene.
A chi è abituato a stare da solo ma non per questo la sua solitudine vale di meno. A chi non è abituato a stare da solo e la sua solitudine sembra insostenibile.
Adesso siamo tutti nella stessa barca. Quella che gira per il Mediterraneo e non può attraccare da nessuna parte. Ci dobbiamo tenere le nostre paure, le nostre malattie, i nostri ricordi e le nostre speranze fino a quando non toccheremo di nuovo la terra con i piedi.
Ma stare dalla stessa parte è rassicurante. E non solo durante il coronavirus.
Jelena Zivkovic
EX JUGOSLAVIA