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  • VIII edizione: le biografie delle vincitrici

    28Mar
    Categoria: Le autrici di Lingua Madre, News, Salone del Libro 2013 Commenti disabilitati su VIII edizione: le biografie delle vincitrici

    Gül Ince nasce a Karabük, in Turchia, il 24 ottobre 1984. Nel suo paese d’origine studia Sociologia e consegue un Master in Cinema. Nel 2007 si trasferisce in Italia, dove tuttora vive, e si laurea in Letteratura Spagnola-Inglese. Ha collaborato e pubblicato articoli con vari giornali turchi. Legge, scrive ed offre il servizio di interpretariato negli uffici pubblici, negli ospedali e nei tribunali, oltre ad occuparsi dell’orientamento degli studenti stranieri in Italia.
    Il suo racconto Mare vuol dire Deniz ha vinto il Primo Premio del VIII Concorso letterario nazionale Lingua Madre con la seguente motivazione: «Attraverso la narrazione della vicenda di due donne che emigrano con passaporti falsi, emergono – descritti con limpidezza – le paure, lo smarrimento, le usanze del paese di origine (come l’andare sposa a un uomo sconosciuto). L’autrice ci schiude uno spaccato di vita quotidiana sospesa tra la sua patria, la Turchia, e l’Italia dove si prepara ad andare a vivere. Il nome falso lì per lì dimenticato dalla compagna di viaggio (e di (s)ventura) getta luce sulla tematica identitaria, che trova in questo racconto un’adeguata espressione linguistica. Emerge anche il sentimento di solidarietà, che si manifesta nelle difficoltà per poi scomparire nel momento in cui le due donne si separano per entrare nei ranghi del mondo patriarcale. La buona capacità di sintesi rende brillante il dipanarsi degli eventi, scandisce l’esperienza e i vuoti emotivi dell’io narrante con esito efficace. La prosa articolata in brevi sequenze, intensa e incisiva, è come un potente flashback a occhi aperti».

    Karla Pegorer Dias nasce a Santa Cruz do Rio Pardo (Brasile) in una famiglia di emigranti italiani e spagnoli. Cresciuta avvolta dal complesso mondo dell’integrazione culturale, ha realizzato gli studi accademici in Italia, laureandosi, nel 2004, in Scienze Politiche all’Università degli Studi di Padova con una tesi sui Diritti Umani dei bambini indigeni. Oggi lavora come traduttrice letteraria e si dedica alla scrittura, passione ereditata dal padre poeta.
    Il suo racconto Favola di Speranza ha vinto il Secondo Premio del VIII Concorso letterario nazionale Lingua Madre con la seguente motivazione: «Per la capacità di rendere narrativa l’esperienza agghiacciante della schiavitù, della prostituzione e della violenza contro le donne, facendo riflettere senza retorica o luoghi comuni sulla realtà di sfruttamento che penalizza e maltratta specialmente le donne immigrate a forza nei paesi del primo mondo. Due pagine di grandissima intensità, talmente potenti nelle immagini da risultare, a tratti, oscure. L’autrice conduce il lettore a scendere in profondità, attraverso strumenti puramente letterari, con l’intreccio sapientissimo di luoghi, corpi, memorie, tulipani, datteri, carovane nel deserto. Non descrive, evoca. Confonde i piani temporali con un effetto straniante, restituendoci il sapore di una leggenda. A questo si aggiunge una scrittura “lirica” del testo, disseminato di parole Tebu, il cui significato si può solo intuire. Una storia di orrore e sofferenza trasformata in favola. Convincente (e commovente) è il punto di vista di una figlia, che sembra aprire su una possibilità di cambiamento, una speranza».

    Irina Turcanu nasce il 24 giugno 1984 in Romania e dal 2001 vive in Italia. Ha collaborato con testate provinciali, nazionali e on-line, occupandosi di economia, politica e della promozione della letteratura romena. Per Ciesse Edizioni ha curato l’antologia Ritorno, dedicata agli scrittori romeni italofoni. Fino a oggi ha pubblicato opere narrative, tra le quali Alia, su un sentiero diverso (Seneca Edizioni); La pipa, Mr. Ceb e l’Altra (Ciesse edizioni); La frivolezza del cristallo liquido (Absolutely Free Editore). Il suo racconto Oltre la paura è pubblicato in Lingua Madre Duemilaundici. Racconti di donne straniere in Italia (Edizioni Seb27). Dirige, per Rediviva Edizioni, la collana Rosa dei venti.
    Il suo racconto 12 ha vinto il Terzo Premio del VIII Concorso letterario nazionale Lingua Madre con la seguente motivazione: «Originale, spigliato e fantasioso, il racconto ha buon ritmo e coerenza narrativa. Al cospetto dei doganieri, diffidenti e meticolosi, la protagonista sfugge alla tensione del momento giocando mentalmente con i numeri. Poi fa materialmente i conti con le proprie scelte di vita, scomponendo e ricomponendo quel numero magico che è il 12. C’è la volontà di capire, di trovare un senso nei timbri e negli inchiostri sul passaporto, un filo di continuità con la propria immagine sorridente della foto tessera, che la rappresenta solo in parte. Nel racconto non c’è l’ansia di confessarsi, ma il desiderio di capire senza esporsi, rimanendo segreta. Grande è la capacità narrativa nel rappresentare lo sradicamento dell’esperienza migrante, la perdita e il ritrovamento di sé. Accanto a questo, il racconto propone la ricomposizione di interezza interiore ed affettiva in un breve ricordo, che diviene consapevolezza».

    Federica Ramella Bon nasce a Cuneo nel 1979. È docente di lingue straniere presso le scuole secondarie di primo e di secondo grado; per alcuni anni ha insegnato in diversi CTP della provincia, venendo così a contatto con aspetti della multiculturalità che – dice – non conosceva e che l’hanno appassionata. Da sempre ama scrivere e raccontare, le piace la letteratura, l’arte e la psicologia sociale, soprattutto quella legata ai fenomeni migratori. Compone poesie per la rivista letteraria online “Peripheral Surveys”.
    Il suo racconto Spazio arcobaleno: viaggio introspettivo tra piccoli miracoli, scritto in collaborazione con le alunne del CTP di Cuneo, ha vinto il Premio Sezione Speciale Donne Italiane del VIII Concorso letterario nazionale Lingua Madre con la seguente motivazione: «Per la capacità di mettere in luce le interazioni fra donne provenienti da “altri” paesi e donne italiane che vogliano farsi tramite di e fra culture diverse. Emerge un’atmosfera relazionale ben rappresentata: l’ambiente scolastico, che è il luogo da cui ha tratto origine il racconto, è lo spazio che unisce e accomuna le donne che si raccontano, di età e etnie differenti.
    Le diverse storie sembrano appoggiarsi e incastrarsi reciprocamente, come un’energia condivisa, che si moltiplica e cresce attraverso il racconto. Il punto più alto è quando a doversi presentare è la suora missionaria, che non conosce una parola di italiano, non ha capito cosa le altre hanno raccontato, ma immagina le loro storie dalla loro faccia. Buono l’equilibrio fra le narrazioni, vivace ed evoluto il linguaggio».

    Fatima Ameraouy nasce il 01 gennaio 1967 a Tidrine, un piccolissimo paesino incontaminato nel sud-est del Marocco. Unica femmina di una numerosa famiglia berbera di 6 figli, non riceve alcuna istruzione, ritenuta privilegio maschile. A 17 anni si sposa e due anni dopo diventa mamma per la prima volta, mentre suo marito emigra all’estero in cerca di fortuna. Dopo la nascita di altri due figli, nel ‘97 raggiunge il marito in Italia: una nuova realtà a cui si adatta, come afferma le stessa, ma soprattutto a cui desidera si adattino i figli. Ha svolto diversi lavori a domicilio e in un ristorante. Nel 2003 la gravidanza del suo ultimo figlio la costringe a dedicarsi esclusivamente alla sua numerosa famiglia, mentre aiuta il marito nella gestione del piccolo negozio di famiglia. Definita dagli altri come una brava cuoca, le piace molto dedicarsi al prossimo, soprattutto agli anziani, i cui volti – dice – parlano esprimendo la vita.
    La sua fotografia Imma ha vinto il Premio Speciale Fondazione Sandretto Re Rebaudengo del VIII Concorso letterario nazionale Lingua Madre con la seguente motivazione: «Il ritratto è certamente uno dei generi più complicati e difficili da affrontare per un fotografo. Esistono approcci anche molto diversi fra loro a questa pratica: la storia della fotografia ne è piena, dai tempi di Arnold Genthe, che ritrasse la comunità cinese a San Francisco, alle famiglie di Thomas Struth riprese nei loro ambienti domestici. I ritratti parlano, raccontano delle vite delle persone e dei loro sentimenti, di emozioni, paure, gioie. In questa semplice immagine ciò che più colpisce è la texture del volto di un’anziana donna marocchina: un insieme di rughe nobili, che sembrano un grande campo arato, come se in quei solchi fosse davvero stata seminata l’esperienza di una vita».

    Lina Alushi nasce il 10 novembre 1995 in Albania e vive in Italia da quasi quattordici anni. Frequenta il quarto anno dell’Istituto Tecnico Economico “Mossotti” di Novara. Nel tempo libero le piace giocare a pallavolo e uscire con gli amici. Ama anche la fotografia, tanto da portare sempre con sé la macchina fotografica. Dice di se stessa: “Sono cresciuta qui ma non ho mai dimenticato le mie origini. Sono molto legata al mio Paese sebbene io non ci vada spesso. Quando la professoressa mi parlò di questo concorso, fui molto contenta di partecipare. Credo sia stata l’occasione perfetta per raccontare la storia della mia bisnonna. Una storia che merita di essere raccontata”.
    Il suo racconto La mia bisnonna si chiama Gjylsyme: il valore della libertà ha vinto il Premio Speciale Rotary Club Torino Mole Antonelliana del VIII Concorso letterario nazionale Lingua Madre con la seguente  motivazione: «Attraverso le vicende della bisnonna Gjyslyme, narrate dalla pronipote con uno stile semplice, immediato e capace di suscitare nel lettore forti emozioni, viene offerto uno straordinario affresco dell’Albania durante il periodo più buio della sua storia recente, nel quale si esalta la libertà, individuale e collettiva, come valore imprescindibile per ciascun individuo e comunità. Senza indulgere alla lirica, la giovane scrittrice testimonia con il suo racconto l’amore per la Patria d’origine e la volontà di non perdere le proprie radici. Il racconto, nonostante le grandi sofferenze patite dalla protagonista nel corso della sua vita, ci indica un cammino di positività e di entusiasmo che, crediamo, siano alla base e nello spirito del Concorso Lingua Madre».

    Anastasia Rouchota nasce in Grecia, ad Atene, nel 1957. Dopo il liceo classico si trasferisce in Italia, a Firenze, dove inizia gli studi. Frequenta l’Accademia di Belle Arti e si diploma in Decorazione pittorica presso l’Istituto Statale d’Arte. Poi, si iscrive all’Università per Stranieri di Firenze. Nel 1987 conosce l’artista Antonio Scaccabarozzi e si trasferisce in Lombardia. Ha lavorato come giornalista della stampa greca, come insegnante di neoellenico e come traduttrice. Ha pubblicato due libri in Grecia Il ritorno ad Atene e Dove sono gli Elleni e racconti brevi. Ha curato la raccolta di poeti greci Eros-Thanatos pubblicata a Milano. Dal 2010 cura l’Archivio di Antonio Scaccabarozzi – diventato nel frattempo suo marito – morto in un incidente stradale nel 2008.
    Il suo racconto Atene-Montevecchia cm.7 ha vinto il Premio Speciale Slow Food-Terra Madre del VIII Concorso letterario nazionale Lingua Madre per la seguente motivazione: «Il racconto, in modo sintetico ma efficace, è capace di esprimere come l’amore fra due persone si nutra anche di cibo e come il cibo sia in grado di creare mescolanze e contaminazioni, grandi possibilità di dialogo e di confronto. Lo stile narrativo è fresco e preciso. La prosa porta con sé i profumi dei boschi, dei funghi e delle erbe selvatiche».

    Anna Belozorovitch nasce a Mosca il 10 luglio 1983. Ha vissuto tra il Portogallo e l’Italia, dove risiede stabilmente dal 2004.
    È laureata in Mediazione linguistica e culturale, con specializzazioni in Criminologia e in Cooperazione internazionale. Tra le pubblicazioni, hanno ricevuto diversi riconoscimenti la raccolta di racconti Banane e Fragole (Besa, 2010) e L’Uomo alla Finestra – romanzo poetico (Besa, 2007). Più recenti sono la plaquette di arte-poesia Riflesso (L’Arca Felice, 2012) e la raccolta di poesia in portoghese Como seria bom ser chuva (Corpos, 2012).
    Il suo racconto“Chèrnobyl!” ha vinto il Premio Speciale Torino Film Festival del VIII Concorso letterario nazionale Lingua Madre per la seguente motivazione: «È una storia di ordinaria giovinezza. Una tredicenne russa arriva in Italia e inizia a frequentare la terza media. Viene presa di mira da un compagno di scuola che le affibbia per sfottò il soprannome di “Chérnobyl”. Non c’è una ragione in questa tortura quotidiana. È il prezzo crudele che la ragazza deve pagare per essere considerata “diversa” dalle altre. Un racconto sulla spietata incoscienza di quella linea d’ombra che segna il passaggio dall’infanzia all’adolescenza con tutti i tormenti, le insicurezze, i sogni e le contraddizioni che la primavera della vita si porta appresso. Uno sviluppo narrativo semplice, che presenta interessanti spunti per le dinamiche pre-adolescenziali, in salsa multiculturale, che fa intuire. Un insieme di situazioni che si prestano a creare soluzioni drammaturgiche interessanti in ottica cinematografica».

    Camilla Dogliotti nasce a Genova, 31 anni fa. Si laurea in Scienze Politiche e consegue un master in Cooperazione Internazionale. Nel 2007 parte per l’Ecuador, dove lavora per tre anni. Riparte, nel 2010, alla volta della Repubblica Democratica del Congo, dove vive per due anni. Si occupa della gestione di progetti di sviluppo e ricostruzione finanziati dalle Nazioni Unite e dal 2013 è ad Haiti con Terre des Hommes Italia, progetto dedicato ai minori in conflitto con la legge nelle carceri della capitale.
    Si definisce socievole, dinamica e curiosa. Ama il suo lavoro, che le permette di capire le dinamiche di altre culture. Il suo racconto “Questa storia” ha vinto il Premio Giuria Popolare del VIII Concorso letterario nazionale Lingua Madre.

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