Le autrici di Lingua Madre

Gli incipit dei racconti vincitori XVIII edizione del Concorso Lingua Madre

Scritto da Segreteria il 04 Aprile 2023

GLI INCIPIT DEI RACCONTI VINCITORI
XVIII CONCORSO LETTERARIO NAZIONALE LINGUA MADRE

Sono nata a Mpembe, una penisola del lago Kivu, un meraviglioso specchio d’acqua che bagna le sponde del mio Ruanda, un piccolo paese dell’Africa centrale, cuore di questo splendido continente. Ha una bellezza incredibile, le sue mille colline, le montagne, i laghi, il verde, i sentieri fanno da cornice alla gente accogliente e sorridente, al fumo che esce la sera dalle case e a un clima mite tutto l’anno.
Un proverbio ruandese recita: “Imana yirirwa ahandi igataha mu Rwanda”, Dio passa la giornata fuori ma la sera torna in Ruanda.
Non dimenticherò mai il canto del gallo in armonia con le voci dei pescatori che mi svegliavano ogni mattina sulla cima della nostra collina dirigendosi verso il lago. La brezza rinfrescante mi rinvigoriva per tutto il giorno, fino al tramonto. Il sole a quell’ora gettava i suoi raggi argentati sulla riva destra del lago. La collina era un paradiso: lo sguardo poteva abbracciare dalla dimora vulcanica dei gorilla alla vastità delle acque tranquille del lago, fino alle colline circostanti.
Quanto è stato bello vivere lì fino al giorno in cui ho dovuto lasciare i miei amici, i miei genitori e il paesaggio per costruire insieme a mio marito una vita ancora migliore, almeno così credevo.
I MIEI RICORDI IN UN RACCONTO
Marie Christine Mukamunana e Lauramaria Fabiani
Ruanda e Italia
PRIMO PREMIO

Sono stata nessuno in questa guerra. Probabilmente, soltanto un sussurro flebile.
Cosa ho fatto? Non ho baciato lo stendardo, non ho raccolto i resti della mia vita in uno zaino, non ho marciato con gli ‘sbagliati’, ma mi sento una superstite. Facile pronunciare la parola guerra se non l’hai mai vista. Fingo di stare al gioco che non porta da nessuna parte. Non sono più capace di produrre un pensiero utile che faccia sospendere il respiro, sono assurda e prevedibile come il cigolio del letto che mi ospita per l’ennesima volta, come quel cartello in età avanzata, visto anni fa nella metropolitana di Kiev, che in tutto il suo paradosso dice che “è vietato stare sul treno che va verso il binario morto”.
Vorrei continuare a ragionare senza invecchiare, vorrei fermare quella cosa che si chiama tempo e di cui mi è rimasto soltanto l’imbarazzo che provo nel non saper scrivere il dolore di una guerra, perché, probabilmente, non mi sta bene messa addosso. Ma non sta bene a nessuno, penso.
VORREI LEGGERE ANCORA DOSTOEVSKIJ
Natalia Bondarenko
Ucraina
SECONDO PREMIO – PREMIO CONSULTA FEMMINILE REGIONALE DEL PIEMONTE

Divora. E divori lo spazio che mi separa dal mio nome. Quelle prime voci fuori dalle finestre delle case lo hanno cantato per la prima volta. La mattina, una domenica di settembre di pioggia, qualche goccia esile, timidamente, è scesa sul bianco delle grate, le grate delle finestre, le finestre delle bambine che non possono uscire di casa, e così sussurrano nomi trascinando le loro esistenze con il vento tra i vicoli, “guarda è nata”. Tra le grate, è nata, piove senza vento, si chiama Anatolia. Ricordo quella mattina e la sua acqua magra a riposo sul terreno, sulle rocce, sui tetti rossi delle case quasi a renderli marroni per poi scappare in fretta verso mezzogiorno con il sole, colorare tutto come prima, niente macchie, solo quello che è sempre stato nella sua semplicità. Poche strade, poche case, poche famiglie, pochi bambini, poche femmine. Ne rammento il racconto.
C’ERA UNA VOLTA, ANATOLIA
Açelya Yönaç
Turchia
TERZO PREMIO

È un pomeriggio buio, uno dei tanti invernali torinesi. Suonano al citofono.
«Puoi aprire?» mi chiede Shayan.
«Sì?» rispondo alzando la cornetta, ma, come spesso accade, non ricevo risposta. Apro.
In questi mesi, ho capito che gli iraniani sono particolarmente timidi ed educati, e se non è Shayan a rispondere al citofono, non sanno bene cosa dire, o in che lingua dirla, così preferiscono rimanere in silenzio e lasciare alla sorte, o a me, la decisione di aprire.
Chiedo a Sha chi stia aspettando.
«FreakishHoney» mi risponde.
«Frichicosa?».
Ma, come capita spesso, ha già perso interesse nella nostra conversazione e non mi risponde
«Salom» saluta Sha.
«Salom» risponde una voce femminile.
Cerco di scorgere la ragazza nascosta dalla figura alta di Sha, che però è tanto esile da lasciare scorgere il contorno della sconosciuta e i suoi ricci rosso fuoco.
LA DOLCE BIZZARRA
Chiara Nifosì
Italia
PREMIO SEZIONE SPECIALE DONNE ITALIANE

Dobbiamo prendere il treno. Saranno le cinque, forse le sei del mattino. La strada dal nostro palazzo comunista fino alla stazione dei treni è dritta, non si può sbagliare. Cammino con lo sguardo basso, ho paura di guardare il cielo. La donna di cui seguo le orme mi ha svelato il segreto: se guardi troppo a lungo la luna, diventi lunatica e ti lanci dal tetto. Ho tredici anni e cammino guardando i miei enormi piedi. Dal buio della notte spuntano due fari, e poi il corpo del treno, come il drago della fortuna nella Storia infinita. Quando si adagia sul binario numero tre, tutti si lanciano per occupare gli scompartimenti rimasti liberi. Il corridoio pullula di vita: qualcuno è seduto sui sedili integrati nelle pareti del mezzo, intento a cercare qualcosa in un enorme zaino, qualcun altro sta parlando, appoggiato al finestrino abbassato, con qualcun altro ancora fermo sulla pensilina. Figure nere oscurate da tendine con il logo del trasportatore riempiono le capsule.
LE CROCIATE
Patrycja Holuk
Polonia
PREMIO SPECIALE TORINO FILM FESTIVAL

Da piccola credevo che un bicchiere di tè fosse la panacea di ogni male.
Quando mi faceva male la testa, mia madre mi dava prima un bacio sulla fronte, poi un bicchiere di tè tra le mani. Quando mi faceva male la pancia, invece, un bicchiere di tè con una stecca di navat, dello zucchero solido color oro. Quando mi sentivo triste, al tè aggiungeva del cardamomo e poi ne versava un po’ anche a lei dal samovar, per farmi compagnia sedendosi a terra a parlarmi per ore.
Era così bella. Statuaria, dai capelli tinti color mogano, con venature porpora visibili solo sotto i raggi del sole, una pelle candida, chiara e gli occhi miele. Un carattere forte, di grande spirito vitale e un nome che racchiude l’intera sua essenza, di cui il significato in persiano rappresenta la “prima luce nel cielo che precede il sorgere del sole”. Come a ricordarti che l’energia di questa stella, come il suo calore, sono sempre presenti. Nonostante tu non la veda, lei c’è.
Volevo essere come lei, aspiravo solo a quello.
UN SORSO DI CASA, LOTFAN
Hasti Naddafi
Iran
PREMIO SPECIALE SLOW FOOD TERRA MADRE

Fatna apre gli occhi all’improvviso. Sente rinvenire l’anima dopo un brutto sogno. Si accosta a Rahhal cercando rifugio nel calore del suo corpo, ma l’odore di nicotina la spinge a rigirarsi sull’altro lato. Le immagini dell’incubo ricompaiono come una pellicola spezzettata che tenta di ricostruirsi. Tarik, in pericolo, cerca di scappare. Una porta che si chiude, mentre si sente gridare: «No!».
Pochi minuti e la sveglia suona. Le sei in punto. Rahhal si alza e si veste al buio. Compie i gesti a memoria. Fatna si rannicchia abbracciandosi la pancia gonfia e, toccandosi le linee delle dita, ripete quaranta volte “astaghfirullah”, perdono a Dio per scacciare la paura.
FATNA E RAHHAL
Amal Oursana
Marocco
PREMIO SPECIALE GIURIA POPOLARE