La decolonizzazione tra crisi passate e presenti Ubah Cristina Ali Farah a SalTo23
Scritto da Segreteria il 20 Maggio 2023
di Elena Pineschi
Tre voci alte e potenti, voci che usano l’arte, la letteratura, l’analisi, riflettono sulla necessità di decolonizzare il racconto globale.
Una è quella di Ubah Cristina Ali Farah, scrittrice, poetessa e vincitrice della prima edizione del Concorso Lingua Madre; insieme a lei il poeta e studioso iracheno Sinan Antoon e la documentarista filippina Patricia Evangelista.
Paola Caridi, giornalista e storica, ha condotto l’incontro del 19 maggio 2023 organizzato dal Salone Internazionale del Libro di Torino in collaborazione con Civitella Ranieri Foundation, Fondazione Merz e hopefulmonster editore. Incontro quanto mai attuale: «Per quelli della mia generazione, per quelli che hanno intorno ai 60 anni, decolonizzare la storia sembra insito dentro la storiografia italiana ed è già stato rappresentato nel libro Il formaggio e i vermi di Carlo Ginzburg (in cui si racconta la storia della vittima usando i documenti del carnefice). Eppure, proprio oggi, – ha sottolineato Paola Caridi – dovremmo applicare questo tentativo di raccontare le vittime, le guerre, la storia, con uno sguardo che non sia solo il “nostro”, europeo occidentale. Serve un racconto polifonico per decolonizzare il racconto del mondo come quello portato avanti dalle ospiti e dall’ospite presenti».
Sinan Antoon, nei suo libri quali L’archivio dei danni collaterali (hopefulmonster), ha trasmesso le urgenze vissute in prima persona a Baghdad; e queste gli sono state ancora più chiare dopo essersi trasferito negli Stati Uniti nel 1991 dopo la Guerra del Golfo. Si è reso conto praticamente di quanto possa cambiare una storia passando attraverso i media. «Come afferma un proverbio iracheno – ha detto l’autore – finché i leoni scrivono la storia della caccia, questa glorificherà sempre i leoni». A parlare, invece, sono anche i non umani nella sua scrittura, che si interroga sull’uso di una prospettiva che definisce le vittime delle azioni belliche “danni collaterali”.
Sempre nel 1991, Ubah Cristina Ali Farah lascia la sua Mogadiscio, in Somalia, e la narrazione diventa un modo per affrontare il rapporto tra memoria e trauma. Inizialmente non le è stato possibile trovare un linguaggio adatto: «Si rischia sempre la banalizzazione e l’oggettivazione. Le parole non sono sufficienti per la guerra civile. Ero in uno stato di afasia». Eppure è grazie a un immaginario culturale diverso, quello italiano, che ha trovato il modo di raccontare quanto le è successo, anche nel suo più recente libro Le ceneri della fenice e altri racconti (hopefulmonster).
La vincitrice CLM ha raccontato che l’espressione “guerra civile” non traspare mai nelle parole delle vittime: «È un paradosso, perché non c’è nulla di civile. Motivo per cui nasce come un pudore, verso questa “guerra tra intimità” che accade dentro la propria casa. È un esempio dell’importanza di ragionare sulle zone buie che lascia il linguaggio quando accade qualcosa di irreparabile».
Infine Patricia Evangelista ha riportato storie dirette scoperte da un giornalismo investigativo forte e identificatore di verità, a differenza di quello che è lo stereotipo occidentale. Per rendere onore alla lotta contro la droga nelle Filippine, si esprime attraverso le vittime stesse, ridando corpo a quelle cui è stato tolto. «Le narrazioni sono universali e quindi ho scelto di ripartire dalle loro storie, dalle loro famiglie. È difficile e serve molto rispetto: al termine di tutte le mie ricerche riscrivo e provo a farne un racconto complessivo, dopo aver lavorato pezzo a pezzo, in tempi diversi, tra situazioni».
In chiusura, Paola Caridi ha riflettuto sull’igienizzazione delle parole che in seguito permette al carnefice di compiere delitti chiamandoli in modi altri: «Bisogna chiedersi quali siano queste parole rischiose, che hanno subito dei cambiamenti semantici. Sono parole che non sopporto, che non condivido. Allo stesso tempo, viceversa, forse, si potrebbe sfruttarne il positivo contando su questa capacità di risignificazione del linguaggio?».
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