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Tra le pagine della fame Un viaggio letterario di Luisa Ricaldone

Scritto da Segreteria il 26 Aprile 2023

“Se si trattava di rubare per raccattare un po’ di cibo, nessuno si tirava indietro: nemmeno noi bambini, nemmeno i vecchi. […] di notte sognavamo le patate”, così si apre il volume di Luisa Ricaldone Tra le pagine della fame. Un viaggio letterario, pubblicato da SEB27.

Un esergo assai esplicativo – tratto da Lasciami andare, madre di Helga Schneider – di quello che attende chi si appresta a immergersi in questa accattivante (nonostante il tema trattato) rassegna di “inviti alla lettura” tra scenari storici o esistenziali, testimonianze e finzioni romanzesche di forte impatto emotivo.

Ecco quindi prigionie, campi di “ravvedimento”, terre violate, infanzie, miserie, epidemie, rinunce, metafore – come titolano i diversi capitoli – per raccontare attraverso la letteratura l’epopea della fame, che può essere imposta e sofferta, ma che può manifestarsi anche come avidità, brama di potere, persino desiderio di riscatto.

Tanti i titoli che si susseguono, alcuni notissimi, altri da scoprire, non un’antologia sul tema, ma un’interessante e variegata offerta di pensiero per riflettere anche, e forse soprattutto, sul presente. Un testo che incuriosisce, che invoglia ad approfondire, consigliabile alle e ai giovani che non hanno conosciuto la fame neanche attraverso i racconti familiari.

Un bel libro impreziosito dall’incisiva, colorata e potente copertina: particolare di Collage dell’artista Elisabetta Catamo.

Per presentare il libro, ecco l’intervista a Luisa Ricaldone, già docente di Letteratura italiana contemporanea alla Facoltà di Lettere dell’Università di Torino e Presidente della Società Italiana delle Letterate, parte della giuria e del Gruppo di Studio CLM.

Come è nata l’idea di questo libro e perché?

Prima del 2021, anno di pubblicazione del volumetto collettaneo curato da Daniela Finocchi e da me intitolato Generi alimentari. Donne, cibo e nuovi immaginari, le mie letture sono state prevalentemente rivolte al cibo, alla sua narrazione letteraria; nel febbraio 2022 scoppia la guerra tra Russia e Ucraina e nel numero di maggio dello stesso anno di Le monde diplomatique, leggo della minaccia, nel mondo, di eventualità tutt’altro che remota di un «collasso del sistema alimentare globale». Inoltre, durante la disura da Covid-19, mi sono ritrovata a pensare – cosa che capita a una certa età! – alla mia infanzia, a quella dei miei genitori, che nacquero appena finita la prima guerra mondiale ed ebbero la giovinezza funestata dalla seconda, con tutte le conseguenze che ne derivarono. La sinergia di questi avvenimenti, certo di caratura diversa fra loro, ha risvegliato in me il desiderio di verificare nella letteratura – che è il mio ambito di interessi anche professionale – narrazioni di fami, situazioni storiche e sociali che hanno portato intere popolazioni a patire quello che è stato definito il «maggior fallimento vissuto dal genere umano». Da qui, poi, ho ampliato il quadro nelle direzioni elencate.

Come precisato nella premessa del volume, Tra le pagine della fame è sicuramente un viaggio nel dolore e nella disperazione, però non si incontra solo oscurità e morte. Grazie a chi e come viene rischiarato il buio della sofferenza?

Sì, nelle pagine di questo mio libro si intravedono delle luci, delle alternative, dei potenti richiami alla vita, dei moniti impliciti o espliciti affinché ciò che è avvenuto e che potrebbe ripetersi non si verifichi più. Anche se non solo loro, in particolare sono le donne a rischiarare il buio della sofferenza, a offrire speranze, a proporre soluzioni: Dacia Maraini soprattutto e Edith Bruck, ma anche una pressoché sconosciuta donna delle favelas brasiliane e altre. Nei loro romanzi e racconti si legge la disperazione – e non potrebbe essere diversamente – che in certi casi però può attivare risorse interiori. Si pensi a Dacia Maraini, che patì la prigionia da bambina, quando con l’intera famiglia fu internata in un campo giapponese a causa del rifiuto dei genitori di firmare per la Repubblica di Salò. Divenuta la scrittrice che tutti e tutte conosciamo, ha teorizzato in più momenti della sua ricca produzione letteraria un legame tra fame e scrittura: in Bagheria, per esempio, scrive che vi è un rapporto ironico e profondo fra il cibo e l’immaginazione, nel senso che è la mancanza a «fare trottare la fantasia». Mentre Edith Bruck sottolinea l’ottimismo nonostante tutto, anche dopo avere visto «sette campi di concentramento in un anno», perché – dice – «non è mai tutto nero nella vita»: si accendeva infatti una luce «quando ti concedevano una patata / una rapa / un guanto bucato». Carolina Maria de Jesus, nera e poco scolarizzata, che va in giro a raccattare lamiere e cartoni e cerca di venderli per nutrire se stessa e i propri figli, trova nello scrivere quotidiano, stentato eppure incisivo, un argine alla sua misera condizione, superata esattamente dal successo che il suo diario ebbe appena pubblicato. E ancora, forti e determinate si fanno sentire, pur fra paure, incertezze e povertà talora estrema, le voci delle donne che scrivono per il Concorso Lingua Madre: esse esprimono il coraggio di agire, di cambiare, e si levano tanto più alte quanto più misera è la vita che si lasciano alle spalle.

Lei accompagna con grande maestria chi legge alla scoperta di scenari, contesti storici, storie che vengono svelate come in un lungo e appassionante racconto. Ci sono alcuni romanzi, tra i tanti che vanno a comporre la trattazione, che l’hanno emozionata o turbata più di altri e perché?

Questa domanda mi obbliga a distinguere emozioni e turbamenti procuratimi da letture tra infanzia e adolescenza e sentimenti non più così ‘assoluti’ e tuttavia potenti indotti da libri letti in età matura. Per fare un esempio, un romanzo che mi piacque moltissimo era stato di Harriet Beecher Stove, La capanna dello zio Tom perché in esso vi ritrovavo, amplificati e tuttavia simili alla mia sensibilità infantile, aspetti di povertà e anche di violenza tutt’altro che estranei alla campagna piemontese dalla quale provenivano i miei nonni e bisnonni e dei quali mi raccontava mio padre. In questo senso l’imput che sta all’origine del libro è derivato dalla fame coniugata con l’ingiustizia e con la prevaricazione, il rapporto con il potere insomma, aspetti che da sempre mi hanno smosso forti sentimenti di dolore, di rabbia e di sdegno. Per quanto riguarda le letture dell’età matura, direi che tutte le narrazioni di cui parlo nel libro sono frutto di scelte determinate sia dal gusto letterario personale, sia dall’opportunità di accennare a un ventaglio tematico ampio sul tema della fame, sia dalle emozioni che ogni lettura ha prodotto in me, sia infine, dalle relazioni affettive e di riconoscenza che ho conservato nel tempo: penso in particolare alla mia insegnante di materie letterarie del ginnasio al Gioberti di Torino, Giuliana Tedeschi, sopravvissuta ai campi di concentramento, che ha contato moltissimo nella mia formazione e della quale solo in età matura lessi le sue testimonianze. 

Il volume presenta anche scelte stilistiche interessanti, per esempio le molte citazioni che compaiono nel testo e anche la soluzione “ibrida” di unire un breve saggio e un racconto, contributi di altre autrici. Ce ne può parlare?

In un quadro come quello pensato per Tra le pagine della fame, le citazioni sono state necessarie. Avrei potuto fare riferimento ai vari romanzi condensandone il senso; viceversa ho preferito ricorrere al glorioso istituto della citazione, ritenendo – e pare fin banale dirlo – che è sempre migliore l’originale della sua elaborazione, per quanto ineccepibile. Inoltre, nel citare auspico che il contatto diretto con un brano possa stimolare nel lettore e nella lettrice, in particolare se giovani ma non solo, la curiosità e sollecitare in loro il desiderio di accedere al testo integrale: un invito alla lettura, insomma. Infine, appartenendo all’ambito della memoria, la citazione costruisce un percorso genealogico che collega ciascuna e ciascuno di noi con chi è venuto prima e che ha attraversato esperienze che dobbiamo comprendere a fondo in sé e negli aspetti di lunga durata anche come monito. In questo senso allora il citare acquisisce un importante valore pedagogico. D’altra parte è difficile parlare delle cose, delle persone, dei modi di essere senza tenere conto di ciò che altri hanno detto.

Per quanto attiene alla soluzione ibrida, l’ho voluta non solo per ragioni di un comune sentire, di amicizia, di consuetudine collaborativa con Daniela e l’autrice CLM Claudiléia Lemes Dias, le amiche alle quali ho chiesto rispettivamente un contributo che evidenziasse la narrazione delle donne (non più) straniere – come preferiamo chiamarle – di Lingua Madre e un racconto autobiografico: congiungere saggistica e narrativa, considerare scrittori e scrittrici, operare affondi in chiave femminista, presentare insomma un testo “sporco”, non immediatamente etichettabile né nella forma né nella destinazione (potrebbe configurarsi anche come libro di lettura, o come insieme di elaborate schede di lettura) mi è piaciuto per lo spostamento continuo di prospettive che mi auguro proponga, e per quel tanto di infedeltà al canone che contiene.