"Sergiu" di Giovanni Graziadei I racconti del laboratorio al Liceo Gobetti
Scritto da Segreteria il 11 Maggio 2010
Continuiamo a pubblicare i racconti delle ragazze e dei ragazzi del Liceo Gobetti che hanno partecipato insieme alle loro insegnanti Cristina Bracchi e Patrizia Moretti ai laboratori di narrazione e scrittura organizzati dal Concorso Lingua Madre.
Ecco il settimo racconto:
Sergiu
Di Giovanni Graziadei
(Classe III C)
Mi chiamo Sergiu, ho trentadue anni e vivo a Moncalieri, vicino a Torino. Vivo qui ormai da tredici anni. Potrei dire che sono italiano o potrei dire che sono romeno. Di sicuro mi trovo meglio qui in Italia e conosco questo paese come il mio paese natale.
La domanda che mi viene rivolta più spesso quando parlo della mia esperienza come immigrato è:
“Perché hai deciso di spostarti e perché proprio qui in Italia?”, perciò ritengo che per raccontare la mia storia debba partire proprio da qui.
Quando sono partito avevo diciannove anni, questo vuol dire che, nella mentalità italiana, avevo appena finito gli studi. La realtà è che lavoravo già da quattro anni insieme a mio padre. Lavoravamo in cantiere, per una delle maggiori ditte locali. Mia madre invece non lavorava, era stata licenziata da più di cinque anni e non era più riuscita a trovare lavoro. Ho due sorelle minori, anche loro non lavoravano, stavano ancora facendo le medie. Tutto sommato riuscivamo a tirare avanti, i soldi per dar da mangiare a tutti c’erano e a volte riuscivano a concederci qualche piccolo lusso. Tutto andò bene finché mio padre non si infortunò. Proprio davanti ai miei occhi scivolò e cadde da un’impalcatura. Per fortuna non morì ma si ruppe entrambe le braccia. Chiaramente non poteva più lavorare e venne licenziato. Per qualche mese in famiglia lavorai solo io, i soldi iniziavano veramente a non bastare, finché mia madre non trovò un impiego in una fabbrica tessile. Lavorava molto, ma la paga era buona. Fu in quel momento che iniziai a pensare di andarmene, in modo da trovare un lavoro e spedire il più presto possibile dei soldi per la mia famiglia. D’altronde da tempo avevo visto molte persone andarsene e una zia, che però non avevo mai conosciuto, era da qualche anno in Italia. Con i miei genitori non ci furono problemi, anzi, furono proprio loro a convincermi a partire. Mio padre telefonò a mia zia e lei, senza esitare, disse che mi avrebbe spedito i soldi per il viaggio. Dopo qualche giorno arrivarono 1200 euro. Dopo essermi trovato tutti quei soldi in mano in meno di una settimana, l’Italia mi sembrava il paese perfetto per guadagnare in fretta. Così partii, accompagnato da mia madre, mio padre, che ancora aveva problemi alle braccia e aveva bisogno di cure mediche, e le mie sorelle che continuavano gli studi al liceo. Il viaggio è stato uno dei momenti più strani della mia esperienza da immigrato. Se da un lato non vedevo l’ora di arrivare, dall’altro sapevo che stavo andando verso un periodo difficile, verso un paese di cui non conoscevo nulla, nemmeno la lingua. Arrivai a Milano in tarda mattinata, e subito chiamai mia zia. Mi sistemai a casa sua, o meglio nella casa della signora Gianna, un’ultraottantenne che mia zia assisteva e con la quale conviveva. Il giorno dopo iniziai subito a girare per la città cercando di ambientarmi e di trovare un lavoro. Cercai disperatamente lavoro per settimane, cosciente del fatto che dovevo spedire al più presto dei soldi ai miei parenti in Romania. Gli unici lavori che trovai erano di poche settimane, a volte di pochi giorni, chiaramente in nero. Il mio morale era a terra. Avevo praticamente finito i soldi del viaggio, non potevo stare ancora a lungo a casa di mia zia, perché iniziavo ad essere una presenza indesiderata, ogni volta che si trattava di chiedere lavoro le condizioni erano le stesse. Ovunque ero trattato con superiorità, nessuno mi rispettava e, nel caso mi avessero accettato, non vedevano l’ora che finissi il mio lavoro per darmi quei pochi soldi e rimandarmi a casa.
Con quei soldi che mi rimanevano decisi, anche sotto consiglio di alcuni connazionali conosciuti a Milano, di trasferirmi a Torino. Arrivato, dormii alcuni giorni in un dormitorio del Comune, poi a casa di conoscenti di mia zia. I primi mesi la condizione era durissima. Come a Milano non trovavo lavoro, avevo finito ogni risparmio. Mi sembrava di trovarmi all’esatto opposto rispetto a quello che mi ero immaginato quando ero a casa mia in Romania, con quei 1200 euro in mano. Per un periodo riuscii a sistemarmi al grande mercato di Porta Palazzo, “casa” di decine di immigrati nella mia stessa identica situazione, serviva manodopera. Lavorai per qualche mese scaricando frutta e verdura. Era più di un anno e mezzo che ero in Italia e finalmente riuscii a mettere da parte 500 euro, che subito spedii in Romania. Presto arrivò anche l’amore. Conobbi una ragazza che lavorava in un bar vicino a piazza della Repubblica, potei finalmente abbandonare l’amica di mia zia per trasferirmi da questa ragazza italiana. Ma la soddisfazione più grossa arrivò quando, tramite conoscenti di lei, trovai finalmente lavoro come muratore. Dopo due anni ci trasferimmo qui a Moncalieri.
Senza dubbio posso ritenermi fortunato. Tanti miei connazionali non hanno avuto così tanta fortuna e sono schiavi, persone praticamente invisibili sulle quali però si regge l’economia di questo paese. Altri immigrati non sono nemmeno arrivati in Italia, sono morti nel Mediterraneo o soffocati all’interno di qualche camion, nel tentativo di inseguire un sogno. Come gli Italiani di settant’anni fa.
Giovanni Graziadei
Classe III C
Liceo Scientifico Gobetti