Quanti pensieri Sconfini
Scritto da Segreteria il 11 Marzo 2025
Il concetto di identità rimanda a un io fisso, che si potrebbe anche spezzare. Meglio pensare in termini di soggettività, come suggerisce Traudel Sattler (della Libreria delle Donne di Milano), fedele a sé in uno scambio attivo con l’altra e l’altro, che dà vita a un dialogo tra generazioni e modi di vita diversi. Storie di donne lontane e vicine che attraversano il dipanarsi di vite in movimento, eppure solide, in cerca di uno spazio autentico dove esprimere la propria differenza. Per potersi, sconfinando, reinventare.
QUANTI PENSIERI
di Vilma Morillo León [Venezuela]
Quanti pensieri e dubbi avevo nel venire in Italia. E quante esperienze tragiche e comiche ho vissuto nei primi giorni in Italia.
Era l’ottobre del 1990, c’era la guerra del golfo in corso. Benché l’Italia sia lontana dal Kuwait, le mie amiche mi avevano spaventata dicendomi che magari dei terroristi avrebbero potuto mettere una bomba sull’aereo. Il mio fidanzato italiano mi aspettava all’aeroporto, non era l’uomo abbronzato che avevo conosciuto alcuni mesi prima in Venezuela, era così bianco e pallido, mi sembrava un pollo congelato! Ma congelata ero anche io, dalla paura e dal freddo che faceva.
Dopo un paio d’ore di viaggio in macchina, siamo arrivati a Ponzano Monferrato. Sono rimasta stupita che il passaggio a livello non fosse ancora automatico. Un uomo abbassava e alzava le sbarre! Era la prima volta che venivo in Italia e pensavo che tutti i paesi dell’Europa avessero una tecnologia moderna e avanzata, come gli Stati Uniti.
Arrivammo alla cascina dove viveva il mio fidanzato con i suoi genitori. Era ora di pranzo, la sua mamma aveva cucinato in grande, ma io non lo sapevo. Lei cominciò a servire antipasti: salami e prosciutti. Pensavo che loro mangiassero dei pranzi leggeri e io avevo una fame nervosa. Così ho preso una pagnotta di pane e mi sono fatta un bel panino. Tutti mi guardavano e io sorridevo ogni tanto, però non dicevo una parola né in spagnolo e molto meno in italiano!
Stavo finendo di mangiare il panino quando “mia suocera” arrivò portando a tavola una gran teglia con la pasta al forno fumante. Ho pensato: meno male che c’è qualcosa di sostanzioso da mangiare! Non sono abituata a pranzare solo con un panino. Così mi servirono un pezzo di questa pasta al forno. A questo punto dissi due parole: «Che bueno!» e tutti capirono. Dopo aver finito di mangiare la pasta al forno, mi chiesero se volessi un’altra porzione, dissi di sì anche se non avevo più fame, però non volevo essere scortese dopo aver detto quanto era buona. Finito di mangiare la seconda porzione, mi alzai da tavola perché mia “suocera” era sparita in cucina mentre il mio fidanzato parlava con suo padre. In giardino c’erano degli animali: galline, gatti, cani. Poi sento il mio fidanzato chiamarmi per rientrare in casa. Tutti mi domandarono se stessi male… poiché non ero seduta con loro a mangiare: ma io credevo che fosse finito! Servirono il piatto principale: una bistecca di carne e carote. Poi i formaggi, la frutta, il dolce e alla fine un caffè. Madre de Dios! Qui si mangia troppo! E pensare che a casa mia la pasta al forno sarebbe stata sufficiente.
Alla sera, per fortuna, mi aspettava una cena leggera.
Andai nella mia stanza, era buio e non trovavo l’interruttore della luce, così mi avviai tastando i muri verso il letto e mi sedetti, che spavento! Avevo sfiorato qualcosa, pensai subito che qualcuno si fosse intrufolato nel mio letto. Urlai! Il mio fidanzato si precipitò nella mia stanza accendendo la luce. Sotto la coperta un congegno di legno e d’alluminio e nel centro una padella di terracotta con carboni fumanti. Il mio fidanzato mi spiegò che la sua mamma scaldava così il letto, col “prebi” o lo scaldino.
Il giorno dopo di nuovo un pranzo e il vino barbera fatto da mio “suocero”. Era prima volta che bevevo vino, nel mio paese bevevo per pranzo soltanto succhi di frutta tropicale. Aspettando il caffè, mi addormentai sul sofà.
Due o tre giorni dopo, furono invitati a pranzo famigliari del mio fidanzato. Questa volta già sapevo che mia suocera avrebbe preparato un pasto abbondante. Arrivò un gran piatto con fette di carne sottili di colore rossa. Mi sembrava una carne non cotta. Dissi al mio fidanzato del mio dubbio, lui mi rispose: «È carne cruda».
Rimasi muta. Mi offrivano carne cruda. Con un filo di voce e un movimento della testa dissi di no. Tutti mangiavano con piacere la carne cruda. Io ero atterrita e pensavo d’essere capitata in casa di cannibali. La mia fantasia prese a correre e pensai: qui mi stanno ingrassando e fra poco faranno festa con me, mangiandomi! Aiuto. Avevo notato nei giorni precedenti che questa cascina era appartata dal paese e che non era facile scappare. Persi l’appetito. Mi alzai dalla tavola ed uscii fuori di casa con il cuore in gola.
Poco dopo il mio fidanzato era fianco a me, gli chiesi di portarmi in un hotel, non volevo più stare a casa sua. Mi faceva senso mangiare carne cruda. Lui iniziò a spiegarmi quanto fosse prelibato e costoso mangiare carne cruda con il tartufo, che i piemontesi amano mangiare questo piatto, che cosa era un tartufo. Mi parlava e mi parlava, ma non capivo bene. Volevo andare in un hotel e lui non voleva perché diceva che i suoi genitori l’avrebbero presa male e poi nel paese non c’era un hotel.
Mi sentivo di vivere in un altro mondo. Quando ero con il mio fidanzato per sistemare la nostra casa in campagna, guardavo le colline con tante vigne cariche d’uva, tanti alberi di mele e pere. Nel mio paese questi frutti erano costosi. C’era tanta tranquillità, nessun rumore di macchine, aria pulita e fresca. Tutto differente dalla città di Caracas dove vivevo con i miei genitori. Il grande amore che sentivo per il mio fidanzato, che poi è diventato il mio sposo, era l’unica cosa che mi dava forza di resistere, di lottare contro le differenze e le difficoltà di vivere in campagna, in un altro paese, lontano dalla mia terra. I primi apparecchi elettrici che ho voluto furono una televisione e una radio. Con questi mezzi di comunicazione, ho imparato l’italiano. Non potevo andare a scuola per impararlo, perché la scuola più vicina è a venti chilometri. Non sapevo guidare la macchina, mi pentii di non aver preso la patente prima, di essermi sempre accontentata dei passaggi dei miei fratelli.
Poi, pian piano, ho imparato a vivere in campagna, ma ricordo che una volta quasi distrussi l’orto di mia suocera. Avevo bisogno delle carote e andai nell’orto a tirare le piantine che credevo fossero carote. Ma non venivano fuori delle carote! Una piantina, altre piantine ma niente carote. Alzai la testa e guardai in giro, vidi che avevo distrutto una quarta parte dell’orto e non avevo trovato neanche una carota. Più tardi mia suocera mi disse che le avevo strappato tutto il prezzemolo! Che ero una buona nulla! Le dissi che le foglie di prezzemolo mi sembravano uguali a quelle delle carote. E poi a Caracas, quando avevo bisogno delle carote, andavo al supermercato, dove si potevano vedere e dove c’era anche la scritta che diceva “carote”. Nell’orto le carote erano sottoterra.
Adesso mi piace scrivere delle mie esperienze, soprattutto quelle che vivo nei miei viaggi in camper per l’Italia e per l’Europa. Sono gli occhi dei miei famigliari e degli amici che vivono in Venezuela.
Copiando dagli inglesi, ho trasformato casa mia in un bed and breakfast, questo mi ha fatto conoscere tanti italiani di altre regioni e mi ha fatto scoprire quanto differente e bella è l’Italia.
Il racconto Quanti pensieri è pubblicato in Lingua Madre Lingua Madre Duemilasette. Racconti di donne straniere in Italia (Edizioni SEB27).
La fotografia Aereo con disegni masi è di Antonella E. Gramone [Italia] ed è stata selezionata per il Premio Speciale Fondazione Sandretto Re Rebaudengo alla XIX edizione del Concorso Lingua Madre.