Appuntamenti

Riprendiamoci la notte Il CLM a ToSp19

Scritto da Segreteria il 24 Ottobre 2019

“Nel buio del grembo materno c’è la vita: è una premessa indispensabile” – Marina Terragni

Ad infinita notte è stato il tema attorno al quale si sono sviluppati gli appuntamenti dell’edizione 2019 di Torino Spiritualità, cinque giorni per lasciarsi ammaliare dalla danza delle ombre, in cui si sono esplorati i significati ossimorici della notte, temuta minaccia o coltre di pace e quiete.

E proprio a partire dalla notte e dall’oscurità, intense non solo come condizione fisica ma anche di pensiero, ha preso l’avvio l’incontro “Riprendiamoci la notte. Donne che guardano il mondo per guardarsi dal mondo”, organizzato dal Concorso letterario nazionale Lingua Madre e dalla Società italiana delle Letterate.

Sabato 28 settembre un folto pubblico si è riunito nella suggestiva Sala Codici del Museo Nazionale del Risorgimento Italiano di Torino per assistere all’analisi dei cambiamenti che sono avvenuti nel movimento femminista e chiedersi: viviamo la notte del patriarcato, che si riappropria degli spazi creati dal movimento delle donne, o è il femminismo che ha intrapreso nuove vie?

Relatrici dell’incontro, Daniela Finocchi, ideatrice e responsabile del Concorso Lingua Madre, e Luisa Ricaldone, Presidente SIL, in dialogo con Marina Terragni, giornalista. In apertura, Daniela Finocchi ha presentato anche la scrittrice Giusi Marchetta, che per gravi motivi familiari non ha potuto prendere parte all’incontro. L’autrice, nata nel 1982 e cresciuta tra Caserta, Milano e Napoli, ora vive a Torino e lavora come insegnante di sostegno alle superiori. Con la raccolta di racconti Dai un bacio a chi vuoi tu (Terre di mezzo) ha vinto il Premio Calvino nel 2007 e nel 2018 ha pubblicato il suo secondo romanzo Dove sei stata (Rizzoli) oltre a vari saggi. Sua anche l’antologia Tutte le ragazze avanti (Add Editore), in cui Marchetta ha raccolto le testimonianze di giovani blogger, scrittrici, ricercatrici su cosa abbia rappresentato per loro il femminismo. Proprio dall’esperienza di questo ultimo volume, è nato il collettivo TUTTE : luogo dove esprimersi liberamente e supportare la lotta per i diritti “di tutte le persone, non maschi e femmine”, come viene specificato nel “Manifesto delle ragazze” che accompagna il progetto.

La parola è quindi passata a Marina Terragni che, ricollegandosi al tema stesso di Torino Spiritualità, ha precisato come si stia vivendo una “notte in cui tutte le donne sono neutre”. Come già dichiarato nel libro Gli uomini ci rubano tutto (Sonzogno), Terragni ha quindi spiegato come oggi vi sia una stigmatizzazione di tutti i termini che riguardano le donne nate donne ritenuti ormai discriminatori: non “donna incinta” ma “persona incinta”, non “madre” ma “persona che mette al mondo”. “Siamo giunti alla perfetta scomparsa delle donne – scrive – tutti possono liberamente dirsi donne, perciò nessuna lo è davvero”.

Luisa Ricaldone ha quindi posto l’attenzione sulla corporeità del femminismo, evidenziando il furto che il corpo femminile si trova a subire e la distanza da esso che si è venuta affermando in questi anni, arrivando a chiedersi se anche questo porti alla scomparsa della donna. “Essere donna – ha risposto Marina Terragni – è uno stato allucinatorio che non ha più niente a che vedere con la realtà dei corpi, questa l’essenza delle queer politics. Si assiste quindi a una scomparsa che non è più simbolica, è proprio il corpo femminile nella sua carnalità a non consistere e a doversi smembrare e disorganizzare in una sorta di materiale grezzo. Dirsi donna – e nel caso, femminista – non è più un fatto, ma un diritto conteso dagli uomini. Gli uomini sono determinati a rubarci tutto, non solo il corpo, ma anche il femminismo: il più paradossale di tutti i furti.”

Daniela Finocchi è poi intervenuta sottolineando la necessità a questo punto di parlare di GPA, del lavoro biologico cui viene sottoposto il corpo, non solo delle donne, ma anche del queer.

La donna viene definita da Terragni come “nemico perfetto del soggetto neoliberale perfetto”: un passaggio, questo, di portata grandissima e che pone una questione vitale e divisiva all’interno del femminismo.  D’altra parte Giusi Marchetta scrive: “Se essere femminista, come io credo, significa battersi per un mondo più giusto, non può che essere la definizione di chi include nella sua battaglia le cosiddette minoranze. Non è una battaglia contro e non è finalizzata a togliere dei diritti altrui: solo ad estenderli a tutti in modo che non restino privilegi” e definisce – così come Giulia Blasi e molte altre – il “suo” femminismo “intersezionale”. Dall’altra parte, invece, ha ricordato Finocchi, c’è chi si batte per la riaffermazione dei diritti delle donne basati sul sesso come la recente “Dichiarazione dei Diritti delle Donne Basati sul Sesso” per “eliminare tutte le forme di discriminazione contro le donne che risultano dalla sostituzione della categoria del sesso con quella dell’identità di genere”, che molte hanno firmato. E allora, ci si chiede?

“Sono i maschi che fabbricano le femmine” ha risposto Marina Terragni citando Elena Ferrante, “E a quanto pare non ci si limita più al simbolico”.

“Tutta questa faccenda del queer potrebbe sembrare una gran novità, ma nella misoginia non c’è proprio niente di nuovo – ha continuato Terragni – la misoginia è la costante di tutte le costanti. Da sempre è ciò che è femminile a dover pagare tutti i prezzi. E in questa ottica, un’ideologia glitterata che offre un packaging perfetto per il capitalismo neoliberale che con il mercato della carne e del vivente – tratta di prostitute e migranti, mercato degli organi, chirurgizzazione e medicalizzazione dei corpi, bio-ingegnerizzazione del vivente, commercio di seme vegetale, animale e umano, utero in affitto e traffico di neonati – realizza formidabili profitti. La parola ormai non vale nulla, sono i soldi la misura universale, bisogna pensare a una soluzione che riduca al minimo il dispositivo del dominio attraverso il mercato. E la resistenza a tutto questo è soprattutto delle donne. Che una donna non smetta di dire “sono una donna”, di nominarsi tale, è già un formidabile atto di resistenza. La donna che si dice donna, che afferma il primato della relazione, vera ricchezza umana, sull’individuo consumatore: questo per me è il nemico perfetto del soggetto neoliberale perfetto”.

E proprio di potere ha domandato Luisa Ricaldone, facendo riferimento a Lacan, già ripreso dalla stessa Terragni, che sostiene che l’opposto dell’amore non è l’odio ma, appunto, il potere. Ricaldone ha posto quindi l’accento su una dicotomia importante: se da una parte per una donna avere successo in questo sistema è cosa sospetta (citando Jessa Crispin in Perché non sono una femminista. Un manifesto femminista, SUR) dall’altra è chiaro a tutte e tutti che la crisi dei partiti sia correlata al dato di fatto che le istituzioni sono maschili. Come cambierebbe la situazione se al potere ci fossero le donne?

“Non serve a niente che al posto di un uomo ci sia una donna se dispositivi, agende e modalità restano le stesse – ha puntualizzato Terragni – la politica della rappresentanza è il luogo in cui anche i più basici tentavi pari-opportunitari sono andati peggio. Le donne hanno dovuto continuare a cavarsela con il loro instancabile fai da te, nella loro rivoluzione permanente senza sangue e senza seggi. Quel tanto guadagnato dalle donne e in così poco tempo (ricordo che solo 100 anni fa le donne non avevano diritto di voto) è arrivato malgrado la rappresentanza, e si è consolidata la consapevolezza del fatto che il nostro di più e meglio va speso altrove. Mary Daly parla della tendenza autosvalutativa a “trovare qualunque causa più importante della propria”, mentre Simone Weil ha duramente criticato i partiti, spiegando che la politica vera è nelle libere associazioni di cittadini e nelle azioni delle singole e dei singoli intorno a qualsivoglia bene comune, materiale e morale. È nelle buone pratiche già viventi quindi, portatrici del nuovo mondo in gestazione, ispirate al riconoscimento dell’interdipendenza, mosse dalla prospettiva di un ragionevole guadagno, dal desiderio di ridurre il danno e massimizzare i benefici per il maggior numero e di tutelare le creature più piccole, umane e di ogni specie vivente. Questa è la reale politica delle donne. Ho posto questa stessa domanda a Elena Ferrante [che Marina Terragni ha intervistato per Io donna nel gennaio 2007, n.d.a.] chiedendole cosa ne pensasse di una polis femminile. Ha risposto che dovremmo frugare nella frantumanza irredenta della nostra infanzia. La risposta sarebbe quindi nel nucleo naturale, la madre con la figlia, dove vige un’organizzazione totalmente diversa da quella della società attuale”.

Esiste quindi una soluzione, un’alternativa ci si è chieste?

“Il primo movimento della rivolta è sottrarsi, lasciare vuoto” – ha concluso Terragni – e ha individuato proprio nella scrittura di Elena Ferrante un’operazione interessante: tante delle sue protagoniste spariscono e questa scomparsa è movimento politico, attivo, una rinuncia alla lotta continua. Le donne devono sottrarsi. “C’è talmente tanto rumore che non sappiamo neanche più quali sono i nostri desideri, cosa vogliamo”.

L’incontro ha quindi dato spazio alle numerose domande di un pubblico estremamente partecipativo e variegato, non sono mancati maschi che si interrogavano su quale potesse essere per loro un comportamento post-patriarcale e giovani donne che mettevano in discussione il pensiero della differenza sentendolo lontano dal loro presente, un presente che – come ha sottolineato una di loro – dovrebbe trovare nuove parole per definirsi e per definire gli stessi maschi.

Qui tutte le foto dell’evento.