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Quello che ho da dire lo dico da sola Recensione del nuovo libro di Margherita Giacobino

Scritto da Segreteria il 14 Marzo 2023

“Era strano pensare che tutte le grandi donne della fiction erano state, fino ai tempi di Jane Austen, non solo viste dall’altro sesso, ma viste solo in relazione all’altro sesso. E che piccola parte della vita di una donna è questa; e quanto poco può saperne un uomo anche solo di questa quando la osserva attraverso le lenti nere o rosa che si mette sul naso”.

Da questo esergo tratto da Una stanza tutta per sé di Virginia Woolf parte l’avvincente narrazione di Quello che ho da dire lo dico da sola di Margherita Giacobino, parte della Giuria CLM, appena uscito per Somara! Edizioni (anche qui, oltre al titolo, un nome che è tutto un programma!).

E in fondo sta proprio in questa prima frase l’essenza del libro, un viaggio in quella lettura che ossigena il pensiero, portando a scoprire o riscoprire quelle donne che “eppure scrivevano”, quelle temerarie a volte guerriere a volte svergognate, a volte peccatrici (punite) a volte in rivolta. O ancora vampire, solitarie o equilibriste sui confini dell’identità di genere.

Così titolano i vari capitoli di questo volume corposo eppur agile, che accompagna con gioiosa serietà alla scoperta di percorsi “altri”, grazie allo stile inconfondibile dell’autrice. Scrittura che ha un precedente perché si tratta di una versione rivista, corretta e soprattutto ampliata di Guerriere Ermafrodite Cortigiane. Percorsi trasgressivi della soggettività femminile in letteratura (Il Dito e La Luna, 2005).

Traspare dalle pagine la pratica e la passione della traduttrice, ma anche l’anima della scrittrice e della saggista, che convivono in Margherita Giacobino. Uno stile spurio pertiene alla struttura del libro, che non può essere costretto nella sola definizione di saggio. Al contrario, si apre al racconto, diventa via via storia vissuta e personale, ricordo, pensiero, arricchendosi di spunti e suggestioni inaspettate.

L’irresistibile ironia che attraversa tutti suoi romanzi, anche quelli più intimi, si ritrova in questo testo sin dall’inizio quando ricorda le teorie dell’Ottocento sull’incapacità della donna di creare: “Non deve stupirci quindi che spesso le scrittrici di quell’epoca si scusino per aver osato scrivere, premettendo ai loro libri un discorsetto in cui sminuiscono la loro opera e chiedono perdono in anticipo di aver osato occupare spazio, fare rumore, attirare attenzione”. Comprensibili stratagemmi per ripararsi dai colpi della critica, per rientrare nel ruolo di graziose intrattenitrici e nulla più.

Ma le donne scrivevano ben prima di allora, ricorda l’autrice, come narra la saggista australiana Dale Spender che conta ben 106 “madri” del romanzo attive nel Settecento.

Molteplici i fattori tesi a soffocare la scrittura delle donne, passati e presenti, non ultima la negazione dell’agency femminile messa a fuoco da Joanna Russ. E il femminismo non è un fenomeno recente, lo testimoniano le “Preziose” del Seicento: da Madeleine de Scudéry autrice di acclamati romanzi a suor Juana Inés de la Cruz poeta, da Mary Astell trattatista inglese a Mary Wollstonecraft filosofa e non solo, e tante altre.

Il racconto si dipana toccando epoche e generi differenti, esplorando l’oltrecanone, rivelando alcune protagoniste assolute della propria scrittura quali Violette Leduc o Doroty Allison maestra di fiction autobiografica.

Tante le autrici svelate, scomparse e vive più che mai, troppo avanti per l’epoca in cui si trovarono a vivere e al centro, a volte, persino di appassionanti gialli letterari come Anne Lister,  oppure “guerriere transgender” come Leslie Feinberg o ancora scandalose giovani come Renée Vivien, pazze visionarie come Valerie Solanas o inattese e impietose narratrici come Flannery O’ Connor (la cui madre, con disarmante ingenuità, chiese all’editore in visita alla loro fattoria “Signor Giroux, non potrebbe convincere Flannery a scrivere di gente perbene?”). Non fanno parte, come spiega la stessa Giacobino, del “salotto buono della letteratura”, non si ritrovano nei libri di testo, non entrano negli schemi accademici. Ognuna è spinta dall’urgenza di esprimersi – non per evasione, non per il mercato – con duratura tenacia.

Impossibile ricordarle tutte, l’unica è leggere il libro. Saranno loro a venire incontro, anzi a catturare senza speranza chi legge quali novelle sirene, non solo attraverso le parole ma anche grazie alle bellissime fotografie che le ritraggono e che vanno a corredare il volume.

Ulteriore pregio del saggio sta nel fatto che Giacobino non si limita a raccontare tante scrittrici, ma spazia nella sua narrazione includendo anche quelle personagge che hanno lasciato segni indelebili, riproponendole attraverso una lettura situata. Ed ecco così, per esempio, che Assunta Spina, protagonista del racconto e dell’omonimo dramma teatrale di Salvatore Di Giacomo, diventa figura rivoluzionaria, perché mette in discussione la legge del mondo: la sua trasgressione, il suo “delitto”, non è altro che il desiderio di intraprendere un proprio percorso formativo. E non è la sola.

“Proprio nell’attività del leggere emerge il ruolo incisivo delle altre necessarie”, scrivono Aida Ribero e Luisa Ricaldone in Il simbolico in gioco (Il Poligrafo, 2011). Ed è proprio questo il merito di Margherita Giacobino, che interpreta i testi con la sua presenza mediatrice, capace di “far emergere lo scarto esistente tra una lettura in prossimità del neutro e una lettura attraversata dalla differenza”.

In questo video, la stessa Margherita Giacobino racconta il suo libro.

Quello che ho da dire è anche un podcast in cui Margherita Giacobino guida ascoltatrici e ascoltatori attraverso i travolgenti percorsi del suo nuovo libro.
È già possibile ascoltare la prima puntata su Spreaker o su Spotify.