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Pasta fritta Quante storie!

Scritto da Segreteria il 20 Luglio 2021

Dai racconti delle autrici CLM più fiabeschi e fantastici, una serie di letture pensate per le/i giovani lettrici/lettori.

Marcela Luque [Argentina]

PASTA FRITTA

Appena arrivata al commissariato fu messa in una piccola cella. Posò la borsa nell’unica sedia disponibile e si coricò sulla brandina. Repentinamente, ebbe un fortissimo desiderio di fumare.
La mattina dopo la portarono davanti al pubblico ministero che ne rimase attonito. Per nessuna cosa al mondo e di fronte a un crimine come quello che lei aveva commesso, si sarebbe aspettato di trovare davanti a sè una persona del genere. Sembrava una sua compaesana da cima a piedi.
Dopo averla salutata iniziò l’interrogatorio:
– Lei è qui perché è sospettata di aver commesso un reato.
– Un reato? Come mai? Non ho multe da pagare, sono a posto con l’Agenzia delle Entrate… Anzi, ho saldato l’ultima cartella mesi fa!
Vero che parlava ancora con un accento leggermente strano, tuttavia ciò non consentiva di capire di quale Paese fosse originaria.
– Quello non c’entra – disse il PM con un leggero sorriso – Stia serena.
– Mi scusi, io veramente… Non capisco proprio – disse lei.
– Allora provi a rispondere alle mie domande giusto per delineare il quadro della situazione – la sfidò il PM e senza troppi preamboli chiese:
– Lei, come cucina la pasta?
Convinta che l’unica motivazione per una domanda del genere fosse quella di sciogliere l’ambiente glaciale nel quale si trovava rispose:
– Dipende… Sia da cosa ho voglia di mangiare, sia da cosa ho in frigo. Non al pomodoro, quello mai, ho la gastrite: sarebbe come un calcio allo stomaco per me.
– E quale tipo di pasta è solita a preparare? Ha qualche prefenza? Pastasciutta o pasta fresca? – chiese lui nel tentativo di indirizzare l’interrogatorio verso la verità.
– Ma – disse lei iniziando a rilassarsi – mi piacciono tutte. Certo che la pastasciutta avendola sempre in casa diventa più facile, tuttavia quando vado al mercato se trovo i ravioli del plin o i langaroli mi piace molto farli fritti.
Senza rendersene conto l’indagata aveva confessato. Lei faceva la pasta fritta! Delitto inamissibile e imperdonabile!
– Quindi lei confessa di fare la pasta fritta? – ribattè il pubblico ministero vantandosi del successo ottenuto.
– Certo, ed è buonissima! Solo che non bisogna buttare la pasta e andare via a fare altro poichè ci vogliono solo pochi secondi. E poi non tutte le tipologie di pasta sono adatte, le migliori sono i langaroli o i ravioli del plin.
– Quindi lei conferma che fa la pasta fritta? – chiese ancora una volta il PM cercando di convincere sè stesso che una cosa del genere, per quanto improbabile, fosse comunque possibile.
– Certo che confermo e le offro pure la ricetta.
– Ma… Prima cotta e poi fritta?
– Ma nooo. Fritta, fritta.
Pasta fritta? Non era possibile. Non era concepibile. La pasta la si fa al pomodoro, alla carbonara, cacio e pepe… Ma non fritta. Sicuramente gli stava sfuggendo qualcosa, qualche passaggio della conversazione al quale lui non aveva dato il giusto peso.
– È sicura che non intende qualche ricetta specifica, ad esempio lo gnocco fritto tipico dell’Emilia Romagna?
– No, no. Quello non è altro che l’impasto del pane fritto. In realtà non è pasta visto che di solito lo si serve per accompagnare taglieri e quelle cose lì.
L’indagata continuava a sventolare ricette senza sosta: – Poi c’è una ricetta toscana, zonzelle credo si chiamino. Ma vede anche lì… Sono delle ricette di pasta specifiche per farle fritte. Invece quello che io faccio è comprare la pasta fresca e poi decidere se la faccio al pesto, al tonno, alla carbonara oppure fritta.
Il pubblico ministero si sentiva come se qualcuno fosse arrivato a casa sua e avesse dato ai mobili un utilizzo diverso di quello per il quale erano stati concepiti. Così, lo straniero avrebbo dormito sul tavolo, lasciato i vestiti da lavare dentro il water e fatto colazione sul comò stravolgendo, in un battibaleno, l’armonia che si era mantenuta invariata per decenni. Anzi, per secoli e ora stravolta proprio da chi? Dall’ultimo arrivato!
Si fosse trattato di una persona vissuta nella giungla senza nessun tipo di mobilio a disposizione ci sarebbero state delle attenuanti. Ma questo non era il caso. Non c’era nè ignoranza nè pentimento. Anzi vi erano persino orgoglio e fierezza davanti al reato commesso. L’indagata era completamente capace di intendere e di volere. Pasta fritta! Ma come si permette!?
Tuttavia, un pubblico ministero non poteva farsi prendere dalle emozioni per quanto queste toccassero il tassello che è più caro a tutte le persone: la propria identità.
– E come mai le è venuta questa idea di far friggere la pasta?

Lei fece un timido sorriso di quelli che si fanno quando ci si trova catapultati indietro nel tempo. E raccontò al pubblico ministero dell’Elbita, il pastificio che c’era di fronte alla chiesa del quartiere della sua infanzia. Apparteneva a una coppia di spagnoli che avevano dato al negozio il nome della propria figlia: Elba, Elbita era il diminutivo. La domenica, dopo la Messa, un conglomerato di persone affamate attraversava la piazza spostandosi nei locali dell’Elbita per acquistare della pasta fresca da mangiare a pranzo. Lo staff dell’Elbita, che di marketing se ne intendeva eccome, pensò quindi di offrire ai propri clienti la pasta invenduta del giorno precedente. Quella che per motivi di qualità e di freschezza non poteva più essere commercializzata ma nulla vietava che potesse essere assaporata. Così avrebbero preso due piccioni con una fava: avrebbero fatto fuori la pasta del giorno prima rimediando alle lunghe attese con le quali i clienti domenicali dell’Elbita erano costretti a fare i conti.
I dipendenti dell’Elbita quindi prendevano la pasta ripiena di piccole dimensioni e la buttavano nell’olio bollente fino a farla diventare dorata. L’adagiavano poi in dei minuscoli vasoietti per fare sì che i clienti se ne servissero a volontà.
– Tuttavia, – riprese lei con tono aguerrito appena ebbe chiuso il cassetto nel quale sistemava i ricordi d’infanzia – trovo strano che lei, come tante altre persone, lo riteniate strano. La carne si può fare al forno, alla griglia e in mille altri modi. Lo stesso vale per la pasta come per altre pietanze. Non mi risulta che ci sia scritto da qualche parte che la pasta la si deve solo bollire e condire con delle salse.
– Certo che no, – si affrettò a dire il PM – ma ci sono degli abbinamenti più o meno appropriati. Si immagini se a qualcuno venisse in mente di mettere l’ananas sulla pizza.
– Come fanno in Sud America…
– Come, scusi????? – Il pubblico ministero iniziava a impallidire.
– Sì, e ci mettono pure la pesca. Oppure lei pensa che ovunque vada in pizzeria troverà gli stessi gusti che trova qui? Eh no. È il prezzo che ci impone la globalizzazione. Provi a chiedere oltreconfine una pizza Margherita e vediamo come se la cava.
A questa cosa non ci aveva mai pensato ma aveva la sensazione che da quel momento ci avrebbe riflettuto a lungo. Benchè avesse viaggiato un po’ ovunque e visto delle meraviglie naturalistiche, architettoniche e archeologiche, non si era mai soffermato sui sapori delle diverse pietanze o nell’importanza che il cibo potesse avere per le diverse culture. Nemmeno in quegli adattamenti che le diverse ricette potessero subire di fronte ai mutamenti del tempo e dello spazio. Spesso per mancanza degli ingredienti originali oppure dovuto alla voglia di introdurre qualcosa di nuovo, si creavano delle varianti locali che, pur alterando la ricetta orignale, regalavano alle comunità del luogo un certo senso di appartenenza. Per lui il cibo era motivo di unione, anzi di comunione purchè… Concepito a modo suo. Perchè alla fine, di questo si trattava: d’identità e di appartenenza. E queste riflessioni lo portavano a sfiorare, seppur con timidezza, la possibilità che una pizza con l’ananas potesse, per qualcuno in questa terra, avere il sapore di casa che per lui aveva la sua insostituibile pizza Margherita.
– Scusi, ora posso andare? Vorrei recuperare il mio cane. Poverino, chissà come starà con tutto questo trambusto – disse lei mentre si metteva in piedi e si sistemava il giaccone, strappando il PM dall’abbattimento nel quale era caduto.
– Un’ultima domanda, – chiese il pubblico ministero con un fil di voce prima che lei andasse via – langaroli o plin?
– Meglio i langaroli. Ma si ricordi, bastano solo pochi minuti, fino a che iniziano a diventare dorati, poi li scola, li adagia su un po’ di carta per fare assorbire l’olio e ci mette un po’ di sale. Vedrà che vengono buonissimi. Arrivederci!
L’indagata uscì della stanza a piede libero lasciando il pubblico ministero sulla sedia mentre gli arti, ormai diventati molli, pendevano dal suo corpo completamente inerti.

L’olio aveva appena iniziato a bollire quando buttò i pochi langaroli acquistati al pastificio prima che chiudesse. Subito diventarono dorati quindi li adagiò sopra la carta assorbente che aveva sistemato sopra un piattino. Dopo aver messo un po’ di sale ne portò uno alla bocca. Era un sapore strano, una crocantezza alla quale non era abituato. Era la pasta fritta. Non cotta e poi fritta; ma fritta, fritta.

 

Racconto pubblicato in Lingua Madre Duemiladiciannove – Racconti di donne straniere in Italia (Edizioni SEB27)

Illustrazione tratta dalla fotografia “Viva i tortellini” di Arjana Vacchetti, selezionata per il Premio Speciale Fondazione Sandretto Re Rebaudengo alla VI Edizione del Concorso Lingua Madre.