Le autrici di Lingua Madre

Nutrimenti. Cibo, donne e nuovi immaginari Il CLM a Feminism 2

Scritto da Segreteria il 12 Aprile 2019

Vandana Shiva che abbraccia un albero e invia simbolicamente questa immagine alla Sindaca Raggi, che minaccia ancora oggi la chiusura della Casa Internazionale delle Donne di Roma. Così è iniziata l’otto marzo la seconda edizione di Feminism, fiera dell’editoria delle donne, in un luogo crocevia di iniziative e pratiche, che si è poi sviluppata in tre giorni di libri, incontri, dibattiti.

Il Concorso Lingua Madre insieme alla Società Italiana delle Letterate ha dato vita a due incontri sul tema Nutrimenti, su cui abbiamo già pubblicato articoli e commenti il mese scorso.

Le autrici straniere e italiane del CLM che vi hanno partecipato ci hanno successivamente regalato i loro splendidi interventi, che andranno a far parte della pubblicazione cui sta lavorando il Gruppo di Studio sul tema “Cibo, donne, nuovi immaginari”.

L’intento, infatti, è quello di tracciare una mappatura degli immaginari sottesi al rapporto tra donne migranti e cibo, non solo mettendo in luce gli aspetti simbolici, culturali, identitari di questa relazione, ma cercando di andare oltre. Ci siamo chieste: Quali gli immaginari contemporanei che scaturiscono da questo antico rapporto? Quali le attuali “buone pratiche” per affrontare le sfide contemporanee? Si guarderà quindi al cinema, alle serie televisive, a varie letterature, compresa l’italiana, all’ecofemminismo e così via.

E ci saranno anche i testi delle autrici, di cui abbiamo il piacere di offrire un’anteprima, i loro incipit, per scoprire che “solo chi ha patito la fame sa che niente è più salato dell’acquolina in bocca”, come scrive Claudileia Lemes Dias; che “i sapori lievitano nella memoria, risalgono in gola fino alla lingua vuota ormai di parole, ricca di spezie” come recita il poetare di Rahma Nur; che un piatto di tortellini alla panna col prosciutto è in grado di far innamorare totalmente e profondamente come racconta Roxana Lazar; che anche dopo i settant’anni si può rimanere “la ragazza degli indios” come ha scoperto Loretta Emiri o che, se una donna è costretta a salpare, riesce comunque a trovare un faro e un approdo come insegna Elena Ribet. Grazie a tutte!

Claudileia Lemes Dias – Mille soli sopra la mia testa

Come mille soli sopra le nostre teste…
Quando orde di pappagalli arrivavano all’improvviso e con dei becchi appuntiti perforavano la buccia dei manghi, lassù, in alto, sui nostri capelli e sugli stracci che insistevamo a chiamare vestiti, si riversavano gocce di nettare giallo.
Sotto quell’albero di mango esuberante noi, sorelle, ci siamo abituate a piangere tutte le separazioni dei nostri genitori.
Vi spiego come funzionava a casa nostra: prima ci abbandonava papà e poi, successivamente, appena tornava all’ovile come se niente fosse accaduto, era la volta di mamma. E noi lì a piangere tutte le lacrime del mondo e a far scorrere dai nasi litri e litri di moccio per rendere omaggio ai capricci degli adulti.
È stato inevitabile che la mangueira diventasse l’unico punto di riferimento alto che avessimo.
Perché lei era sempre lì.
Forte dei suoi rami che parevano braccia di mamma che sa abbracciare senza irrigidirsi, la mangueira ci coccolava con la sua ombra avvolgente come per rassicurarci che il fuggiasco di turno sarebbe tornato appena passata la tempesta.

Rahma Nur – Ricordi speziati

La casa era piena di gente che veniva a rendere il saluto a nonno Shukow. Io avevo, credo, appena cinque anni: i bambini erano di troppo, piccoli fantasmi che nessuno notava in quel momento di commozione e perdita.
Ricordo il nonno sdraiato sul suo letto, immobile, fiero e severo, con la barba rossiccia che gli incorniciava il volto scuro. Lo guardavo di sottecchi e non capivo perché era ancora a letto, perché non accoglieva gli ospiti e non parlava con loro.
Alle narici mi arrivavano profumi intensi e la fame iniziava a tormentare il mio piccolo stomaco. Non ero una bambina che mangiava molto e il cibo non era ricco né vario.  Dopo ore di attesa, finalmente, una parente mi mise sul grembo un piatto di “bris iyo hilib”: spezie come cardamomo e cannella mi solleticavano il palato e i grani di pepe mi bruciavano la lingua; io, abituata solo ad un po’ di “shah e mufo”, mangiai quella pietanza lentamente, seduta sul pavimento di terra battuta, con gli occhi che andavano dal piatto alla stanza del nonno, al via vai degli adulti. Nella mia solitudine di bambina osservavo il cortile in fermento come una pentola di “soor”che bolliva nella sua acqua.
Di quella triste perdita famigliare ricorderò solo quel piatto di riso.

Roxana Lazar – Donne, cibo, nuovo immaginare

Cosa potrei mai dire io, che non sia già stato detto oggi?  Oggi parliamo di donne, di cibo, di nuovi immaginari…
Oggi riaffiorano ricordi speziati, colorati, profumati, dolorosi, ricordi delle vite di ciascuna di noi. Devo confessarvi che io, da piccola, mi nutrivo con le foglie verdi delle cipolle che crescevano nell’orto (con il buonissimo alito conseguente, che mi perseguitava per tutta la giornata) e mangiavo tante prugne verdi, con un pugno di sale, fino a farmi venire il mal di stomaco. Il tutto era rigorosamente sporco. Non interessava a nessuno risciacquare i prodotti dell’orto. E poi, e poi… sì, mangiavamo i pistilli di certi fiorellini che noi chiamavamo “Mânuța Maicii Domnului”, che erano dolcissimi. Potete provare a farlo anche voi… o forse, no. L’aria è troppo inquinata adesso.  

Loretta Emiri – Sapori e nostalgia

Non pensavo di partecipare, per cui non ho elaborato niente per questo incontro. Ma ho una notizia saporita da condividere con voi, care ragazze. Ho trascorso i mesi di dicembre e gennaio nell’Amazzonia brasiliana, più esattamente nello Stato di Roraima dove ho vissuto per diciotto anni sempre lavorando con e per gli indios.  Sono partita senza alimentare alcun tipo di aspettativa; volevo solo verificare se, all’età di quasi settantadue anni e a distanza di nove anni dal precedente, ero in grado di portare a termine un impegnativo viaggio internazionale. Ciò che è successo è andato ben oltre ogni possibile aspettativa.

Elena Ribet – Nutrimenti, cibo, donne

Si chiama Ivan.
Si chiama Ivan. Me lo ha detto il ragazzo delle consegne.
Quello del furgone sempre acceso.
Non spegne le luci. Quando parte dal forno
è ancora buio, con il peso delle ceste calde.
Mentre dormo arriva in sogno un profumo di pane.
Faccio le carte, senza firmare.
Benedizioni e protezione.
C’è sempre da ringraziare di qualcosa.
C’è sempre da ringraziare qualcuno.
Sembra nulla, ma magari salviamo una vita
senza saperlo. Senza muovere un dito.