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Mettersi "Nei panni degli altri" Nuova mostra di DIMAU'

Scritto da Segreteria il 15 Febbraio 2010

Di Simone Silva,
Autrice del Concorso letterario nazionale Lingua Madre (Olinda dai capelli ricci – Lingua Madre Duemilanove)
Presidente Associazione DIMAU’

 “La natura degli uomini è la stessa, sono le sue abitudini a tenerli separati”.
(Confucio)

L’associazione interculturale DIMAU’ – Diversi Ma Uguali di Orzinuovi farà la sua prima uscita pubblica domenica 7 marzo alle 10.00 nella Piazza Vittorio Emanuele con la mostra Nei panni degli altri. I disegni sono frutto dell’estro artistico di Piero Almeoni, mentre i vari personaggi dei fumetti sono rappresentati dai vari soci dell’associazione. La manifestazione proseguirà nel pomeriggio (ore 15.00 in uno spazio sottostante la chiesa parrocchiale) con un laboratorio interculturale sulla Romania, dove si parlerà della festa di primavera Mǎrţişor ideato da Carmen Mateescu e Cristiana Ioan.
Si ringrazia l’Amministrazione del Comune di Orzinuovi e l’Associazione Nuove frontiere – cinefotoclub per la collaborazione.
La mostra raffigura un’apoteosi di disegni “altri” che ci invita a riflettere sull’importanza di dare pari dignità e diritti a tutte le diversità umane, a prescindere dal colore della pelle, della cultura o dello stato sociale ed economico di ognuno. Un modo per riconoscere in ogni uomo e ogni donna la sua specificità, il suo valore e la sua importanza all’interno della società in cui viviamo, senza fare della differenza un handicap e una scusa per ogni forma di discriminazione sociale e culturale.
Nei panni degli altri è un modo per entrare metaforicamente a fare a parte di quel variegato mondo della diversità e viverla in prima persona, come se L’ALTRO, potesse diventare un IO. Calarsi in questa realtà significa cercare di conoscere e capire l’altro per ciò che è realmente e non soltanto a partire dalle nostre idee e schemi mentali che a volte lo piegano alle nostre ragioni,verità e pregiudizi.
Questo gioco di specchi e immedesimazione ci permetterebbe di riscoprire l’altro non soltanto come un diverso; straniero, immigrato, povero, clandestino, omosessuale, disabile, ecc. ma come persone simili a noi, con le nostre stesse angosce, speranze, contraddizioni, umori, sentimenti, fragilità, emozioni comuni a tutta l’umanità.
Le nostre differenze possono essere esterne e circostanziali, ma in sé non significano né arretratezza e neppure superiorità di una sull’altra. In questo modo non è sensato dire: io sono diverso da loro perché sono civilizzato, o perché il mio paese è sviluppato o detiene il primato della tecnologia, mentre “loro” sono sottosviluppati, fanatici, terroristi, tradizionalisti e ignoranti. Invece si dovrebbe pensare: noi esseri umani; italiani, brasiliani, polinesiani, marocchini, facciamo parte di un’immensa famiglia in cui ogni figlio (gruppo etnico, popolo, nazione) ha saputo gestire la propria realtà in modo da soddisfare i propri bisogni esistenziali e materiali sfruttando le proprie capacità inventive e creative. Pensare così ci rende più inclini a cogliere positivamente le sottigliezze, le particolarità e le specificità del comportamento umano che vanno al di là della sua cultura o del suo paese di provenienza. Cogliere positivamente questo pensiero non vuol dire essere come loro, significa capirli per quel che sono e come hanno vissuto e non per quello che nella nostra cultura è giusto o meno fare.
A questo punto mettersi nei panni degli altri potrebbe significare:

  • Un modo per imparare a pensare diversamente riuscendo a trascendere i nostri punti di vista monoculturali riportandoci a una dimensione capace di abbracciare più universi, più culture.
  • Riconoscere ogni forma di diversità come un valore e un diritto.
  • Aiutarci a vivere e percepire la differenza come risorsa.
  • Dare un senso alla realtà vivendola in esperienze concrete di contatto e di dialogo con l’altro. Diventa un modo per abbattere le barriere e i pregiudizi che dipingono l’altro non come persone, ma come categorie globalizzanti del tipo: straniero, povero, clandestino, associale ecc.
  • Fare accenno non soltanto sulle differenze, che rimane comunque un diritto, ma soprattutto su ciò che ci rende simili.
  • Mettersi in relazione con l’altro diverso da me senza evocare la supremazia della propria comunità o della propria cultura.
  • Essere uno stimolo per cercare di identificarsi con qui è diverso da noi, per storia, per cultura per religione, ma non necessariamente per umanità.
  • Aiutarci a immaginare con profondità i sentimenti, le percezioni, le aspettative, le speranze, le angosce, le difficoltà delle altre persone.
  • Aiutarci a pensare ai problemi globali, all’immigrazione, alla povertà, alle disuguaglianze ecc.
  • Andare verso l’altro stimola la solidarietà con i poveri, gli immigrati, gli emarginati perché ci fa provare sulla nostra pelle il peso dell’esclusione e del preconcetto.
  • L’assunzione di responsabilità, mettersi in gioco, non temere il cambiamento, prendersi cura dell’altro.
  • Umanizzare l’altro, renderlo uguale a noi a dispetto della sua diversità.
  • Riconoscere l’altro a tutti gli effetti perché chi nega la differenza vorrebbe tutti uguali.
  • Aiutare a mitigare la polarizzazione NOI/LORO in cambio degli elementi che enfatizzano le comuni umanità e somiglianze.
  • Aiutarci a riconoscere la dimensione umana dello straniero e non soltanto quella raccontata dai media.
  • Migliorare il nostro pensiero critico, perché ci dimostra che la conoscenza è l’unica strada che abbiamo davanti per confermare o contraddire i nostri pregiudizi.
  • Aiutarci a capire che non esiste un’identità straniera, del tipo tutti gli immigrati sono uguali, ma soltanto PERSONE con le loro storie vere, persone concrete, simili noi e con esperienze una diversa dall’altra e pertanto uniche e irripetibili.
  • Uscire dal nostro punto di vista o mettersi nei panni degli altri significa concepire la propria identità come potenziale alterità dal punto di vista dell’interlocutore. È un modo per vedere noi stessi e la nostra cultura con gli occhi dell’altro e riscoprire i nostri pregi ma anche le nostre debolezze, che sono qualità umane universali.
  • Che il rispetto per i diritti degli altri è precondizione per fare intercultura.

                                                                                 Simone Silva (Presidente DIMAU’)