Madri e figlie

Un lascito Madri e figlie

Scritto da Segreteria il 09 Febbraio 2022

Testimoniare e ricostruire una genealogia femminile attraverso la scrittura. In questi testi le autrici tornano a riappacificarsi con le proprie origini e la propria cultura, per pensarsi e rappresentarsi al di fuori degli stereotipi. Un percorso che le porta a riconoscere il debito simbolico verso le madri (reali e non) per scoprire, in sé e nelle altre, una grandezza capace di unire.

UN LASCITO
di Andreea Luminita Dragomir [Romania]

Dedicato alla prof. Gabriella Montone
per sempre nel mio cuore,
mi manchi tanto…

Ho pensato tante volte a cosa potrei scriverti amica mia e cosa ti potrebbe piacere ricevere come regalo della mia partenza per quell’isola lontana dal mondo che conosciamo. Non so se riuscirò a perdermi per ritrovarmi o, come diceva quella scrittrice italiana della quale ti avevo raccontato, “ad avere l’arte di perdersi per arrivare”. So solo che ho bisogno di respirare e sentire odori e profumi nuovi. Questa casa, questo paese mi soffocano non solo fisicamente. Devo fare scorta d’aria, poi tornerò.
Perdersi è facile, non solo nello spazio ma anche perdere la propria testa. Arrivare a destinazione, ma qual è e che cosa vuol dire la “destinazione”?
So, e ne sono convinta, che le nostre parole e le nostre telefonate per parlare di ricette, poesie, libri, sogni si perderanno, per arrivare alle orecchie di altre amiche.
Non perderti troppo, lascia sempre briciole di te stessa per poterti ritrovare.
Ti lascio la mia casa, sai è piena di ricordi e libri, dentro vivono spiriti benéfici che attirano i gatti randagi. Lo so, non è una casa grande e poi è senza sole, ma potrai fare quello che vuoi: dipingere i muri di viola pallido, con le righe color albicocca, accendere incensi e candele, trasformarla in un gattile accogliente, farne un ristorante, oppure viverci dentro e mangiare colazione sul terrazzo leggendo uno dei miei libri e guardando i fringuelli nella danza dell’amore.
Insieme alla casa ti lascio qualcosa in più cioè un elenco di ricordi preziosi.

Atlante dei profumi d’infanzia

Il più bel profumo che mi inebria anche adesso è quello dei lamponi, questo frutto rosso succulento e abbondante che cresceva selvaggiamente e che andavamo a raccogliere per frullati vari della nonna. Tante volte nel cestino durante il viaggio giardino-cucina non rimaneva niente e si doveva ritornare per raccoglierne altri.
Il profumo dei fiori d’acacia, alberi che fiorivano a maggio, e riempivano l’aria con miasmi dolci e attiravano molte api e formiche. Mi ritrovavo arrampicata sui recinti, dove questi begli alberi alti posavano i rami che scendevano quasi nelle mie manine alzate. Si mangiavano crudi i fiori di acacia oppure la nonna architettava delle focacce ripiene dei dolci fiori.
Il profumo dei fiori di melo che mi attiravano nel frutteto nei giorni soleggiati e caldi. Mi sedevo sotto e guardavo i rami stracolmi di fiori e volevo trasformarmi in ape per assaggiare il nettare dei fiori e soprattutto per poter arrivare così in alto per annusarli. Sovente prendevo qualche libro e leggevo sotto i meli e il vento mi portava una dolce neve di fiori di melo nei capelli.
Il profumo delle pere mature. C’era un pero che faceva crescere delle pere tardive succulente e belle gialle, con qualche parte rossa, lo chiamavamo il pero tardivo. Rievoco il profumo di questi frutti che inondava tutto il giardino e le nostre narici obbligandoci a raccoglierle. Non raccolte in tempo cadevano e si trasformavano in una poltiglia mostosa affollata da ogni tipo di insetto.
Il profumo, acido e ammuffito, della legnaia pronta costantemente a ricevere pezzi di legna nuova, odorosa di bosco, di segatura e di verde. La legnaia: luogo del mio incidente con l’accetta sulle dita quando scoprii il rosso vivo del mio sangue… La grossa bocca affamata di legna.
Il profumo della zuppa di crema di pomodori della mensa dell’asilo. Odiavo questa dolce acida minestra con quei semolini flosci. Balzana idea, eppure adesso amo la stessa minestra.
Per sfortuna nel mio naso era talmente penetrato quest’odore che identificavo la mensa con il profumo della così odiata zuppa. Proibivo a mia nonna e mia madre di cucinarla anche se la variante fatta da loro era decisamente migliore.
Fra altri profumi della cucina mi ricompaiono in mente quello delle castagne bollite nel latte, quello delle patate, funghi, mele cotogne cotte nella stufa. Che bei ricordi dell’infanzia.
Vicino alla nostra casa c’era una fabbrica dove in un bell’ufficio luminoso odorante di creosoto e di tabacco lavorava il nonno e che si chiamava la fabbrica di traverse impregnate per le ferrovie.
Il profumo delle traverse impregnate di creosoto come luogo di gioco. Le traverse erano sovrapposte una sull’altra in modo tale da formare un quadrato con spazio tra ogni traversa. Così edificate queste pile diventavano posto ideale per giocare a nascondino o altri giochi.
Non oserei chiamarlo profumo l’odore di tabacco nell’aria al mattino e soprattutto nei vestiti dei miei nonni paterni: eh sì, fumavano tutti e due. Allora non avevo la percezione del male che potesse fare il fumo: mi sembrava un altro modo dei miei nonni di far vedere che erano diversi, strani, misteriosi e magari, chissà, poteva anche piacermi. Adesso invece non sopporto il fumo.
Non solo la percezione dei gusti, ma anche la percezione dei profumi cambia quando si diventa adulti.

Inventario delle ricette di famiglia

C’è una moltitudine di ricette accoppiate a diversi racconti, poesie, favole e canzoni che fanno riemergere nella memoria tanti ricordi belli, brutti e anche pazzoidi. Purtroppo parecchie di queste non verranno fatte mai uguali perché i gusti dell’infanzia sono cambiati. Nei labirinti deliranti e fantasiosi della memoria di nonne, madri, figlie, nipoti e bisnipoti tali ricette rimarranno per sempre un mistero.
Le varie minestre di fagioli di nonna Lenuta con annesse leggende comiche sull’effetto dei legumi se non si cambia l’acqua di cottura. Tra gli ingredienti c’era anche qualcosa di insolito, che ancora oggi è segreto, e in più il dragoncello aggiunto a fine cottura.
Le minestre di patate con panna acida o senza, che fanno ricordare l’infanzia a mio padre e che mia madre cucina solo per fargli piacere e qualche volta per imbrogliarlo a mangiare verdure.
La famosa torta di noci e cioccolato che non saprò mai fare perché da piccola odiavo il cioccolato.  Quel gusto amaro torna ancora in bocca a pensarci. Povera nonna, per me faceva una versione noci e miele molto dolce che nessun bambino rifiutava ma gli adulti non gradivano. Che strano come si cambia il gusto e le preferenze quando si cresce.
La torta di mele intere che io adoravo e mia sorella riteneva banale e scipita. Ho provato a farla varie volte riuscendoci sempre perché non ci vuole talento da pasticcera ed è abbastanza facile.
Ovviamente ci sono anche le varie ricette di dolci e salatini fatte sempre da nonna L. in occasione di varie feste, quando si cucinava insieme e tutto diventava più bello e spassoso.
A queste si possono aggiungere un po’ di straforo le tante varianti per conservare i cavoli in salamoia, i pomodori verdi, le mele, le pere, l’uva, l’anguria. Ogni volta che racconto queste ricette di conserve per avere verdure in inverno, l’interlocutore italiano o si mette a ridere o rimane a bocca aperta.
Non mi dimenticherò mai le mani ossute e le lunghe dita di mia nonna che impastava le tagliatelle o tagliava le verdure o inventava qualche dolce squisito. In quei tempi mi piaceva tanto guardare lei e mia mamma cucinare e rimanevo affascinata dai racconti oppure dal suo canticchiare in cucina. Aveva una magnifica voce, la nonna.

 

Il racconto Un lascito di Andreea Luminita Dragomir è pubblicato in Lingua Madre Duemiladiciannove – Racconti di donne straniere in Italia (Edizioni SEB27)

Illustrazione tratta dalla fotografia “Le due Silvane” di Silvana Cojocăraşu, selezionata per il Premio Speciale Fondazione Sandretto Re Rebaudengo alla XVI Edizione del Concorso Lingua Madre.