Linguaggi

Non è facile Linguaggi

Scritto da Segreteria il 09 Marzo 2022

Donne che decidono di raccontarsi e scoprirsi in una lingua altra, svelando la parte più schietta e vulnerabile di se stesse. Una scelta che dà origine anche a infinite possibilità di sperimentazione. Racconti che testimoniano come reinventando la lingua si reinventa il mondo. Il desiderio di comunicare opera la trasformazione e risveglia le coscienze.

 

NON È FACILE
di Corina Ardelean [Romania]

Ti osservo. Sei chinata in modo quasi innaturale, sembri scomoda mentre ti pieghi sempre di più sulla tastiera. Le tue dita corrono veloci, quasi come se avessi paura di perdere i pensieri, di non riuscire a fermarli e renderli immortali nel tempo. Scrivi, scrivi velocemente poi, di colpo, ti fermi, imprechi qualcosa e apri la pagina di Google per cercare; “sogniamo si scrive con la i o senza?”. Fai qualche altra ricerca, le doppie ti mettono in crisi, “l’accento su sé stessi ci va o no?”.
Interruzioni. Spesso. Riprendi a scrivere, ma tutto scorre più lentamente. Sono svanite le idee, i tuoi pensieri si sono sgretolati. Il mondo intorno si è messo il pigiama ma tu, cocciuta, tenti invano di vestirti di parole. Alcune ti stanno strette, altre sono imperfette e molte di loro sono lacrime che scavano dentro. Fanno male.
E io, la tua invisibile coscienza, il tuo subconscio, ti sto accanto e ti osservo. Da sempre. A volte urlo, vorrei farmi sentire, a volte sussurro e molto più spesso vorrei essere braccia per poterti stringere, ma non posso. Sto sola qua, dentro di te, e ti osservo.
Come quella volta. Ricordi il giorno che sei partita? È stato quello il punto esatto in cui la tua vita ha iniziato a scorrere in parallelo, lo sai vero?
Quella mattina, esattamente alle 7.30, si è aperto il varco nella tua vita. Hai abbracciato tua madre e lei con voce strozzata dall’emozione ti ha chiesto:
– Tornerai, vero, me lo prometti che tornerai?
– Certo mamma, dimmi piuttosto cosa vuoi che ti porti da Vienna.
Lei, tristemente, ha scrollato la testa e ha bisbigliato un debole:
– Te. Riportami a casa te.
È uscita di corsa e sappi, tu non l’hai vista, ma te lo dico io, le scale in fretta le ha fatte piangendo.
Tuo fratello, invece, ti ha dato solo una pacca sulla spalla e sorridendo ti ha detto: «Mandaci una cartolina ogni tanto».
Poi è uscito senza aspettare la tua risposta e non ha visto la porta chiusa in fretta e tu che scivoli giù, singhiozzando.
Quella mattina avevi le ultime ore di romeno. Era dicembre e da tre mesi avevi avuto la grande possibilità di lavorare come supplente in una scuola alle medie, in un piccolo paesino di campagna. Professoressa di lingua e letteratura romena. Quanto eri felice. Era il tuo sogno, ricordi?
Amavi i tuoi alunni, persino quello furbetto che ti portò in classe il suo maialino con tanto di giustificazione scritta: “Peggy non sa leggere”.
Quell’ultimo giorno di scuola avete chiacchierato a lungo, tu hai dato loro i compiti delle vacanze con la richiesta di impegnarsi a finirli tutti perché al rientro delle vacanze non saresti stata clemente. Tu però sapevi già che era una promessa fasulla. Sapevi che non saresti tornata. Loro l’avrebbero scoperto tre settimane dopo, e nella lettera che ti hanno inviato con parole d’affetto, il tuo prediletto Vasile, quello che firmava le verifiche con cuoricini, aveva aggiunto un cuore spezzato e un post scriptum tutto in maiuscolo.
“CI AVEVA PROMESSO CHE SAREBBE TORNATA. LA SCUOLA È INIZIATA. LEI NON È QUA.”
Quello dei rimproveri è stato il tuo destino.
Più di un anno dopo, ti sei sposata con quel biondo, che tutto pareva tranne un italiano, conosciuto nella gelateria dove lavoravi. Al tuo matrimonio, in chiesa, tua mamma inconsolabile piangeva. Lo stesso pianto disperato, lo ricordi ancora bene, che avevi già sentito al funerale di tuo padre. Solo che in quel gelido primo febbraio, si stava celebrando il tuo matrimonio. Ma lei, lungimirante, lo sapeva già. Quel matrimonio ti avrebbe portato via per sempre, lontano da lei.
Il tuo primo Natale in Italia me lo ricordo ancora, fu tristemente nostalgico. Ti mancava tua madre, tuo fratello, gli amici e tutte le tradizioni romene. Era solo il primo perché poi a seguire, per anni, il Natale è stato il periodo nel quale hai sofferto di più. La tua vita prendeva contorni diversi, si disegnava lontana da tutto quello che avevi così tanto amato. Qua, in Italia, parlavi in una lingua non tua e facevi fatica. Scusa, ora sorrido se ripenso al tuo modo di fare gli auguri di Buon Anno, dimenticando, senza malizia, di usare le doppie.
La tua vita si svolgeva in parallelo con quella vissuta in Romania, continuavi a sbirciare nelle vite altrui, da lontano, e sono ancora ferite aperte i tuoi momenti di sconforto. Non era facile per te. Restavi la sera fino a tardi, china sui libri e sul dizionario e lo dicevi sempre: «La non padronanza di una lingua ti fa sentire impotente. Non poter esprimere ciò che si vuole esattamente, perché non si conoscono i termini giusti, è limitativo». Questo dicevi quando ti dovevi confrontare con coloro che parlavano la loro lingua.
Non era facile nemmeno quando, in modo divertente, ti prendevano in giro per tutte le parole dette senza la doppia o nel modo sbagliato. Tu sorridevi e facevi finta di niente, ma io so quanto ti sentivi piccola e inadeguata.
La tua fortuna? Quel figlio che ti ha insegnato non solo a essere madre, ma ti ha rivestito di un insolito ruolo di insegnante e studente nello stesso tempo. «Qual è la differenza tra articolo partitivo e preposizione articolata?». Più imparavi e più ti rendevi conto di quanto poco sapevi, e questa consapevolezza ti faceva stare male. Lo hai scoperto vent’anni dopo la tua partenza. Hai sempre amato le parole e quelle italiane le trovavi meravigliose, erano musica per la tua anima. Così è nata la tua passione per la scrittura. Quanta delusione nello scoprire che non puoi e non potrai mai scrivere come chi lo fa nella sua propria lingua. Lo dici ogni volta che qualcuno ti fa notare un’imperfezione nei tuoi scritti e tu provi a giustificarti, ricordando che questa non è la tua lingua madre.
Io vorrei rassicurati, dirti di non preoccuparti, ma non posso farlo perché, vedi, chi scrive per altri lo deve saper fare bene, lo deve fare bene. È una forma d’amore. Una forma di rispetto. Non è facile, lo so. Non lo era nemmeno trent’anni fa, quando l’italiano lo bisbigliavi appena, e non lo sarà tra altri venti. Tu lo dici a volte, con rabbia: «Io non sono né carne né pesce».
La tua lingua, quella che è tua e tua resterà per sempre, non la dimentichi, non potrai mai. Sono le tue radici, sono ben piantate nel tuo cuore e ti tengono aggrappata a ciò che eri, ti ricordano da dove vieni e chi sei. Questa lingua è tua, ma come una fotografia nel tempo sbiadisce, si perdono i contorni.
Hai smarrito qualche parola oppure non le hai imparate perché eri ancora acerba quando sei partita. Ti lamenti dicendo che il romeno non lo sai più come si deve e l’italiano uguale, non è perfetto nemmeno quello, ti senti a metà.
Ora ascolta, avvicina il cuore alle mie parole e senti questo che voglio dire a te e a tutti quelli come te. Non è vero che sei, o che siete, persone a metà, anzi. Devi sentirti fortunata perché sapersi esprimere in una lingua non propria è davvero magia.
Ti osservo e viaggio con te nel tempo. La tua scelta ti ha tolto qualcosa, hai perso momenti di vita quotidiana delle persone che ami, qualche matrimonio di amiche non lo hai vissuto, parenti che non sei riuscita a salutare perché andati via prima del tempo, vita e morte intrecciate e tu spettatrice lontana. Questa parte ti manca e io so che tu hai sofferto. Questo è il destino di chi vive lontano e questo è il motivo delle lacrime di una madre, i momenti non vissuti, quelli perduti, e tutto il dolore di una vita parallela lascia cicatrici sul cuore.
Le tue dita scivolano veloci sui tasti e so già che tra poco ti fermerai, cercherai risposte alle tue domande e poi ripartirai da capo. Da quel punto sospeso. Si parte sempre da un punto. I tuoi pensieri torneranno a danzare sullo schermo bianco, e scriverai velocemente o lentamente, non importa: ciò che conta è lasciarli viaggiare nel tempo.
E io resto qua, ti accompagno, ti sostengo e osservo, resto con te, dentro di te e sarò sempre il tuo subconscio presente perché di me avrai bisogno ancora, in tanti momenti.
Perché non è facile.

 

Il racconto Non è facile di Corina Ardelean è pubblicato in Lingua Madre Duemilaventuno – Racconti di donne straniere in Italia (Edizioni SEB27)

Illustrazione tratta dalla fotografia “I primi passi” di Luciane Cristina Cavarsan, selezionata per il Premio Speciale Fondazione Sandretto Re Rebaudengo alla XV Edizione del Concorso Lingua Madre.