Linguaggi

La mia autobiografia linguistica Linguaggi

Scritto da Segreteria il 23 Gennaio 2024

Donne che decidono di raccontarsi e scoprirsi in una lingua altra, svelando la parte più schietta e vulnerabile di se stesse. Una scelta che dà origine anche a infinite possibilità di sperimentazione. Racconti che testimoniano come reinventando la lingua si reinventa il mondo. Il desiderio di comunicare opera la trasformazione e risveglia le coscienze.

LA MIA AUTOBIOGRAFIA LINGUISTICA
di Sisi Luo [Cina]

Sono Sisi Luo, una persona che dedicherà tutta la vita alle lingue, nello specifico alla lingua italiana.
La mia famiglia è composta da cinque persone: io, mia madre, mio padre, mio fratello maggiore e mio fratello minore. Fra noi c’è un rapporto abbastanza buono. A casa parliamo soltanto usando il dialetto del Sichuan (una città che si trova nel centro-sud della Cina). I miei genitori non sanno parlare bene il mandarino, riescono soltanto a capirlo. Poiché il nostro paese è grande quanto il Duomo, loro non sentono la necessità di imparare il mandarino; inoltre, quando andavano a scuola loro, gli insegnanti parlavano in dialetto.
Invece io, quando avevo sette anni, andavo in una scuola che si trovava in una città più grande della mia. Infatti, proprio per andare a studiare in quella città, mi allontanai dalla famiglia. In quel periodo il mandarino era sempre più diffuso, tutte le nuove generazioni e gli insegnanti cominciavano a parlarlo. Il cambiamento non fu difficile, anzi sembrava molto naturale e facile.
I miei pagarono molto per permettermi di entrare in una scuola elementare privata, così da avere la possibilità di cominciare sin dal primo anno a studiare la mia prima lingua straniera: l’inglese (nelle altre scuole si comincia a studiare l’inglese al terzo anno di scuola elementare). Mi affascinava molto questa lingua così diversa dalla mia, nonostante in quel momento io non sapessi neanche da dove venisse e a che cosa servisse. Ai tempi, anche se avevo solo sette anni, studiavo con impegno e con tanta fatica, perché la struttura, la pronuncia, la grammatica, la scrittura e la logica erano completamente diverse dal mandarino. In più, era la prima volta che l’inglese faceva ingresso nelle scuole cinesi, quindi le insegnanti dovevano ancora trovare un metodo di insegnamento adatto.
Quando passai alla scuola superiore, purtroppo l’inglese diventò un esame obbligatorio, non più una mia passione.
Nonostante all’esame di maturità avessi ottenuto risultati positivi nella prova di inglese, dopo una decina di anni di studio, oggi l’inglese è per me come un quadro vuoto, una cornice senza dipinto, al cui interno non vedo nulla, neanche un brutto fiore. Non mi è rimasto nulla: ho una pronuncia terribile, uso una grammatica scorretta, ho difficoltà a strutturare le frasi. Eppure tutti dicono che l’inglese sia una lingua facile! In quei giorni mi sentivo come una macchina inventata solo per l’esame.
Poi, una volta entrata all’università, cominciò la mia storia con l’italiano. L’energia per studiare l’inglese era quasi esaurita, ma la fiamma per imparare una lingua straniera era ed è ancora viva. Così, dopo l’esame di maturità ho scelto la lingua italiana. A dire la verità all’inizio l’italiano per me era solo un pretesto, ovvero un’altra strada per scappare dalla matematica, una lingua straniera meno scelta dagli altri.
Il primo incontro con l’italiano avvenne con la lezione di fonetica, durante la quale la professoressa ci introdusse l’alfabeto per imparare la corretta pronuncia dei suoni: proprio come il Pinyin nel mandarino, basta guardare la parola per leggerla. Quando provai a leggere per la prima volta le parole, mi sono sentita quasi “magica”, perché ero in grado di pronunciarle. Questo era molto soddisfacente e mi diede il coraggio per andare avanti.
Dopo quattro anni mi laureai in Lingue in Cina. Ho studiato la lingua italiana “in esilio”; cioè, come ha descritto la scrittrice Jhumpa Lahiri, il mio rapporto con l’italiano si è svolto in esilio, in un paese di separazione. Tuttavia, poi avvertii la necessità di avere un’esperienza in Italia, così decisi di iscrivermi all’Università per Stranieri di Perugia. Era la prima volta che mi sentivo così vicino a questa lingua.
Poi tornai in Cina, dove lavorai per quasi tre anni in un’azienda privata italiana, nell’ambito della pasticceria. Ero lì in qualità di interprete.
Di recente, qualche mese fa, ho deciso di tornare nuovamente in Italia. Semplicemente, mi mancavano sia il paese sia la lingua viva, parlata dalla gente italiana. Adesso che sono in Italia, mi rendo conto che per fortuna l’italiano è diventato una mia passione per la quale potrei sacrificare tutto: il mio tempo, gli stipendi che ho depositato in questi anni, la famiglia…
Continuare a essere una studente mi fa piacere e l’approfondimento non basta mai, soprattutto quando si studia una lingua. Adesso sono iscritta all’Università degli Studi di Milano. Qui continua la mia storia con l’italiano. Il meglio deve ancora venire.

 

Il racconto La mia autobiografia linguistica è pubblicato in Lingua Madre Duemilaventitré. Racconti di donne non più straniere in Italia (Edizioni SEB27).

La fotografia è tratta da Quando il carnevale incontra il capodanno cinese di Beilei Zong [Cina] ed è stata selezionata per il Premio Speciale Fondazione Sandretto Re Rebaudengo alla XI edizione del Concorso Lingua Madre.