Le autrici di Lingua Madre

L'aquila in gabbia

Scritto da Segreteria il 10 Gennaio 2012

Pubblichiamo di seguito una favola inedita che Vilma Morillo Leòn – autrice del Concorso Lingua Madre – ha voluto condividere con tutti e tutte noi.

L’Aquila in gabbia di Vilma Morillo Leòn

Su una collina del Monferrato, con una bella vista del fiume Po,  nel portico di una cascina, c’era una gabbia nella quale viveva un’aquila. Di giorno per alcune ore all’aquila era permesso di volare per le vigne fino la sponda del Po. Lei emetteva il suo stridulo verso di caccia e agitava le ali per mantenersi in forma e volava in questo spazio. Mentre di notte, l’aquila, rinchiusa in gabbia, emetteva un cinguettio basso basso come un uccellino. Una notte un gufo la sentì e pensò << Non riconosco questo cinguettio, che uccello sarà? Sarà un pulcino raffreddato?…>> Cosi il gufo incuriosito si avvicinò alla gabbia e molto sorpreso esclamò: << Sei un uccello grandissimo! Ma fai dei piccoli versi strani di notte, chi sei? Perché sei in gabbia?>> Allora l’aquila stendendo le sue grande ali gli rispose con aria orgogliosa: << Sono il re degli uccelli, sono un’aquila reale >>. Il gufo tutto incuriosito gli chiese: << Cosa ti è successo? Perché non sei libera? >> L’aquila lo guardò e disse: << E’ tutta colpa del mio grido di caccia. Il mio verso mi ha portato fortuna e sfortuna. Ti racconterò la mia lunga storia se hai voglia di ascoltarla e poi mi capirai>>. il gufo disse : <<Son già stato a caccia e sono pieno pertanto ho tutta la notte per ascoltarti>>. << Quando iniziò il tutto ero soltanto un aquilotto, un giorno un po’ assonnato, riposavo su  un ramo di una quercia nei pressi di una città…quando una bella ragazza mi afferrò per le zampe e mi imbavagliò il becco cosi che non potessi difendermi, mi catturò e mi tagliò le piume delle ali per non lasciarmi volare via… mi teneva in una gabbia ma avevo la possibilità di  scorazzare nel suo cortile in mezzo a gatti e cani >>.

L’aquila al ricordo di come era bella la libertà vissuta dovette interrompere il racconto singhiozzando per la nostalgia dei tempi passati. Il gufo un po’ a disagio e con un nodo in gola, prese coraggio e le chiese: <<Amica capisco il tuo dolore, ti sono vicino… Ma dimmi perché sei finita in una gabbia?>>. L’aquila rispose << Un brutto giorno stufo della pappetta che la ragazza mi dava, la mia natura uscì fuori, emisi il mio verso di caccia e saltai addosso ad una gattina e la mangiai. Questo fatto sconvolse a tal punto la ragazza  mi rimise in gabbia e poi mi vendette a un uomo che era un falconiere e lavorava per una squadra di calcio>>.  Il gufo sbatté le ali dalla sorpresa, socchiuse gli occhi e le lanciò uno sguardo indagatore: << Una squadra di calcio? E cosa ci facevi?>>.
<< Era una squadra di calcio spagnola e i tifosi mi chiamavano Dulcinea, sai come la donzella di Don Chisciotte. Mi addestra-rono a volare senza uscire dall’area dello stadio e a fare il mio verso di caccia per incitare i tifosi. Per tornare poi al punto di partenza. I tifosi erano felici vedermi e sentirmi li caricava >>. Il gufo fece ondeggiare la testa con fare perplesso: << Ma sei in Italia adesso! A Sant’Anna di Casale Monferrato per essere precisi. Come sei finito qui?? >>
<<Te l’avevo detto che la storia è lunga. Passai alcuni anni come mascotte della squadra ma una notte, prima della partita, non mi sentii di fare il verso di caccia mentre sorvolavo lo stadio di calcio. Purtroppo, a causa della mia depressione, non fu la sola volta che mi capitò. Allora il proprietario della squadra si arrabbiò e minacciò di vendermi allo zoo di Madrid… Fortunatamente prima che accadesse,  un italiano mi vide aprire le ali ed emettere il mio grido di caccia. L’italiano rimase impressionato  dal mio atto. Riconobbe in ciò, grazie alla sua fantasia, l’aquila imperiale romana e mi comprò facendo la felicità dello spagnolo. Giunta a Roma mi fu cambiato il nome di Dulcinea per uno più glorioso e fui chiamata Olimpia. Adoro i romani!… Dovevo sempre volare sullo stadio quando giocava la squadra di calcio e a mio piacere potevo o no emettere l’urlo di caccia. Posso dire che stavo bene a Roma, la squadra manteneva me e la famiglia che mi ero fatta, mi davano migliaia di euro al mese, mi trattavano come una gran signora e mi rimpinzavano di ogni ben di Dio senza che dovessi fare molto fatica>>. Il gufo portò le ali sulla fronte e guardò fisso l’aquila: << Ma adesso sei un’aquila vecchia, allora sei in pensione. Perché non sei libera? Perché sei in una gabbia? E in Piemonte e non a Lazio? Con i soldi che ti sei guadagnato potevi comprarti una bella dimora su una vetta di una montagna e vivere agiatamente la tua vecchiaia >>. L’aquila replicò: << Sono libera di giorno, posso volare in lungo e in largo per l’estesa vigna  che si vede da qui. Ricordi che ti parlai di una ragazza che mi catturò tanti anni fa quando ero un aquilotto? Adesso lei è di nuovo la mia padrona, mi ha ripreso di nuovo con se perché ama vanagloriarsi con le sue vecchie amiche che sono stata l’aquila reale della squadra di calcio di Roma. Ma visto che  a Roma ci sono tanti gatti, per allontanarmi da loro, lei mi portò qui. Sai! Io sono un’aquila previdente e non voglio spendere miei soldi così, vivo in gabbia e vivo di quello che mi da la mia padrona. Io penso al futuro di mia figlia e voglio che lei possa vivere in un castello dove potrà volare quando non ci sarò più… Ti dirò mi sono abituata vivere qui e mi accontento del cibo che mi danno e, quando me la sento, faccio il mio strillo di caccia per ricordare alla mia padrona che sono un’aquila reale >>. Il gufo disse:
<< Amica mia, Mi dispiace dirti ma vivi limitata sia di giorno che di notte! e anche questo essere previdente non ti serve a nulla! Sei peggio che in gabbia… ti sei costruita la gabbia da sola! >>

Scritto da Vilma Morillo Leòn

(Qualsiasi riferimento a persone o a fatti realmente accaduti è puramente casuale).