Giornata Internazionale della Lingua Madre Festeggiamo con i racconti CLM
Scritto da Segreteria il 21 Febbraio 2014
Oggi, 21 febbraio, è la Giornata Internazionale della Lingua Madre. Una ricorrenza importante, istituita nel 1999 dall’UNESCO, per promuovere e valorizzare come patrimonio di tutta l’umanità la diversità linguistica e culturale.
Il blog, le pagine Facebook e Twitter del Concorso Lingua Madre rimarranno a vostra disposizione per commenti, riflessioni, immagini e storie che vorrete condividere sul tema. Noi iniziamo con due racconti… Aspettiamo i vostri contributi!
Io sono nata in Romania, nel novembre del 1998. Il mio latte e l’acqua delle fontane hanno radici romene. Anche i miei sogni e le mie speranze hanno radici romene. La loro realizzazione ha foglie italiane.
(…)Mi iscrissi a una nuova scuola, con nuovi insegnanti e nuovi compagni.
La mia mente era come avvolta da una specie di nebbia leggera che mi straniava e confondeva. I volti attorno a me sembravano indistinti come in certi sogni pieni di ombre.
Poi feci un gran respiro, mi diedi coraggio da sola ed entrai in aula. Un’insegnante mi sorrise e mi salutò in rumeno: «Salut, Nicoletta, bine ai venit!».
Fu allora che pensai che avrei preso il volo e riuscii finalmente a respirare calma.
Alla fine di quella giornata, distesa esausta sul divano di casa, pensai a tutta quella gente che lascia le proprie radici e parte alla ricerca di un posto di lavoro sotto un altro cielo. Gente sola che magari non ha proprio nessuno dall’altra parte.
Io ero molto fortunata perché la mia mamma già lavorava e parlava italiano bene. Così, ne ero certa, la sua nuova lingua sarebbe presto diventata la mia nuova “limba mama”, un’altra “lingua madre” perché era già quella di mia madre!
Nicoletta Andrea Orz (Romania), Limba Mama, in Lingua Madre Duemilatredici. Racconti di donne straniere in Italia (Edizione SEB27)
Posseggo una cassetta TDK con la voce monologante della Paní. In quel viaggio pre-89, già da adulta, era l’ultima volta che l’ascoltavo, mentre conversava con mia madre e coglievo qua e là frasi di una narrazione autobiografica, di una vita che diceva non essere stata “buona”. Registrai per poter risentire più tardi la lingua, la stessa di quando la seguivamo alla spazzatura o ascoltavamo la lettura delle filastrocche proiettate sulla parete.
(…) L’idea del nastro mi parve una gioia infantile che stonava con le parole sofferte e col cui eventuale ascolto spensierato o strumentale non so fare i conti; rimane in un cassetto, come custode di svelamenti carpiti indebitamente.
La lingua ceca, fluente nell’infanzia, oggi l’ho in gran parte perduta. Se ho provato a riconquistarla minimamente e sporadicamente sul posto, la breve permanenza dei nostri ritorni non ne ha mai permesso l’ancorarsi. Andare via e dimenticarla ogni volta.
Eppure è la lingua straniera non estranea perché amata, una melodia per le orecchie che la riconoscono e non la capiscono.
Un giorno il dizionario smascherò la forza centrifuga di certe differenze e in secondi addensò la distanza di linguaggi e di mondi. Stavo riscoprendo parole grazie a sforzi mnemonici e all’amore per la Paní, in quei pochi giorni di vacanza a Praga. Eravamo per strada e volli chiederle come si diceva ciò che indicavo toccando il tronco di un albero. Disse una parola sibillina. Più tardi presi il dizionario per verificare la traduzione di albero e scoprii che la parola da lei detta non era “strom”ma un vocabolo completamente diverso, già evaso dalla mente. Fu come essere scaraventati oltre il perimetro conosciuto da un vento che si intrometteva tra le vite, i punti di vista, gli universi e i saperi umani. Se avessi indicato una persona, né lei né nessuno avrebbe detto genericamente člověk, bensì: Milan, Honza,Vlasta; tuttavia non ricordo e non so se si sia trattato di un acero, un olmo, un frassino. A malapena li distinguo, nell’analfabetismo urbano capace di allontanare dal cammino alberi esili e robusti.
Paní è morta nel 2001 mentre ero troppo lontana e troppo occupata a parlare un’altra lingua.
Si chiamava Maria Ziglerova e ha un posto d’onore nell’albero genealogico sentimentale e multilingue che copre come rampicante ogni bastione e steccato. Devo ammettere di non aver recepito sul momento l’impatto storico delle immagini televisive dell’ultimo spartiacque del secolo: l’abbattimento del muro di Berlino; l’avevo varcato più volte nei vent’anni anteriori, per tornare a un richiamo di geografie senza timbri né torrette armate.
Impenetrabile più della terra che separa i morti dai vivi, rimane quel nome che distingue un albero da un altro.
Anna Basevi (Italia) – A COME ALBERO (Panì), in Lingua Madre Duemilatredici. Racconti di donne straniere in Italia (Edizione SEB27)