I libri pubblicati dalle autrici

La danza dell'orice Intervista all'autrice CLM Ubah Cristina Ali Farah

Scritto da Segreteria il 06 Aprile 2021

Un racconto che si fa romanzo, un’edizione artistica e preziosa: questo e molto altro si racchiude nel libro La danza dell’orice (Juxta Press) dell’autrice CLM Ubah Cristina Ali Farah. Ambientato a cavallo fra gli anni ’30 e ’40 del Novecento, il volume racconta di un viaggio dai tratti onirici che si materializza in un argomento da troppo tempo rimosso, quello degli zoo umani, muovendosi fra Corno d’Africa e Italia. Ne parliamo con la scrittrice in questa intervista.

Nel suo libro La danza dell’orice affronta una realtà largamente rimossa e proprio per questo generalmente sconosciuta al pubblico, cioè quella degli zoo umani. Da cosa nasce l’esigenza di raccontare questa storia lontana e quali sono i legami che si possono trovare nel presente?

L’origine dell’idea, quella di lavorare sugli zoo umani, deriva da una duplice suggestione. La prima è relativa alla narrazione circolante su Sarah Baartam, più comunemente conosciuta Venere ottentotta. La sua storia mi affascinava e nello stesso tempo inquietava, soprattutto dopo aver visto il film di Abdellatif Kechiche, Vénus noire. Volevo cercare di creare una donna che rappresentasse tutto ciò che Sarah avrebbe voluto essere, senza che le circostanze glielo permettessero. La protagonista de La danza dell’orice è consapevole della sua posizione e dello sfruttamento che subisce e vi si oppone. Nello stesso periodo mi sono imbattuta in un meraviglioso saggio di Matteo Petracci, Partigiani d’oltremare (Pacini Editore), in cui l’autore racconta la vicenda di un gruppo di eritrei, etiopi e somali che vengono condotti a Napoli per la Mostra d’Oltremare e rimangono intrappolati nella penisola per via dello scoppio della Seconda Guerra Mondiale. Molti di loro finiranno per unirsi alla resistenza. In Italia la storia degli zoo umani è pressoché sconosciuta e il legame con il presente è sicuramente legato al rischio dell’essenzializzazione, quello per cui si cerca sempre, nel discorso pubblico, di definire e creare identità definite che si rivelano alla fine fittizie.

La protagonista del suo libro si discosta da ogni stereotipo. Ritiene anche lei che quando si tratta di soggettività femminile – tanto più se migrante, straniera – il confine tra umano e animale, tra naturale e razionale, tra corpo e spirito sia assai labile? Ritiene che la dominazione delle donne e della natura sia collegata – storicamente, materialmente, culturalmente – e che sia altrettanto evidente che lo sfruttamento ambientale e i disastri naturali abbiano un effetto più grave sulle donne?

L’ambiente è molto importante nel racconto. Ho scelto deliberatamente di non fornire nessun chiaro indizio geografico, sebbene alcuni elementi siano riconoscibili. Indubbiamente ritengo che la dominazione della natura e delle donne sia collegata. Il deserto all’inizio, il modo in cui la protagonista del racconto reagisce alla siccità compiendo piccoli atti empatici e generosi e poi, come nelle favole, ne sia miracolosamente ricompensata. Una sezione molto importante per me è quella relativa al parto. Mentre lavoravo al racconto, un amico scrittore mi disse che si può scrivere di tutto, ma non di quello che non si è mai vissuto. E come uomo, sosteneva che nessuno avrebbe potuto raccontare l’esperienza del parto. Ebbene, l’ho presa come sfida, sebbene sia sempre io, una donna, a scriverne. Cosa succede quando un uomo è così immedesimato nel parto da sentirne sul suo corpo gli effetti? È solo un piccolo auspicio. L’auspicio che attraverso l’empatia riusciamo a restare connessi, gli uni agli altri e con gli elementi naturali che ci circondano.

Wangechi Mutu – I Have Peg Leg Nightmares (2003)

L’edizione del suo libro è accompagnata dalla riproduzione di un’opera di Wangechi Mutu, pittrice e performer di origine keniana. Ci può spiegare il perché di questa scelta e quanto questo si leghi alla sua narrazione?

Sono sempre stata molto affascinata dal lavoro di Wangechi Mutu. La sua enfasi sul corpo femminile (in senso anche anatomico), l’attenzione per l’ambiente. Inoltre è un’artista della mia generazione. Quando Juxta Press mi ha commissionato il testo per la serie Words for Portraits, ho subito pensato a lei. Il suo lavoro per me è fonte infinita di ispirazione e di possibili narrazioni. Osservando attentamente l’opera da me scelta, si ritrovano molti elementi che poi sono andati a confluire nel racconto.

 

Ubah Cristina Ali Farah presenterà il libro in diretta Facebook sulla pagina di Centro Pace Friedenszentrum di Bolzano, in dialogo con Stefania Ragusa, giornalista per il mensile Nigrizia e per il gruppo Internationalia (Africa Rivista, Africa & Affari, InfoAfrica, Infomundi). Appuntamento giovedì 8 aprile alle ore 18.00.