"Invito alla scrittura" per la Giornata dei Diritti
Scritto da Segreteria il 10 Dicembre 2013
Il 10 dicembre è la Giornata Mondiale dei Diritti Umani e Il Concorso Lingua Madre per l’occasione invita tutti e tutte a scrivere, condividere, confrontarsi sul tema. Potrete partecipare per tutta la giornata direttamente qui sul blog (lasciando un commento a questa notizia), su Facebook e Twitter (utilizzando l’hastag #invitoscritturaCLM e taggando @InfoCLM).
Aspettiamo i vostri contributi!
C’erano una volta delle fanciulle dai piedi nudi. C’erano una volta la ruvidità del giorno e il gelido della notte. C’erano una volta Idriss, le sue sorelline, il Sahara, la povertà e il destino, labile come una barkane.
Un triste giorno, il vento del nord portò con sé un imponente cavaliere, la sua astuzia e una proposta lusinghiera: sette paia di piccoli sandali, fatiscenti, ma indispensabili all’ego di chi dalla vita aveva ricevuto quasi nulla. Le labbra di Idriss, da poco tatuate di nero, fissarono gli occhi disperati di sua madre e, in quel momento, capì che nulla al mondo avrebbe permesso, a una primogenita come lei, di sfuggire alla propria sorte. Nel deserto, niente era dovuto, persino i figli avevano un prezzo. Non ci furono saluti né parole di conforto, Idriss non portò con sé il dela e nessuno richiese mai il goroga per l’uccisione dei suoi sogni. Anch’essi avevano un costo, ed era stato concordato e pagato in quell’infausto pomeriggio in Ciad.
Partirono verso est. Guardando i palmeti dell’oasi di Fada che scomparivano al tramonto, Idriss strinse a sé il proprio cuore e si addormentò; quando si fece l’alba, non era più una bambina. Protetto dall’immensità oscura di quella notte, il maestoso cavaliere si era spogliato dallo chèche, svelandole il mare di malvagità nel quale avrebbero navigato i suoi anni a venire. E fu fedele alla sua promessa.
Karla Pegorer Dias [Brasile] – FAVOLA DI SPERANZA
Mine antiuomo, kalashnikov, detriti, vittime, vedove, soprusi, violenze, ribellione, integralismi, sopravvissuti, innocenti, odio, militari, barbarie, interessi, torture, occupazione, distruzione, carcasse, orrore, morti, bambini, brandelli, fumo, scontri, feriti, orfani, bombe…
Bombe. Il rumore continuo, incessante delle bombe che battono sui tetti delle case è il preludio ad una immane strage di innocenti civili, che solo un’atmosfera così può evocare. L’asfalto è diventato un miscuglio di macerie, cenere e sangue che si riversano sulle strade. Non si scorgono angoli illesi, e nemmeno luoghi a cui questa guerra incessante non abbia fatto visita almeno una volta.
(…) Tra i detriti e le macerie giacciono inermi carcasse, corpi privi di vita, privi di dignità, di rispetto, senza nessuna distinzione, non viene fatta eccezione neanche ai bambini, alle donne, agli anziani.
Popoli sterminati dall’odio, dall’inaudita violenza.
Mogli che piangono la scomparsa di mariti, bambini privati dell’affetto di un padre, donne che vengono violentate senza pietà da loschi mostri in divisa, bambini rimasti soli al mondo troppo piccoli per badare a loro stessi. La ferita all’umanità è grande e non c’è cura che la guarisca, è una cicatrice che tutti noi stiamo ignorando, una cicatrice che ci riguarda da vicino più di quello che sembra…
E poi quella terribile paura e consapevolezza che tutto questo è reale. Non è solo un incubo.Voglio gridare allo scandalo, non voglio rimanere nell’inquietante omertà che mi circonda. Voglio fare qualcosa. Dobbiamo fare qualcosa. Scuotiamo le nostre coscienze. Non dobbiamo renderci schiavi dell’egoismo di massa, dell’accondiscendenza che sta sempre più penetrando nei nostri animi. Indignarci è il minimo che possiamo fare. Dov’è finito il senso del dovere? L’aiuto al prossimo?
Perché ci rifiutiamo di vedere la realtà? Perché viviamo nell’omertà più silenziosa che si insedia sempre più nelle nostre ossa, nella colonna vertebrale della coscienza delle masse?
Troppe lacrime versate, troppe ingiustizie subite, troppi feriti, troppi orfani, troppi morti in nome di ideali interessi non condivisibili.
Non vi è alcuna parola di conforto, nessun pensiero, nessun libro per raccontare il dolore. Non vi è nessuna lacrima, nessun mare che può spegnere il fuoco. Non vi è alcun dio che scendendo possa porre fine a tutto questo. Solo noi possiamo fermare questo cerchio.
Hamida El Bennaoui [Marocco] – LA NUBE SULLA PACE
Mi chiamo Munira, ho trentanove anni e sono una zingara. Vivo in Italia da sempre, eppure per l’anagrafe non esisto. Sono figlia di genitori bosniaci e sono bosniaca, così almeno dicono i miei genitori, ma sono nata a Torino in un campo dove la mia nascita non è stata denunciata. Ho un certificato anagrafico croato, che però non mi serve per riconoscere la mia cittadinanza; in seguito mio padre mi ha denunciata in Jugoslavia cercando di attestare la mia esistenza.
(…) Tutto quello che possediamo è frutto di elemosina e dell’aiuto di alcuni amici italiani, tra cui Emma, l’affidataria di due delle mie figlie. Vivere di elemosina è difficile, ma ho scelto questa vita per non rubare.
A noi un lavoro chi lo darebbe?
Abbiamo però noi stessi, la nostra ricchezza interiore, il nostro mondo denso di tradizioni così arcane per l’altra gente, un mondo chiuso, misterioso: spesso le persone temono proprio quello che non conoscono.
(…) I nostri abiti sono leggeri, inadatti al freddo inverno di Torino, come leggera vorrei che fosse la nostra vita. (…) Ho scelto comunque di mandare i miei figli a scuola, dal momento che io non ci sono potuta andare, peraltro, quasi nessuno di noi andava a scuola, forse qualcuno soffriva per questo, ma non lo diceva apertamente; anche oggi la maggior parte di noi non manda i propri figli a scuola. Io comunque ho sofferto e rimpiango di non esserci andata, perché sono sicura che sia importante saper leggere e scrivere; e così guardo fiera i quaderni dei miei bambini pieni di segni e colori e imparo con loro.
Emma Ajassa, Munira Alilovic e Maria Orrù [Italia] – MI CHIAMO MUNIRA, SONO UNA ZINGARA