Per una nuova educazione interculturale Intervista a Jelena Zivkovic
Scritto da Segreteria il 27 Settembre 2023
di Elena Pineschi
«Da jugoslava sono diventata serba, senza aver avuto alcuna voce in capitolo. Oggi mi considero europea anche se, dato che la Serbia non fa parte dell’Unione Europea, quando scrivo il luogo dove sono nata devo riportare EE – extra europea» così racconta l’autrice CLM Jelena Zivkovic, nata a Belgrado.
In Italia da più di trent’anni, oggi è responsabile dell’associazione di promozione sociale IntegrART che ha fondato a Treviso proprio per condividere con le persone migranti quello che lei ha appreso in prima persona su lingua, cultura, cucina, storia e, soprattutto, arte.
Questa infatti diventa il principale strumento di inclusione sociale dei soggetti vulnerabili a cui si rivolge – richiedenti asilo da Africa e Asia, oltre che da Sud America o Cina, ma anche giovani italiane/i che hanno lasciato l’Italia per cercare una vita migliore.
La missione di IntegrART consiste innanzitutto nell’avvicinarli alla cultura europea e – ancora più importante – nell’arricchire essa stessa tramite un modello educativo alternativo che l’autrice racconta in quest’intervista.
Quando ha lasciato il suo paese d’origine, ha iniziato a lavorare come interprete e traduttrice, collaborando con periodici serbi per articoli di attualità e cultura. A fianco si è sempre dedicata al disegno, al collage, alla calligrafia. Come ha vissuto quest’esperienza e che ruolo ha avuto l’arte?
Dopo essere nata a Belgrado nell’ex Jugoslavia, ho abitato per due anni in Canada e ora sono da moltissimi anni in Italia. Anche se fortunatamente non ho vissuto la guerra jugoslava, la mia vita e quelle dei miei amici e familiari in quegli anni sono cambiate per sempre perché molti di noi hanno lasciato il paese e hanno cominciato da zero in diverse parti del mondo. Ho vissuto, quindi, personalmente e attraverso i racconti delle persone a me più care, tutte le fasi della perdita di identità, difficoltà e anche gioie di questi trasferimenti forzati.
Che cosa ci rimane quando, in mezzo ai nostri piani, in mezzo alla nostra vita, all’improvviso restiamo senza nulla, senza più punti di riferimento, magari dall’altra parte dell’oceano? E in più etichettati non solo più come “slavi” ma anche “serbi”, un’etichetta che negli anni Novanta attraverso i media ha assunto un significativo decisamente poco nobile. E, parlando di donne, essere una “slava” o una “serba” assumeva ancora un altro significato, ancora più difficile da portarsi appresso.
In tutte le situazioni difficili mi ha aiutato soprattutto l’arte: una bella mostra, un concerto, l’opera, leggere un bel libro, ma anche suonare il pianoforte, scrivere, disegnare o sentire bella musica per strada. Sono state le uniche “bolle di tranquillità” in mezzo a tante situazioni tossiche e pericolose. Per questo motivo considero qualsiasi espressione artistica un’emozione e non la proprietà di musei o fondazioni culturali, come invece ci fanno credere. Spesso queste si rivolgono a un pubblico colto creando “lobby” incapaci di condividere la ricchezza dell’arte con le newcomers’ communities e la maggior parte delle persone in questa bella società multiculturale in cui viviamo.
Come e perché il suo percorso personale e professionale l’ha portata alla fine a fondare IntegrART?
Essendo la migrazione un argomento che mi sta a cuore, quando nel 2015 ho visto le prime immagini in televisione di persone che arrivavano dall’Africa sfidando mille difficoltà e il Mar Mediterraneo, non sono riuscita a stare con le mani in mano e girarmi dall’altra parte, così ho pensato: che cosa posso fare per aiutare?
Come interprete e traduttrice ho pensato alla lingua: anch’io sono arrivata in Italia sapendo dire solo “Buongiorno” e “pizza”. All’inizio per impararlo non ho seguito corsi (anche se poi ho conseguito il diploma C2 all’Università per Stranieri di Siena, così come il Diploma specifico per insegnare italiano alle/agli stranieri) ma ho guardato il TG, letto Topolino, ascoltato tutto quello che si poteva ascoltare… Mi ricordo le prime frasi in italiano, quanta soddisfazione mettere insieme le parole, costruire frasi, farsi capire, cercare e incastrare parole nuove come con i Lego. E così ho pensato, ed è quello che dico anche alle/ai miei studenti nel centro di accoglienza straordinaria in cui insegno dal 2016: «Se sono riuscita io, può farlo chiunque».
In questo centro ci sono persone che, giustamente, si occupano di posti letto, salute, documenti… ma nessuno per la cultura e le loro tradizioni: che lingue parlano, cosa sanno fare, chi sono, cosa gli interessa…
Dico solo che in questo momento i miei studenti parlano 23 lingue: non serve essere linguisti per capire la ricchezza di queste classi. Per non parlare della loro differente scolarizzazione, età e cultura – tutto quello che oggi viene etichettato con una sola parola: “migranti”.
Questo migration jam è solo un problema, come ci fanno credere i media, oppure può essere una grande opportunità di arricchimento per tutti? Io sono convinta della seconda risposta anche perché indietro, per quanto ci si prova, non si riesce a tornare.
Sono stata travolta dalle storie, dagli sguardi, dai sorrisi che queste persone mi hanno regalato. Posso dire che ho imparato tanto quanto ho insegnato. Nessuno di noi operatori è stato formato per lavorare nei centri di accoglienza, semplicemente perché non esistevano esperti in questo campo visto che si tratta di un fenomeno migratorio recente e eccezionale.
Allora ho pensato di combinare queste culture con la cultura italiana ed europea e di avvicinare le istituzioni artistiche e culturali a una realtà così lontana: per questo ho fondato IntegrART.
Mi sono chiesta spesso se fosse compito mio quello di insegnare la storia dell’arte italiana, parlare di scrittori, attori, dell’opera… ma guardandomi attorno non c’era nessuno che lo facesse, nessun “esperto” che avesse voglia di condividere il proprio sapere non con chi già sa, ma con chi di queste cose non sa proprio nulla, ma ha tantissima curiosità e voglia di sapere!
“Contaminazione artistica. Educazione interculturale”: questa l’incisiva descrizione della vostra associazione. È molto significativo che abbiate scelto di agire proprio attraverso sensibilità artistiche e tradizioni culturali. Ci parla dello sviluppo dei vostri workshop e progetti?
Quanto attraverso l’arte viene potenziato il dialogo e, di conseguenza, l’inclusione?
Nel 2017 siamo partiti da Binario 1, uno spazio comunale abbandonato e ristrutturato come centro culturale aperto a tutte e tutti. All’epoca il presidente era Marco Zabai (ora vicepresidente di IntegrART) che ci ha aperto le porte gratuitamente e così abbiamo potuto fare i primi laboratori. Erano impostati per dare risposte alle domande che le/i richiedenti asilo mi ponevano durante le lezioni e che non avevamo mai tempo di approfondire: sull’arte, sulla cultura e politica europea, su usanze italiane, teatro, musica… Ma devo dire che la curiosità era reciproca perché anche io volevo sapere di più sulle loro lingue e tradizioni.
Nel giro di tre mesi abbiamo avuto circa 60 richiedenti asilo e si sono aggiunti 9 volontari. L’interesse era enorme e non venivano solo miei studenti ma, per passaparola, anche ragazzi da altri centri di accoglienza, a volte pedalando d’inverno per molti kilometri per partecipare.
Da lì non ci siamo più fermati, abbiamo coinvolto le scuole, le biblioteche, le associazioni locali, dando un significato nuovo a quella che viene definita educazione interculturale ma che nella maggior parte dei casi ha poco o nulla a che fare con queste parole. Man mano abbiamo cominciato a organizzare visite nei musei, laboratori d’arte, insomma tutto quello che sembra molto complicato e fatto per i “professionisti del settore” e di cui, in realtà, ciascuno di noi ha un proprio pensiero. Abbiamo creato spazi sicuri in cui si poteva parlare di tutto senza paura di essere giudicati o fraintesi. Abbiamo insegnato e imparato, raccontato e ascoltato.
Solo per fare un esempio tra i tanti. Letture sotto il baobab è stata una rassegna svolta nella biblioteca per ragazzi Brat di Treviso, in collaborazione con l’associazione culturale Abibrat – letture animate per bambini. I richiedenti asilo raccontavano a bambine e bambini le fiabe africane dei loro paesi d’origine – Burkina Faso, Gambia, Costa d’Avorio, Sudan, Guinea Conakry e Senegal – seduti in cerchio e con un fuoco in cartapesta al centro: abbiamo ricreato l’atmosfera africana dei racconti serali sotto i baobab. I paesi venivano raccontati anche attraverso immagini e parole nelle loro lingue locali. L’impatto sociale è stato tale che si è creata una lista di attesa per partecipare, nella quale c’erano le stesse persone che, incontrando i richiedenti asilo per strada, per paura, spostano la borsa da una mano nell’altra. Il fatto di vederli in biblioteca cambia la percezione di paura/sicurezza e accende la curiosità. Questo nostro programma è stato inserito tra le buone pratiche di New European Bauhaus e Unlearning Stereotypes.
Negli anni abbiamo poi organizzato e partecipato a progetti europei e anche internazionali – ciascuno di questi avrebbe bisogno di un approfondimento come nuovi modi di approcciarsi alle comunità vulnerabili e periferiche.
Comprendono, appunto, una libera “contaminazione artistica” e una vera “educazione interculturale” in cui siamo tutte e tutti pari e viene valorizzata ogni competenza. Ciò capovolge completamente le basi dell’educazione scolastica attuale inserendo tra le nozioni una componente speciale: l’umanità, basata su diritti umani ed eguaglianza.
Un altro degli obiettivi dell’associazione è innescare processi di rigenerazione urbana tramite l’arte e il riuso di spazi a fini sociali. Quanto è importante radicare le vostre attività sul territorio e come riuscite a farlo?
Ci definiamo “incubatore mobile” perché ci muoviamo dove serve – e serve dappertutto! In questi anni ci hanno contattato diverse istituzioni culturali e abbiamo avviato collaborazioni non solo a livello locale: partecipiamo da quattro anni al progetto Altri Sguardi di Palazzo Grassi a Venezia, a Mother Tongues a Dublino o IPYG (International Peace Youth Group) a Ginevra.
Nonostante questo, l’unico vero sostegno l’abbiamo ricevuto dalla Moleskine Foundation nel 2022 quando siamo stati selezionati nei 50 vincitori del bando Creativity Pioneers Fund, tra più di 1.200 organizzazioni da tutto il mondo.
Lo spazio che utilizziamo per i nostri laboratori, Binario 1 a Treviso, rappresenta una via di mezzo tra le desolate condizioni dei centri di accoglienza e lo sfarzo delle grandi istituzioni artistiche, in cui tutti ci possiamo sentire a nostro agio ed esprimere liberamente.
Tutti i nostri progetti, con piccole modifiche, sono replicabili in qualsiasi altra città o paese. Siamo convinti che riuso degli spazi comuni, sostenibilità e progetti low cost fanno parte della nuova industria creativa ma, aggiungiamo pure, che non abbiamo avuto molta altra scelta, senza un sostegno concreto o uno spazio per le nostre attività.
Studi sui fenomeni migratori evidenziano che i richiedenti asilo sono prevalentemente giovani e maschi quando si tratta di presenze in transito, mentre nei casi di flussi stabili le donne arrivano a essere ben oltre la metà del totale (Rapporto immigrazione Caritas-Migrantes 2022). In linea generale la vostra esperienza rispecchia queste percentuali?
Ha notato differenze e/o cambiamenti nel tempo rispetto alle dinamiche di migrazione e di relazione per quanto riguarda le donne?
Nel centro di accoglienza straordinaria in cui lavoro adesso la maggior parte degli arrivi sono uomini tra i 18 e i 25 anni. All’inizio del 2023 la maggioranza proveniva da Bangladesh e Pakistan, poi per un periodo dall’Egitto e ora sono di nuovo persone provenienti dall’Africa sub-sahariana, con la novità che ci sono anche molti tunisini.
Quando ho iniziato, nel 2016-2017, ho avuto intere classi di donne, soprattutto ragazze nigeriane spesso parte della tratta di prostituzione. Non le voleva “nessuno” perché la loro presenza nei centri di accoglienza implica diverse complicazioni; personalmente invece mi sono divertita moltissimo con loro.
Eppure nelle attività di IntegrART partecipano moltissime donne provenienti da tanti paesi tra cui Nigeria, Pakistan, Russia, Cina, Venezuela, Argentina, ecc. Ci tengo molto a capire dove sono queste donne che non arrivano nei centri di accoglienza: nei prossimi due anni questa sarà proprio una delle domande a cui cercheremo di rispondere col nuovo progetto In the (he)ART of Europe. Si tratterà di una ricerca socioculturale che metterà insieme le nostre competenze e collaborazioni attuali, coinvolgendo anche nuovi partner non solo in Italia.
Per le descrizioni approfondite dei progetti e per tanti altri contenuti vi rimandiamo alla sezione specifica del sito di IntegrArt e ai loro canali social Facebook e Instagram!