In riva al Tagliamento Intervista a Marcela Luque
Scritto da Segreteria il 25 Ottobre 2022
L’autrice CLM Marcela Luque racconta in questa intervista il suo nuovo romanzo In riva al Tagliamento, pubblicato da Besa Muci, casa editrice con cui il Concorso collabora da anni anche per la rivista «Crocevia» da loro edita con una sezione dedicata al progetto.
Come racconta la quarta di copertina, durante il tragitto in pullman che lo porterà all’università per iscriversi alla Facoltà di Architettura, Antonio si perde nei ricordi della sua giovane vita trascorsa in Sudamerica, dove i genitori sono emigrati. Quel giorno il ragazzo conosce un altro studente, Fabio, che ha lo stesso cognome di suo nonno Arduino, trasferitosi da uno sperduto paese italiano nel Nuovo Mondo, in cerca di fortuna. La bizzarra coincidenza sarà l’inizio di un viaggio nella storia di una famiglia lacerata dalla guerra e dall’emigrazione, da lutti e conflitti famigliari che neppure il tempo ha saputo sanare. Un romanzo che unisce diverse generazioni e due mondi, l’Italia e il Sudamerica, nell’arco di un Novecento in cui si intrecciano storie di miseria e coraggio, fra la nostalgia della patria e il futuro che aspetta dall’altra parte dell’oceano.
Questo è il suo primo romanzo. Cosa ha significato per lei cimentarsi con questa nuova forma di narrazione?
In realtà è nato come un racconto, diventato poi estremamente lungo. Quindi sono stata assalita dell’idea – e anche dalla necessità – di trasformarlo in un romanzo.
Cimentarmi con questo tipo di narrativa ha significato per me mettere in atto tante competenze provenienti da altre aree e che mai avrei pensato potessero mettersi al servizio della narrativa. Più nello specifico, la pianificazione: pianificare la storia, comporre luoghi e personaggi; evitare ridondanze o ripetizioni di idee, creare dei conflitti per poi doverli risolvere… In quei momenti mi è venuto in mente quella volta in cui chiesero al Manzoni come avesse fatto per scrivere un capolavoro come I Promessi Sposi e lui rispose schiettamente: “Pensandoci”. Abituata al racconto forse avevo idealizzato la narrativa come l’azione di sedersi alla scrivania e di scrivere, ma avevo del tutto trascurato i processi che spesso sono precedenti all’atto della scrittura vera e propria.
Ho fatto molta fatica a dare un nome ai personaggi. Questo perché mi piace che sia il lettore a immaginare i posti e i personaggi perciò il fatto di dover assegnare a ognuno di loro un nome e non un altro è stata un’esperienza limitante, da un certo punto di vista. Visto che ho pianificato altri cinque libri direi che dovrò farmene una ragione…
In riva al Tagliamento è un’epopea familiare che si sviluppa tra passato e presente, tra l’Italia e il Sudamerica. Qual è stata la genesi del suo libro?
Il tutto è nato da una storia reale e così ho iniziato a scrivere il racconto. In effetti credo sia il realismo l’epicentro della mia narrativa.
Poi però ho sentito che vi erano degli aspetti della nostra storia di immigrazione all’estero nel secondo dopoguerra (non solo in Sudamerica ma anche in America) che spesso vengono del tutto trascurati dalla letteratura e che abbinati a quella storia contribuivano a renderla più colorita e magari anche a documentare come vissero gli italiani che emigrarono più di settanta anni fa.
Da cosa è nata la necessità di raccontare questa particolare storia e quali sono i temi a lei cari che ha voluto trasmettere?
La necessità di raccontare storie è nata una volta che ho sentito di aver raggiunto una certa maturità: sia nella quantità e qualità di opere che avevo letto, sia nel mio vissuto. Ammetto però di non sentire una grande necessità di dire qualcosa di specifico, di esprimere qualche giudizio morale oppure qualche convinzione di quelle che possano cambiare il corso dell’umanità. Semplicemente si tratta di raccontare storie e ho scelto di raccontare per prima questa in quanto il debito che penso abbiamo nei confronti della Prima Guerra Mondiale schiacciata tra la Seconda, la Guerra Fredda e gli Anni di Piombo è un tema a me molto caro.
Come secondo tema vi è quello del realismo. Sono convinta che siano le persone più ordinarie a nascondere le storie più straordinarie e questo è indubbiamente il caso: una famiglia di emigrati italiani in un posto dove più della metà delle famiglie erano emigrate dall’Italia, insomma una famiglia qualunque. Tutto sembra indicare che si tratti di una consuetudine inalterabile, e invece…