Le autrici di Lingua Madre

In esclusiva l'intervista a Luisa Muraro In dialogo con Daniela Finocchi

Scritto da Segreteria il 19 Dicembre 2011

Ecco l’intervista che Luisa Muraro ha rilasciato al Concorso Lingua Madre in occasione dell’appuntamento sul suo nuovo libro Non è da tutti. L’indicibile fortuna di nascere donna (Carocci Editore), tenutosi il 14 novembre alla Biblioteca civica Italo Calvino di Torino.

Daniela Finocchi: Seguendo ormai da sette anni il progetto del Concorso letterario nazionale Lingua Madre (destinato alle donne straniere, con una sezione per le italiane che vogliano “raccontare” le straniere) e tutte le attività che lo riguardano, ci interessava farle alcune domande sulla presenza delle donne nell’ambito del fenomeno migratorio,  sapere quale lettura dà lei della migrazione contemporanea e in che cosa questo confronto tra donne straniere e donne italiane sta cambiando o può cambiare la realtà.

Luisa Muraro: Il vostro progetto è affascinante per l’importanza che ha la lingua in questi scambi dove le differenze in gioco sono molte… La mia riflessione ha incrociato il tema al centro del vostro progetto, che ha molti aspetti naturalmente. Speriamo allora che le vostre domande si avvicinino al qualcosa che ho da dire utilmente. Anche la rivista Via Dogana della Libreria delle donne di Milano a suo tempo ha parlato del valore dell’immigrazione femminile, è stato in occasione di una trasmissione che aveva fatto Gad Lerner per il suo tradizionale “Infedele”. Un primo maggio aveva deciso di invitare e intervistare donne immigrate: fu un’ottima trasmissione, le invitate hanno parlato della propria esperienza di vita in Italia con una bella energia. Io l’ho vista da casa mia e poi l’abbiamo riproiettata e commentata al Circolo della rosa. In studio c’era Marina Terragni, che parlò (e poi scrisse sulla rivista della Libreria) in risposta a un’analisi sociologica statunitense, fatta in termini di sfruttamento di classe. Lei fece un quadro diverso, più ricco e vario, descrivendo anche situazioni di scambio e di amicizia. Con un progetto simile al vostro, una docente tedesca dell’Università di Verona, Lisa Jankowski, ha costituito a Verona un gruppo, Isthar, che riunisce donne immigrate (lei stessa lo è) intorno alla ricchezza delle differenze sia per quel che riguarda la lingua vera e propria, ma anche i linguaggi, come il cibo, i vestiti, il canto…

Daniela Finocchi: A proposito di quanto sta dicendo, sulla diversa prospettiva proposta da Marina Terragni, lei non trova che quello che avviene oggi con la presenza delle badanti, delle babysitter, delle collaboratrici domestiche, non sia altro poi che un ricostituirsi di quelle società al femminile di una volta. Non so, pensiamo alle vecchie cascine, dove c’erano sempre la nonna, la zia zitella che badavano ai bambini e intanto le altre andavano a lavorare nei campi… Erano delle comunità al femminile costituitesi per svolgere i lavori di cura. Oggi queste donne non fanno parte dello stesso nucleo familiare, però mi sembra che si vada a ricostituire un modello che è proprio delle donne e del loro modo di affrontare le incombenze del quotidiano. Trova che possa essere una lettura?

Luisa Muraro: Forse non si tratta dello stesso modello, ma confesso che non ci ho pensato abbastanza. Apprezzo del vostro approccio l’attenzione per i rapporti tra donne, compresa la ricerca dei punti di comunanza. C’è in effetti qualcosa che accade e prende forma nello scambio tra donne dell’immigrazione (che provengono spesso da culture differenti) e tra loro e noi “indigene”; si formano delle solidarietà, delle complicità, delle intese e degli accordi che sono propri originali femminili, trasversali alle differenze di cultura e di classe.
Io vorrei attirare l’attenzione sul fatto che queste donne che arrivano da noi sono delle combattenti su un fronte molto difficile; sono donne che, dentro a una condizione che conosce cambiamenti anche drammatici, accettano per un tempo più o meno lungo di fare le badanti o le colf. Penso a una signora eritrea di cui sono amica: ha una figlia che ha fatto studiare, la madre accetta il lavoro di colf e sarà per tutta la vita, ma la figlia, che conosce tre lingue, ha un lavoro come hostess di terra. Voglio dire che ci può essere intreccio di rapporti e forme d’intenso scambio ma non sono quelle delle nostre antenate, sono storia contemporanea. Si formano delle alleanze e delle complicità femminili, questo sì, dove scorre rispetto e fiducia reciproca. Non sempre però; a volte c’è invece lo sfruttamento, a volte c’è la diffidenza, a volte c’è l’inimicizia che s’istalla da una parte o dall’altra. Ecco, è necessario anche uno sguardo disincantato.
Resta comunque valido il vostro invito a cogliere l’intesa fra donne, “indigene” e immigrate, intorno a quella che è l’attenzione e la cura per il vivente e i viventi. Per loro forse è un’occupazione che può durare una generazione, le loro figlie vorranno fare altre cose. Noi non possiamo offrire loro altro che il lavoro domestico, e ciò le rende benvenute e ben accette in generale, anche a chi l’immigrazione la contrasta, che è cosa non trascurabile.

Daniela Finocchi: Su questo aspetto della relazione noi puntiamo molto. Tanto che il bando di concorso non solo ammette, ma incoraggia la collaborazione tra donne italiane e donne straniere laddove non dovesse esserci una dimestichezza nello scrivere in italiano. Perché per noi non è tanto importante trovare la scrittrice dell’anno, quanto appunto creare questo scambio, questa relazione tra donne. Ma senza con questo edulcorare la realtà. Questo no…

Luisa Muraro. A conferma di quello che dite, penso a quell’amica eritrea. Il nostro rapporto non è stretto, però ci diamo del tu e quando lei è diventata cittadina italiana, con mia grande gioia ha voluto invitare me. Sono stata la sua testimone al giuramento sulla Costituzione italiana e alla fine ha voluto anche offrire l’aperitivo. C’era sua figlia, c’ero io e c’era questo nostro rallegrarci. «Finalmente, è una cosa che ti meritavi da tanto tempo», dissi, una cosa – bisogna aggiungere – che le semplifica l’esistenza. Certamente la cultura del femminismo ci porta a curare i rapporti tra donne da cui, per una donna, proviene una parte importante della libertà. Quindi la civiltà, diciamo, “al femminile”, diventa veramente civiltà quando è “al femminista”. Da ciò viene la polemica con la visione puramente classista del problema, che non vede come i rapporti tra donne attraversano le classi, per ragioni molto profonde e importanti.

Daniela Finocchi: …E l’altra cosa che noi notiamo, dal momento che sono sette anni che esiste questo progetto e abbiamo molto materiale a disposizione, è che le donne da qualsiasi parte del mondo provengano, a qualsiasi cultura o religione appartengano, hanno un modo simile di affrontare la vita e di viverne gli eventi. Un modo che le fa riconoscere e le accomuna…

Luisa Muraro: Sì, esattamente. Io la chiamo prossimità con il vivente, con quello che è per esempio la cucina, per esempio il saper tenere una casa, o il saper curare l’aspetto esteriore, l’igiene personale e l’igiene delle persone piccole, ecc. Tutti aspetti di un certo amore per gli ideali domestici, quando non sono più obbligatori e imposti. Tutti aspetti dove tra donne si può stabilire un’intesa diretta. L’Italia è per fortuna un paese dove è sentito il valore di curare gli interni domestici, il saper cucinare, l’aspetto esteriore, l’abbigliamento, e spero che così rimanga. Ci sono parti del mondo industrializzato che han perso la cucina, gli interni, la socialità quotidiana. L’Italia no e questo, forse, ci mette in una posizione migliore per capire queste donne che vengono da paesi meno anticamente industrializzati. Spesso sono donne di grandi civiltà, civiltà genuine… niente a che vedere con la piattezza dell’Occidente. Lo si vede anche nei vestiti che indossano, nelle cose che amano…

 

Paola Marchi: Vorrei farle una domanda anch’io, riprendendo un po’ il filo del suo libro Al mercato della felicità. Oltre a trovare molto bella questa immagine perché – anche da come si evince dai racconti che ogni anno arrivano al Concorso – le donne sono e si mettono in una posizione di negoziazione infinita tra il sé e l’altro da sé e questo mi sembra che provochi un senso di felicità, cioè riesce a soddisfare in qualche modo il desiderio di affermazione di sé in relazione all’altro da sé… Volevo chiederle se è possibile secondo lei riproporre il concetto di felicità in maniera democratica. Può di nuovo riguardare tutti, e in particolar modo le donne straniere che arrivano in Italia?

 

Luisa Muraro: lei Paola ha messo proprio l’accento su una cosa che bisogna tenere presente. Noi siamo vecchie e stanche. Non parlo del vecchio in senso anagrafico. Queste donne che vengono a lavorare da noi hanno slancio e sono più vive di noi. Perché combattono, perché si spostano, perché hanno intrapreso un’avventura. E questa cosa non so se sia dell’ordine della felicità, ma certamente sono donne con cui vale la pena entrare in rapporto. È bello anche perché si misurano con diverse difficoltà, fra cui quella della lingua, con un’elasticità interiore che è superiore a quella degli uomini. Gli uomini dell’immigrazione soffrono di più, io credo, e combattono in una maniera meno contrattuale.

Daniela Finocchi: Ed infatti è per questo che dicevamo che il fenomeno migratorio sta cambiando anche in questo senso, con questa forte presenza femminile…

Luisa Muraro: A suo tempo, tanti anni fa, a Milano lo notavamo anche per gli immigrati dal Sud dell’Italia; le donne s’inserivano, si spiegavano, si giocavano queste opportunità con una felicità, direi, che i loro compagni, i loro corrispondenti di sesso maschile, invece non avevano. Tutti gli immigrati hanno la grave difficoltà della lingua: le donne in genere sono più veloci a impararla, anche perché (se non devono restare in casa) hanno molti scambi con le loro simili di lingua diversa. Perciò il fatto di vedere la loro condizione all’insegna di un’avventura cui non è estranea la felicità, gli elementi di felicità, mi pare che sia una chiave. Bisogna anche incoraggiarle a render conto di questo… Ma io non credo che siano lamentose.

Daniela Finocchi: Affatto, lo si può vedere dai racconti del Concorso.

Luisa Muraro: Sono donne combattive…

Paola Marchi: … Sono mosse dal desiderio di avere un ruolo fondamentale, desiderio di portare avanti il proprio bagaglio culturale e affettivo, insieme a una nuova identità. Grazie alla scrittura poi – spazio di desiderio per eccellenza – queste donne (lo raccontano molte delle autrici che hanno partecipato al Concorso) riescono a riappacificare i diversi vissuti, restituendo una grande ricchezza umana femminile.

Luisa Muraro: E noi dobbiamo ricordarci che facciamo nostra questa ricchezza umana femminile che viene tolta dai paesi di provenienza. Abbiamo un debito nei confronti di quei paesi e bisogna simbolicamente pagarlo. Loro mandano soldi, ma sono duramente guadagnati da loro stesse: come paghiamo noi il nostro debito?