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Per non dimenticare Giorno della Memoria 2025

Scritto da Segreteria il 27 Gennaio 2025

Il 25 gennaio in occasione dell’odierno Giorno della Memoria, il Concorso Lingua Madre ha partecipato alla consueta commemorazione organizzata dall’Associazione Piazzetta Verde. Un incontro che prende avvio ogni anno dalle “pietre d’inciampo” situate in via Aurelio Saffi 13 a Torino, fissate in terra a ricordare Rosetta Rimini e Lidia Pucci Tedeschi, deportate e uccise nei campi di sterminio.

Il Giorno della Memoria è una ricorrenza internazionale che viene celebrata ogni anno il 27 gennaio per commemorare le vittime di quello che fu il genocidio di 6 milioni di ebrei – di cui furono responsabili le autorità della Germania nazista, i loro alleati e i collaborazionisti – perché in quello stesso giorno del 1945 le truppe dell’Armata Rossa liberarono il campo di concentramento di Auschwitz.

Il ricordo è iniziato con la deposizione dei fiori – offerti da Fiorenzo, fiorista e parte del comitato organizzatore – per passare quindi agli interventi.

Le letture a cura di Nunzia Scarlato, autrice CLM, Gianfranca Venesio e Paolo Ragni, hanno spaziato dalle parole di Edith Bruck – scrittrice, poeta, traduttrice, regista e testimone della Shoah – a quelle di Goti Bauer – scrittrice anche lei tra le più attive e attendibili testimoni dello sterminio degli ebrei. La loro instancabile attività, dedicata soprattutto alle e agli studenti, le hanno portate a incontrarne decine di migliaia in tutta Italia. La loro voce continua a essere lo strumento più limpido e toccante con il quale sconfiggere l’indifferenza e la banalizzazione del ricordo, compreso il rifiuto del termine “olocausto” che significa “sacrificio”, quindi ritenuto non appropriato per definire l’omicidio organizzato sistematicamente dalla Germania nazista e dagli stati alleati, con lo scopo di annientare chiunque fosse ebreo in qualsiasi parte del mondo.

Non è mancata la testimonianza poetica grazie ai versi di Nelly Sachs, ebrea che nel 1940 a Berlino – dopo avere ricevuto l’ordine di presentarsi a un campo di lavoro – riuscì a fuggire in Svezia, premio Nobel della letteratura nel 1966.

A queste voci si sono affiancate anche quelle delle autrici pubblicate nelle antologie Lingua Madre – grazie alla partecipazione di Daniela Finocchi, ideatrice CLM – per evidenziare tutta l’ambiguità delle argomentazioni con cui si costruisce la figura di un nemico – come dimostra l’ucraina Natalia Bondarenko nel suo racconto Vorrei leggere ancora Dostoevskij in Lingua Madre Duemilaventitré – e, insieme a questo, la posizione di quel soggetto imprevisto che sono le donne e che costringe a interrogare, come scrive Lea Melandri, «le radici profonde, arcaiche, su cui poggiano le logiche perverse che ancora sorreggono le guerre».

Ecco, quindi, un momento di condivisione di pensieri e riflessioni tra la memoria di quel periodo buio della storia e la realtà contemporanea segnata da tanti conflitti, al di là di comparazioni impossibili e inopportune.

Racconta Edith Bruck nella bella intervista di Aldo Cazzullo su Il Corriere della sera (19 gennaio 2025), di cui sono stati letti alcuni brani:

Ricordo un’altra kapò… Alice. Io piangevo per mia mamma, e lei mi rimproverava: «Smettila, finirai per irritare i tedeschi!». Ma io volevo la mia mamma. Così un giorno lei, stanca del mio pianto, mi tirò per il braccio e mi disse: «Vieni, ti faccio vedere tua mamma». Io ero felice perché pensavo davvero di ritrovarla, ma Alice mi mostrò il fumo che usciva dal camino: “Ecco dov’è tua madre: lì dentro. Era un po’ grassa? Allora è servita a fare sapone».

Le “pietre d’inciampo” sono opera dell’artista tedesco Gunter Demnig al fine di depositare, nel tessuto urbanistico e sociale delle città europee, una memoria diffusa dei cittadini e delle cittadine ebree deportati e spesso uccisi nei campi di sterminio nazisti. L’intervento artistico e sociale, attuato in diversi paesi europei, consiste nell’incorporare, nel selciato stradale delle città, davanti alle ultime dimore volontarie delle vittime di deportazioni, dei blocchi di pietra con una piastra di ottone sulla faccia superiore che riporta i nomi e i dati anagrafici di nascita, deportazione e morte delle persone che si intende ricordare.

Un’opera importante e necessaria, soprattutto in epoca di negazionismo, inserita e recensita anche su Google Maps.

Il pericolo che si corre, infatti, lo spiega chiaramente Edith Bruck – sempre nella già citata intervista – quando ricorda che Primo Levi diceva: «Si stava meglio ad Auschwitz».

Perché? Le chiede il giornalista, e lei risponde:

Perché sentiva gente che cominciava a dire che tutto questo non era successo. «Ti rendi conto», mi ripeteva, «stanno già negando con noi vivi!». Ora che le ultime voci, come la mia, si stanno spegnendo, lo diranno sempre di più. E sempre più persone lo crederanno.