Appuntamenti

Una danza femminile di liberazione Giornata internazionale contro la tratta di esseri umani

Scritto da Segreteria il 30 Luglio 2023

In occasione della Giornata internazionale contro la tratta di essere umani, oggi 30 luglio, il CLM propone una riflessione tramite il racconto Tamburi di Franca Dumano. Dure e potenti parole che risuonano in un battere incessante a sostegno di una danza di liberazione per le donne.

Sempre necessaria questa ricorrenza istituita dall’ONU: secondo l’ultimo rapporto dell’Ufficio delle Nazioni Unite contro la Droga e il Crimine (UNODC), sono appunto le donne e le bambine a costituire il 71% delle vittime.
Inoltre, nei paesi UE la maggior forma di traffico è quella finalizzata allo sfruttamento sessuale, violenza che colpisce al 95% il genere femminile.

 

TAMBURI
di Franca Dumano [Italia]

Freddo. Sola. Sola nel freddo. In una strada sporca e abbandonata, fra rifiuti maleodoranti e altri corpi in vendita. Freddo. Vergogna. Paura e vergogna nel freddo. Batto i denti. Non riesco a scaldarmi. Il tremore invade il mio corpo e lo scuote e non riesco a dominarlo. Aumenta… Un tremito, un ritmo ossessivo… Freddo… Tremo al ritmo di un tamburo… Cerco l’origine del suono negli angoli remoti della memoria, ritmo di tamburi dell’infanzia, delle danze a scuola, delle cerimonie, della bacchetta dell’insegnante che scandiva il ritmo picchiando forte sulle mie dita o le mie gambe a ogni errore, tamburi di gioia e vergogna, carezze intime e ossessive al mio corpo in fiore. Il freddo mi è entrato nell’anima e mi scuote in tremiti senza sosta… Non posso fermarmi, tremo vibrando al ritmo della waka [1], il mio corpo trema seguendo la mente agitata da ricordi orribili. Freddo. Legata e imbavagliata. Corde strette e fredde. Mi tagliano con violenza capelli e unghie, mi costringono a bere intrugli. Freddo, pugni e calci ovunque. Freddo. Nuda fra i cespugli. Nuda e imbavagliata in auto e camion. Freddo e schifo. Freddo, dolore, sangue. Sangue per Mawi [2], sangue sulle strade che ho battuto nel mondo. La strada, testimone di disgustose avventure e tragedie, la strada di terra rossa su cui giocavo da bambina mentre vendevo manghi e arachidi ai turisti. Sono nata in una baracca di lamiera, aperta alla strada, terra rossa e polvere ovunque… Strade sporche e polverose, rare galline magre e tanta povertà. Strade secche, terre riarse, spaccate dalla siccità e chioschi onnipresenti di Coca Cola per gli stranieri, strade piene di rifiuti, ai cui bordi noi bambine imparavamo a prenderci in braccio l’una con l’altra, a accudire i fratellini e a sgranare le arachidi. In strada ho mosso i primi passi fra altri bambini, cadendo e ricadendo, ho imparato a rialzarmi, ma oggi è cambiato improvvisamente qualcosa! Oggi roteo, danzo e non posso camminare! Una vita in strada, mia madre vendeva poulet e banane fritte, in strada e, quando è arrivato il cugino di città a proporci un lavoro, nei suoi occhi si è aperto il sorriso del sogno. Un viaggio lungo senza mangiare né bere – altro che sogno! – ticket-men silenziosi che eseguono consegne e spostamenti della merce umana in transito, madame che si occupano di tutto e ci faranno diventare infermiere dopo corsi e scuole. Lavoreremo gratis per cinque anni per ripagare il debito, ma potremo sempre mandare soldi a casa. Mia madre ha detto tanti sì, grandi come il quartiere, come il villaggio, come i pozzi di petrolio, come l’immensa amata sterminata Nigeria! Freddo. Orrore. Vergini immolate sullo schifoso altare dei soldi, corpi legati con corde strette. Strette le corde che la maman gira intorno ai miei polsi, fredde le mani con cui mi picchiano in tanti, stretto il filo di vergogna e silenzio con cui cuciono le mie labbra, ancor più stretto e soffocante il filo del terrore che asfissia il mio cuore, la paura di morire, di far morire la mia cara mamma, di vivere tormentata dagli insetti e dai rimorsi, stregata da una magia che si chiama miseria. Magica waka! Mi dibatto senza sosta, un singulto interno cristallizza il mio pianto e mi fa vibrare. Vola la parrucca, le treccine, i braccialetti, le ciglia posticce. Tremo e roteo in un ritmo ossessivo e continuo. Sono Eva, sono Blessing, sono Princess, sono Maryam, sono le lacrime delle donne sfruttate senza nome e senza dignità, sono un dolore che nessuna medicina può alleviare, sono Yoruba, sono Changò che domina il mare e il vento, la mia tempesta travolge finalmente tutto. Non mi arrenderò al bianco silenzio in cui addormentano con farmaci le mie sorelle “schizofreniche legate ai vudù subiti”. Non mi fermerò. Freddo. Jembé ritmati e ossessivi, mani nere e callose percuotono tamburi, alla ricerca dell’anima nera. Continuo a roteare su me stessa per dominare il tremito, ma non ci riesco! Danzo roteando sulla strada. Sono Changò, sono Santa Barbara, sono un multi-io vibrante, sono una donna terrorizzata e violentata. Sono una bambina danzante, una vecchia senza vigore, sono lo spirito indomito dell’Africa nera, sono una stella, sono la gioia di essere viva, donna, danzante. Sono Mawi, distribuisco figli e gioia, mai più sofferenze per le bambine. Tremo e il mio tremore mi fa roteare in un vortice umano, avanzo rapita dal mio ritmo e percorro tutta la strada che mi separa dall’incrocio. Arrivo e offro il mio sangue a Legba [3], sangue per il cambiamento. Trovo la forza di avanzare verso i sacerdoti interiori (invisibili) di Changò, Santa Barbara dei pericoli! Ce la farò. Le mie ginocchia ritmano il mio salto inarrestabile e la mia schiena si inarca. Giro come una palla, il ritmo sincopato si fa incalzante, strappo e lancio in aria il top che imprigiona il mio seno, lancio anche gli shorts. Sono un fiore ricoperto di spine e ferite, sono Blessing, sono bellissima dentro e nessuno può più toccarmi, sono la vita che esplode nella follia e si prende una rivincita su tutto, fiorisce di colpo e mi stacca dalla lercia strada e dalle costrizioni, esplode e fa a pezzi la maschera e il trucco, la mia danza spazza via tutto il passato e mi fa sentire leggera. La mia danza si ispira al grido soffocato nel profondo di tutti i cuori oppressi, come quella dell’uomo con le cuffie che ho visto ogni sera, per anni, in una piazza romana, con una fontana bellissima, mentre mi portavano in strada. Leggiadra e volteggiante, sono una farfalla che si allontana dal freddo e buio e schifo delle strade, sono Egwe, SONO LIBERA!

NOTE

[1] Musica popolare nigeriana.

[2] Dea Yoruba, etnia dominante in Nigeria.

[3] Legba: divinità che consente il passaggio con l’aldilà. La sua immagine, spesso posta in prossimità degli incroci, rappresenta la forza che regola il passaggio dalla vita alla morte, dalla dimensione materiale a quella spirituale.

 

Racconto pubblicato in Lingua Madre Duemilaventidue – Racconti di donne straniere in Italia (Edizioni SEB27).

Fotografia La somma di due metà equivale sempre a un intero? di Sorina Paiu [Romania], selezionata per la Sezione fotografica della Fondazione Sandretto Re Rebaudento alla XIV edizione del Concorso Lingua Madre.