Femminismo e fantascienza Intervista a Petra VoXo
Scritto da Segreteria il 22 Luglio 2020
di Benedetta Petroni
(vincitrice della Borsa di studio 2020 offerta dal Soroptimist International – Club di Torino destinata a una giovane per collaborare alla comunicazione e alle attività redazionali del Concorso Lingua Madre)
In occasione della pubblicazione del volume “Fantascienza da bar” ho avuto l’opportunità di dialogare con l’autrice Petra VoXo, pseudonimo di una delle vincitrici della passate edizioni del Concorso “Tesi in Con-corso” del CLM. Una lunga chiacchierata ricca di riflessioni sul pensiero della differenza e su come viene vissuto in Italia e in Inghilterra.
Quando e perché ha iniziato ad avvicinarsi alle tematiche femministe?
Innanzitutto voglio ringraziare il Concorso Lingua Madre per l’intervista. Mi sono avvicinata a queste tematiche quando ho iniziato a studiare i racconti CLM. All’epoca non avevo domande specifiche in mente, ma una sensazione vaga e diffusa di disagio. Pensai che potesse essere stimolante dedicare del tempo allo studio di come il genere possa incidere nella vita delle persone, in particolare, in questo caso, delle donne migranti. Avvicinai alcune delle tematiche trattate dal femminismo con una certa cautela. Non ne avevo paura, semplicemente non sapevo cosa fosse il femminismo, se non in maniera generica; non avevo mai incontrato qualcuno che (me) ne parlasse appropriatamente con consapevolezza ed esperienza. Il Concorso Lingua Madre è stato quindi per me lo spazio comunitario e mentale di inizio di un lungo e profondo cammino di liberazione.
Cosa ha significato l’incontro con il Concorso Lingua Madre per il suo percorso di formazione sulla differenza?
È stato il primo luogo da me incontrato che aveva creato uno spazio privilegiato per voci di donne migranti. Questa scelta ha portato a interrogarmi sulle ragioni riguardanti l’importanza e la necessità di un tale spazio. Ci è voluto del tempo perché capissi alcuni dei messaggi, da me ora considerati centrali, del pensiero della differenza. Inizialmente facevo soprattutto riferimento al costrutto di “genere”, che trovo comunque molto utile ed interessante. Il CLM è stato il primo stimolo ad iniziare un percorso conoscitivo che includesse la possibilità di sovvertire ed innovare l’idea della differenza sessuale. Il mio percorso femminista è continuato poi a Londra, a volte in forma di profondo scambio piacevole, altre quasi in forma di lotta. Il CLM è stato per me lo spazio iniziatico rivelatore sia del femminismo che del pensiero della differenza. La porta d’accesso verso altri modi di vedere la realtà, sia critici che integrabili creativamente con altre conoscenze acquisite nel corso del tempo. Se questa fosse una storia un poco fantasiosa, il CLM sarebbe un’entità magica, un coro di donne provenienti da tutto il mondo, emigrate, con un cuore nomade e forte, ognuna con una storia complessa e voce sciamanica che parla anche la mia lingua madre. Molti dei racconti delle autrici del CLM si sono rivelati simili a esperienze di donne in difficoltà con le quali ho poi lavorato a Londra.
Partire da una prospettiva femminista cosa aggiunge alle sue professioni di aiuto e supporto?
Questa domanda richiederebbe una risposta lunga almeno un libro! Anche le altre domande, comunque. Ti ringrazio Benedetta di continuare a stimolare queste riflessioni. Il punto concettuale di base è per me la consapevolezza dell’esistenza di una disuguaglianza strutturale, ovvero sociale, economica e culturale tra persone in ogni società, e che investe profondamente la vita individuale. Diseguaglianza che riguarda il genere, la classe, l’etnia, ed altre dimensioni. Nel contesto del femminismo anglosassone, sia in Nord America che nel Regno Unito, uno dei concetti chiave utilizzati in questo senso è quello di intersectionality, intersezionalità, ideato nel 1989 da Kimberlé Williams Crenshaw all’interno del black feminism, secondo il quale l’oppressione va considerata come intersezione tra diversi sistemi di oppressione. Ad esempio, una donna migrante di colore, senza lavoro e con una disabilità deve affrontare non solo la discriminazione riguardante il genere e il sesso, ma anche molte altre che interagiscono tra loro, spingendo verso determinate marginalità ed escludendo da spazi comuni nei quali è possibile per altri accedere ad opportunità e ad un certo potere sociale.
Il femminismo si pone, quindi, in primis come strumento complesso generativo di analisi diversificate e molteplici del contesto sociale, e dell’impatto sociale e mentale di discriminazioni ed esclusioni che incidono fortemente sulla sfera psichica personale. Integrare un approccio femminista in professioni che si occupano di supporto ed intervento psicosociale significa, per la persona che svolge questo lavoro, riuscire a riconoscere diseguaglianze strutturali della società che costituiscono barriere istituzionali, e comprendere la loro portata traumatica sulla sfera psichica. E valorizzare modalità per generare e mobilitare cambiamenti individuali e sociali.
Un’elaborazione importante del pensiero della differenza sessuale molto utile, ad esempio, in professioni psicologiche e di supporto sociale è la critica al concetto di soggetto neutro. Il soggetto neutro, su cui si basa gran parte della filosofia e cultura occidentale, viene riconosciuto per il suo non essere neutro affatto, ma rispecchiante la posizione sociale dell’uomo, possiamo aggiungere, anche, uomo bianco che vanta un privilegiato status sociale ed economico. Tale soggetto neutro è il fondamento di un ordine simbolico che relega le persone entro determinati ruoli, conferendo valori e potere sociale in maniera discriminatoria. Questo impedisce ad altri potenziali livelli simbolici di esistere, creando un impoverimento dell’immaginario sociale e delle opportunità. Si tratta di tematiche articolate che cerco qui di riassumere.
Elaborazioni nate all’interno del femminismo hanno influenzato fortemente l’evolversi di studi umanistici, sociali e filosofici. Diversi counsellor, professione di aiuto molto diffusa nel Regno Unito, e psicoterapeuti fanno riferimento nella loro pratica clinica all’influenza che la discriminazione di genere ha sull’apprendimento di ruoli e su esperienze di disagio. Gli studi sulla mascolinità sono molto interessanti. In Gran Bretagna tre quarti dei suicidi riguarda uomini, e negli ultimi anni si è riscontrato un rilevante aumento di autolesionismo nelle ragazze adolescenti. Per fronteggiare queste realtà, è cruciale poter conoscere ed utilizzare categorie in grado di connettere il malessere individuale ad una matrice sociale che includa un pensiero sulla costruzione di genere, sulla differenza sessuale, e sui diversi tipi di oppressione.
Analisi teoriche e pratiche di supporto relative al genere nel Regno Unito vengono portate avanti non solamente entro un’ottica femminista, ma sono entrate a far parte di un discorso sociale più ampio. Quindi direi che, sia conoscenze e competenze nate nell’ambito femminista che in studi sviluppatisi come conseguenza propositiva al femminismo, sono molto utili. È importante, comunque, conoscere il luogo di origine di queste riflessioni, ovvero il femminismo o, anzi, i femminismi, data la varietà di idee sviluppatesi in diverse aree geografiche, in diversi gruppi, e l’esistenza di differenti approcci di pensiero. Il diverso ingresso del femminismo nelle istituzioni in Italia può essere anche la conseguenza della scelta, da parte di molte femministe, rispetto al non far entrare il femminismo come materia separata nelle università, tramite i gender studies. Ad esempio, Adriana Cavarero insegna filosofia, e utilizza una lente femminista all’interno di un corso non connesso ai gender studies, offrendo la complessità del pensiero femminista come un pensiero che dovrebbe essere conosciuto in ogni caso.
Tornando al soggetto neutro, è utile considerare come l’ordine simbolico sociale connesso alla costruzione della differenza sessuale influenzi la vita individuale, le narrazioni di sé, il rapporto con il proprio ed altrui corpo, e la salute mentale della persona.
Lei ha lavorato in contesti femministi a Londra. Come ha influito nella sua formazione e consapevolezza questo contesto internazionale?
A Londra sono entrata in contatto con studi e contesti nuovi, ho conosciuto meglio il femminismo anglo-americano e, in parte, femminismi provenienti da diversi luoghi del mondo. Ho instaurato relazioni con donne provenienti da paesi diversi, condividendo esperienze di vita importanti e i diversi e simili modi di intendere il femminismo che ciascuna portava con sé, come prezioso bagaglio. Sono venuta a conoscenza di filosofe ad artiste italiane delle quali non avevo mai sentito parlare in Italia e, in alcuni casi, ho potuto incontrarle in luoghi istituzionali come università e gallerie d’arte, che non si occupano esclusivamente di femminismo. Nel Regno Unito c’è, rispetto all’Italia, una maggiore sensibilità sociale a temi femministi, un interesse per questi anche da parte di chi non si definisce femminista. Da un altro punto di vista, la mia esperienza londinese mi ha reso ancor più consapevole delle differenze che esistono tra donne, e di come il patriarcato si riattualizzi all’interno di spazi di donne, anche femministi. Ho incontrato in diversi contesti donne con maggior potere sociale, data anche l’età, che lavorano in professioni di rilievo in virtù della loro competenza sul femminismo, ma che contribuiscono significativamente alla reiterazione di sfruttamento verso donne più giovani e con minor potere sociale. E con la parola “significativamente” intendo qualcosa di problematico. Molte forme di privilegio sociale, riattualizzate all’interno del femminismo britannico, vengono spesso criticate come white privilege, evidenziando l’elemento razzista. Sono pienamente d’accordo con questa lettura nata dal black feminism, femminismo che mi ha molto aiutata a capire meglio la mia posizione di donna migrante a Londra, seppur io stessa goda del privilegio legato al colore della pelle. Mi è tornato piuttosto utile considerare il privilegio in maniera multiforme, facendo riferimento al concetto di intersectionality, ovvero riconoscendo più sistemi di oppressione nel loro insieme, come classe e status sociale, genere ed identità sessuale, appartenenza culturale e nazionalità, colore della pelle. Incontrare tutta una serie di elaborazioni e studi connessi a questa visione è stato per me molto utile per comprendere situazioni di donne diverse da me, e anche la mia. È molto forte nella società inglese la barriera, tra le tante, che divide persone percepite come British, includendo in questo gruppo a volte anche chi ha origini diverse, e persone percepite come non British. Ho potuto verificare che questa barriera esiste anche all’interno di molti gruppi femministi. Per me c’è stata, poi, anche la differenza tra femminismo italiano e femminismo anglo-americano, prominente nel Regno Unito. Vi è scarsa conoscenza e interesse verso altri femminismi, incluso quello italiano.
Esistono differenze su come vengono vissute e raccontate le tematiche femministe dalle donne all’estero e in Italia?
Mi rimane difficile parlare di tutte le donne, date le tante diversità che esistono tra persone e gruppi diversi. Posso rispondere a questa domanda a partire dalla mia esperienza. A proposito delle differenze con il femminismo italiano, mi sembra che il second wave feminism si sia sviluppato un po’ diversamente nei due paesi. Luce Irigaray è stata tradotta per la prima volta in inglese negli anni Ottanta in un libro dedicato al French feminism, quindi etichettato come esterno. In Italia invece, dato che prima dell’introduzione dell’inglese nelle scuole, si studiava il francese, era più facile che le persone conoscessero il francese. Questo può aver facilitato l’arrivo precedente del pensiero di Irigaray in Italia, i cui libri sono stati tradotti in Italiano già negli anni Settanta. Il fondamentale apporto al pensiero femminista di Luce Irigaray, cruciale nello sviluppo del femminismo italiano, nel Regno Unito non sembra essere stato compreso come avrebbe potuto. Ho avuto, in diversi casi, l’impressione che il pensiero della differenza venisse considerato un femminismo ormai antico, essenzialista, superato, troppo connesso al white privilege. Considero molto importante ampliare la conoscenza femminista, soprattutto muovendosi per integrazioni ed eclettismi, e mi sembra che a volte si rischi un atteggiamento riduttivo verso pensatrici che, ad un certo punto, vengono definite come “vecchie”, usando tra l’altro una forma di esclusione che richiama molto altre forme di esclusione patriarcali. Mi è sembrato, quindi, che parte del femminismo inglese abbia un atteggiamento riduttivo verso una pensatrice così importante, anche guidato dalla difficoltà del comprendere contesti culturali e sociali al di fuori di quelli anglofoni.
Se dovessi usare una concezione sviluppata nel pensiero della differenza sessuale per criticare alcune delle pratiche esistenti in Inghilterra, in contesti dichiaratamente femministi, direi che c’è una carenza nell’aspetto della relazionalità. Il femminismo britannico è entrato fortemente a far parte di concezioni sociali, diffondendosi nella società e in varie istituzioni maggiormente che in Italia, ma non ha generato un altrettanto ampio cambiamento all’interno delle relazioni sociali, anche di quelle tra donne in contesti femministi.
Una differente relazionalità intesa come nuove possibilità di reciprocità, comunicazione, riconoscimento, e collaborazione a partire dall’autentica libertà di parola, di uscita dal silenzio patriarcale, secolare è uno degli aspetti più difficili da realizzare. Richiede infatti una profonda comprensione di tematiche macrosociali da applicare a sé e alle proprie relazioni, con l’intento di lavorare per raggiungere cambiamenti strutturali. Mi sembra che questa critica a parte del femminismo inglese possa integrarsi generativamente con alcuni aspetti evidenziati dal black feminism rispetto ai privilegi, pur provenendo da una differente prospettiva. Ci sono poi contesti di nicchia dove c’è un interesse per il femminismo italiano, e si dà ampio spazio a femminismi non anglofoni, provenienti da tutte le parti del mondo. Mi sono anche ritrovata in contesti femministi inglesi nei quali giovani donne costruivano una barriera comportamentale più che visibile nei confronti di donne migranti, anche bianche. È importante fare una distinzione tra persone che non capiscono molto bene alcune dimensioni, come ad esempio la migrazione, ma sono aperte alla discussione, ed altre che non hanno interesse ad ascoltare, e mettono una barriera nella relazione, riattualizzando le differenze (intersectionality) in una dinamica di potere patriarcale. Penso sia importante mantenere onestà e pensiero critico su cosa non vada. Ciò che non funziona in alcuni contesti femministi, quasi sempre, non funziona neanche altrove; si tratta infatti di problemi che sono espressione di dinamiche sociali ampie, profonde, consolidate e spesso inconsapevoli che condizionano fortemente il comportamento individuale e il funzionamento istituzionale. Sono arrivata quindi, tramite esperienze positive e negative, a trovare molto utile la concezione di Silvia Federici di patriarcato colonialista e capitalista, per la capacità concettuale della filosofa di integrare diversi tipi di oppressione, anche attraverso una brillante analisi storica come quella in “Calibano e la strega. Le donne, il corpo e l’accumulazione originaria” (pubblicato per la prima volta nel 2004 in inglese). Silvia Federici ha rielaborato il pensiero Marxista tramite una prospettiva femminista, mai tralasciando una lettura economica sulla situazione delle donne, comprendendo il presente e passato, il mondo occidentale e non e, anche, l’oppressione del lavoratore uomo occidentale. Uno dei termini cruciali che utilizza è quello di espropriazione. L’espropriazione come base dell’oppressione; l’espropriazione di risorse ambientali ed umane, che vengono a cadere nelle mani di poche persone e gruppi di potere. Nella sua complessa analisi storica mostra genialmente come i sistemi di oppressione siano connessi, e la divisione tra gruppi sia funzionale allo status quo, ed al suo peggioramento.
Mi sembra che la visione di Silvia Federici sul genere e sulla differenza sessuale sia abbastanza aperta, e permetta di integrare il pensiero della differenza sessuale, il black feminism, e altri approcci in maniera eclettica. Almeno questo funziona per me!
Lei gestisce un book club femminista a Londra con donne provenienti da tutto il mondo, cosa significa per lei questa esperienza? Vuole raccontarci qualche episodio significativo di questi incontri?
Questa esperienza, nella sua interezza, è per me fonte di energia, continue riflessioni e divertimento! Nel book club ci sono donne residenti a Londra e che provengono da Grecia, Irlanda, Inghilterra, Albania, Turchia, Italia, Argentina. Adesso ci incontriamo tramite videochiamate, e la prossima volta parteciperà anche un’amica da Copenhagen, mentre durante la quarantena ha partecipato ad alcuni incontri un’amica da Roma. Ho trovato molto bello il fatto che il gruppo abbia continuato, anche durante questo periodo di quarantena, fornendo un senso di coesione e comunità rilevante. L’esperienza del book club è un elemento positivo della mia migrazione. Discutere di temi importanti con donne di diversa provenienza culturale in un contesto internazionale è stimolante, vitale ed aggiunge una conoscenza viva e dinamica alla mia pratica femminista. È difficile trovare episodi specifici; le discussioni sono molto interessanti. Mi piace molto anche l’ironia di questi incontri, e il fatto che siano stati proposti libri di autrici di origini diversa. Leggiamo in inglese, e molti libri che le partecipanti conoscono nella propria lingua non sono stati tradotti in inglese. Qui, di nuovo, finiamo nei limiti di quello che è un mondo oggi molto ampio e complesso, ovvero quello anglo-americano. Credo sia importante tenere in mente i confini dei sistemi nei quali si vive, conoscerli, farli propri e avere presente la relatività di questi stessi sistemi. In questo senso, il Concorso Lingua Madre è un potente antidoto al restringimento dei confini, che esistono anche nel mondo dell’editoria italiana, e che possono reiterare esclusioni.
È recentemente uscito il suo libro “Fantascienza da bar”. Come è nata l’idea, di cosa narra e come la sua conoscenza delle tematiche femministe ha influenzato i suoi contenuti?
La fantascienza è un vastissimo campo di invenzioni, e il mio libro si intitola Fantascienza da Bar perché vuole essere un omaggio al genere. Non ha intenzioni epiche, né mira ad inventare oggetti tecnologici mai sentiti prima, o mostrare una distopia estrema senza speranza. La mia è più una posizione che potrei definire di provincia. Sono voluta entrare nel mondo della fantascienza letteraria, molta della quale è scritta in lingua inglese, con un bar, con il senso delle storie anche buffe, a volte con alcuni cliché letterari, entro una dimensione da piccolo gruppo. Non ho voluto concentrare l’attenzione su cambiamenti sociali connessi ad internet e al mondo virtuale. Esiste già molto su questo, e comunque non ne ero interessata. Ho voluto invece recuperare un senso vintage della fantascienza. Per questo motivo presento, nella copertina, le storie come ideate durante il lungo periodo della guerra fredda. I personaggi vivono in un mondo completamente diverso dal nostro, su un altro pianeta, ma la sigaretta ed il libro sono rimasti in uso, seppur con materiali differenti.
Sono molto affezionata a questo libro. Si tratta di storie scritte da me undici anni fa, sulle quali ho avuto l’opportunità di tornare a lavorare solo di recente, trasformandole in un libro. Avevo molto materiale nel mio computer. Ho deciso di partire da queste storie perché desideravo, dopo anni dedicati a lavorare nel sociale dove la realtà è così totalizzante, di immergermi in un mondo di fantasia. Inoltre, sentivo che questi personaggi scalpitavano per uscire fuori, non ce la facevano più a dimorare in quegli interstizi elettronici; saperli ora nel mondo mi fa felice. Ognuno di loro ha una storia da raccontare che parla di perdite, metamorfosi, incertezze e cambiamenti. Si tratta di stati limbici, ogni personaggio è, in modo diverso, tra più dimensioni e si confronta con la sfida di continuare ad esistere, magari cambiare. C’è ironia; mi sono divertita a scriverlo. Mentre lavoravo sui racconti per trasformarli in libro, il mio pensiero era con i miei sabati pomeriggio di bambina degli anni Ottanta, in prati grandi, quando a Ottobre fa ancora caldo e si gioca con gli amici a casa della loro nonna. Era con la percezione sospesa, vaporosa e da superfici lisce e lucide che oggi mi sovviene ripensando ai centri commerciali di fine anni Novanta, e quanto ora le memorie di questi risultino vaporwave. Ero con un mondo scomparso, quello dell’impero ideale, che tutti noi bambini occidentali abbiamo vissuto negli anni Ottanta e Novanta. Il libro non parla espressamente di questo, ma è come una traduzione e invenzione immaginaria di storie diverse, ambientate su un altro pianeta, che parte e si sviluppa da tutto questo.
Quando scrissi i racconti non conoscevo i libri di Douglas Adams, né il film tratto dalle sue opere. C’è una qualche somiglianza con le sue produzioni per quanto riguarda la presenza di elementi paradossali, che comunque può rimandare anche ad una certa tendenza nella letteratura postmoderna, per quanto ogni etichetta sia fallace. Il mio libro è molto diverso da quelli di Adams, e non intendevo scrivere qualcosa che potesse far parte di quella che viene definita letteratura postmoderna. Né conoscevo il Ciclo della Xenogènesi di Octavia Butler, che tratta tematiche come il divenire alieno e la modificazione dei confini riguardanti la sessualità e la razza. La fantascienza di Butler contiene tematiche politiche molto complesse, che hanno risonanza anche di tipo femminista. Non intendevo raccontare un tale complicato livello. Intendevo creare una curiosa fantascienza da bar, non una “fantascienza dell’impero”.
I racconti sono stati scritti prima che mi interessassi al femminismo ma ero comunque molto attenta ad ingiustizie e conseguenti alienazioni. Nella mia riscrittura recente, ho utilizzato il bagaglio femminista come sensibilità di fondo e ci sono, quindi, elementi di questa conoscenza, ma non sono l’oggetto primario del libro. Nei racconti descrivo situazioni paradossali di disuguaglianza, anche tra specie non umane. Menziono diversi tipi di oppressione caratteristici della vita sulla Terra legati alla differenza razziale, sessuale, di identità di genere. Una visione politica riguardo diseguaglianze strutturali non poteva non esserci. I racconti sono ambientati su Gaminede in una colonia dove vivono diverse specie, inclusa quella, ormai, degli ex-terrestri. Non sarebbe affatto strano se su quella Terra ormai inabitabile vivessero ancora umani poveri, molti dei quali non bianchi sfruttati per lavorare, in una situazione che richiama la modern slavery. Questo potrebbe esistere in una narrazione di quel mondo nella quale si tratta di ingiustizie ancora maggiori. I personaggi delle storie godono, infatti, di un certo privilegio, ma ognuno si trova in una situazione che rimanda ad esperienze sociali e psichiche difficili e che, a mio dire, possono essere, metaforicamente, espressioni del mondo in cui viviamo. L’idea di un sistema caratterizzato da diseguaglianze strutturali, e della tendenza di questo alla distruzione fa comunque da sfondo all’universo in cui i personaggi vivono.
Se dovesse consigliare un libro che è stato formativo per lei a una ragazza giovane interessata al pensiero della differenza, quale sceglierebbe?
“Nonostante Platone” di Adriana Cavarero. Lo consiglierei anche perché una parte importante della nostra educazione si basa fortemente sul pensiero classico. Questo è anche positivo, ma ritengo sia fondamentale poter conoscere analisi femministe sulla cultura alla base della nostra società. Sarebbe stato fantastico, rivelatore, ricevere almeno un po’ del pensiero femminista a scuola. Nel libro Cavarero analizza, anzi, potremmo dire, conferisce vita nuova, a personaggi femminili del mondo classico, quali Penelope, Diotima, la servetta Tracia e Demetra. Attraverso nuove raffigurazioni di questi personaggi, la filosofa propone nuove possibilità simboliche in grado di liberare la differenza sessuale da una prigionia secolare. Cavarero decostruisce le basi di un intero sistema culturale fondato su dualismi, sulla dissociazione tra mente e corpo e sull’esclusione delle donne dalla possibilità di creare significati, in quanto associate al non-razionale.
Non si tratta, in questa analisi filosofica, di ribadire che le donne possono essere razionali ricercando esclusivamente il riconoscimento dell’uguaglianza, ma di decostruire l’intero costrutto di razionalità, il potere che questo giustifica e le istituzioni che lo mantengono. Razionalità frutto di un soggetto astratto, neutro, superiore, quando noi tutti siamo persone con un corpo, individualità e particolarità, e possiamo venire discriminati e giudicati male continuamente, ogni volta che un’idea viene utilizzata per limitare la complessità della persona. E questo all’interno della vita familiare, amicale, istituzionale. Un sistema culturale e simbolico che non riesce a catturare la complessità dell’esperienza femminile, mettendo la donna ai margini e nell’impossibilità di significare se stessa autenticamente. Nella prefazione alla versione inglese del libro, la filosofa Rosi Braidiotti descrive il lavoro di Caverero come una riappropriazione di possibilità e spazi simbolici e culturali. Potrebbe essere molto interessante, ad esempio, utilizzare il pensiero della differenza sessuale per decostruire il modo in cui, nel Regno Unito, le donne vittime di violenza domestica vengono quasi sempre viste nei tribunali familiari. Le donne vengono in questi contesti spesso considerate non-razionali, non in grado di raccontare la realtà, troppo connesse all’emotività per via della loro differenza sessuale, quando manca del tutto in chi ha queste concezioni e ha potere di fare scelte importanti sulla vita della donna, non solo la capacità di riconoscere le discriminazioni sociali, ma una lettura psicologica sulle conseguenze psichiche ed emotive del trauma. Finisce così per succedere che le conseguenze del trauma vengano viste come condizioni negative considerate “connaturate” all’essere donna.
Quali i suoi progetti futuri? Continuerà a scrivere, magari mettendo più al centro la sua conoscenza ed esperienza femminista?
Ora sto lavorando ad un nuovo progetto, nel quale utilizzerò maggiormente la mia conoscenza ed esperienza femminista, soprattutto riguardo la presenza di barriere sociali che costruiscono la differenza sessuale in interazioni e situazioni quotidiane. Questo progetto prende le mosse da una visione economica globale, nella quale anche gli uomini sono oppressi. Nel femminismo ci sono innumerevoli illuminanti analisi di come le società nelle quali viviamo opprimano tutti, qualsiasi sia il sesso e l’identificazione di genere della persona. Non credo che definiròquesto progetto come femminista. Il femminismo fa parte del mio modo di ricercare significati, elaborare critiche, incontrare nuovi punti di vista. È filtrato, come anche la mia scrittura, dalla mia individualità ed esperienza. Lascio alle persone che leggeranno la possibilità di riconoscere un percorso e una ricerca conoscitiva nell’ambito del femminismo. Voglio ringraziare ancora Daniela Finocchi per il suo immenso lavoro al Concorso Lingua Madre, e per la sua disponibilità; nel rapporto con lei mi sono sempre sentita di avere uno spazio autentico per esprimermi. Grazie Benedetta per le interessanti domande, le ho apprezzate molto e sono state un’occasione per condividere una serie di riflessioni riguardo la mia esperienza di esistere tra mondi diversi.
Gli scatti del volume “Fantascienza da bar” contenuti in questo articolo sono della fotografa Federica Martellini.