Coronavirus: e le donne?

Nonostante tutto Il commento di Luisa Zhou

Scritto da Segreteria il 26 Giugno 2020

Coronavirus: e le donne?
Continuano le risposte all’invito a riflettere sul tema lanciato nei giorni scorsi dal CLM. Ecco il commento  dall’autrice CLM Luisa Zhou.

Nonostante tutto

Chi l’avrebbe mai detto, ma giocare a tetris da bambina si è rivelato utile: osservare, pianificare, incastrare ogni singolo tassello. È così che ho passato i primi giorni di quarantena – trenta metri quadri in due per quasi tre mesi di lockdown sono una bella sfida, c’è da riconoscerlo. Occorre fare attenzione a ogni angolo, ogni spiraglio di luce, e decidere insieme le dinamiche del gioco.
“Ti metti tu al tavolo oggi?”
“No, pensavo di stare di là, per cambiare un po’”.
Il caffè delle 9:00 diventa l’occasione per spartirsi gli spazi, per appropriarsi di un ritmo comune, se pur in stanze diverse. Trovare equilibrio in un mondo che lo ha perso.
Incredibile ma vero, io e il mio compagno siamo sopravvissuti.
Ma la mia non vuole essere una riflessione sulla convivenza o sull’amore che regge gli urti, per quanto tutto questo abbia fatto la differenza in un momento simile.
Ciò che mi spinge a scrivere sono il senso di incredulità e spaesamento che il mondo intero ha sperimentato, senza distinzioni. Spesso mancano anche le parole per descriverlo.
Chi prima, chi dopo, siamo stati travolti: uno tsunami che ci ha trascinati via dalle nostre certezze, abitudini, progetti.

“Ubuntu” di Monica Vodarich (Croazia)

Così, alla deriva, ci siamo riscoperte creature sospese in una nuova realtà fatta di concerti sui balconi, dirette sui social, cacce furiose al lievito di birra, con Zoom e Meet come nuovo credo della socialità. Per un attimo, il nostro ecosistema si è ridotto alle mura di casa.
All’intimità di un divano, alla semplicità di un basilico che cresce sul ballatoio.
Ma non siamo sulla stessa barca. Siamo nella stessa tempesta, ha scritto qualcuno, trovando eco sul web intero: una grande verità nel giro di nove parole.
Fra i sommersi di questa pandemia, infatti, ci sono le voci inascoltate di intere famiglie, di donne vittime di violenza domestica, di senzatetto, di chi non è tutelato da un contratto lavorativo, di chi è allo sbaraglio e non ne può nulla.
E se ripartissimo da qui?
Abbiamo osservato il distendersi delle nostre vite con un disorientamento che non ci ha ancora lasciati, ma ci siamo promessi di cambiare per il meglio, di conquistare una nuova consapevolezza.
Ora che siamo tornati a prenotare un tavolo al ristorante o a goderci una passeggiata al parco, ricordiamoci che questa “nuova normalità” porta con sé un imperativo: includere tutti. Proprio per questo mi piace pensare che la ripartenza conduca a uno scenario inedito, e non necessariamente a quello che ci siamo lasciati alle spalle, a marzo.
Che rimanere isolati dal resto del mondo, in qualche modo, ci abbia avvicinati ancora di più; e che la solidarietà tanto decantata abbia messo le sue radici e ci abbia trasformati.
Nonostante tutto.

 

La fotografia “Ubuntu” di Monica Vodarich (Croazia) fa parte delle fotografie selezionate dalla Fondazione Sandretto Re Rebaudengo per la XIII Edizione del Concorso Lingua Madre.