Coronavirus: e le donne?

Un aiuto nella letteratura I contributi di Luisa Ricaldone e Laura Malaterra.

Scritto da Segreteria il 03 Giugno 2020

Coronavirus: e le donne?
Continuano le risposte all’invito a riflettere sul tema lanciato nei giorni scorsi dal CLM. Ecco il commento  di Luisa Ricaldone, parte della Giuria CLM e della Società Italiana delle Letterate. Ad accompagnare il testo la significativa immagine di Laura Malaterra, fotografa, regista e autrice del Concorso che ha deciso di commentare il tema con questo scatto.

 

Un aiuto nella letteratura

di Luisa Ricaldone

All’indomani del lockdown a causa del Covid19 ho sentito forte il bisogno di cercare nella letteratura esempi di esperienze analoghe a quella che stavo vivendo. Non volevo riprendere in mano i capolavori di Camus e di Saramago, o di Manzoni, sia perché già li conoscevo, sia perché desideravo confrontarmi con un punto di vista di donna. Casualmente mi venne in soccorso una telefonata dell’amica Laura Fortini: scambiandoci riflessioni sull’epidemia che stava sconvolgendo le nostre giornate, mi parlò di un romanzo che il marito, il compianto Benedetto Vecchi, scomparso pochi mesi prima, aveva recensito nel luglio dell’anno precedente per “il manifesto”. Si trattava di Febbre, il romanzo d’esordio di Ling Ma, cinese di nascita e statunitense di formazione, tradotto in italiano da Anna Mioni per le edizioni Codice, vincitore nel 2018 di uno dei premi letterari più cospicui del mondo, il Kirkus Prize. Mi affrettai ad acquistare l’e-book (le librerie erano chiuse in quei giorni) e lo lessi d’un fiato, attratta non da ultimo dagli spunti profetici che conteneva.
Una pandemia, probabilmente importata con il traffico di merci dalla Cina negli Stati Uniti e che provoca patologie polmonari, sta sterminando l’umanità: “La Fine comincia prima ancora che sia possibile rendersene conto”, recita l’inizio del primo capitolo, e prosegue con una narrazione piana e pacata che descrive il percorso verso il disastro e che vede la protagonista, Candace Chen, muoversi in una realtà ripetitiva, anonima e sostanzialmente banale:  il lavoro in una impresa di editoria globale, frequente shopping compulsivo, un po’ di sesso, un po’ di vita sociale, uso obbligatorio delle mascherine e dei guanti che, nel caso di Candace portano stampato il nome della ditta dove lavora, la Spectra (nome di certo non antifrastico e che è tutto un programma!). I contagiati sono zombi che ripetono invariati i gesti della quotidianità di prima, fino a morire di fame o di sete o di freddo. Un gruppo di sopravvissuti e sopravvissute vive asserragliato in un grande centro commerciale alle porte di Chicago trasformato per l’occasione in bunker, e l’unico rapporto con il mondo di fuori avviene attraverso la Rete.

Fotografia “Quarantine Self-portrait” di Laura Malaterra

Mentre in La peste, in Cecità e nei Promessi sposi la storia volge al lieto fine, in Febbre la giovane protagonista, una volta uscita dal bunker, ritrova dinanzi a sé uno skyline lugubre e sinistro. Costretta per un guasto al motore a scendere dall’auto non lontano da un fiume pieno di rifiuti, attraversato da un ponte in ferro battuto rosso, mentre una gru rovesciata all’incrocio di tre strade e alcune carcasse di auto bloccano il passaggio, dice: “Scendo dalla macchina e mi metto in cammino”. Le parole con le quali si chiude il racconto, mi sembrano particolarmente significative: dalla fine del capitalismo, che lascia dietro di sé cadaveri di esseri umani, auto arrugginite e accatastate le une sulle altre, drammi di emigrazione (perché anche di questo è composta la trama) e un ecosistema sconvolto, non può nascere più nulla. Quei resti mostrano che qualcosa che fino a quel momento era stato considerato fondamentale è saltato, e di questo bisogna fare tesoro. Nello scenario odierno dove le macerie, i bombardamenti, gli sfollati, gli edifici crollati a causa delle guerre e dei terremoti compongono in alcuni luoghi del mondo uno scenario apocalittico, non stupisca che gli esseri umani muoiano per fame, malattie e virus devastanti. Serve un passaggio di civiltà, occorre lasciare dietro di sé gli oggetti idolatrati dal sistema, le sue logiche, i suoi disastri, e mettersi in cammino, a piedi, fragili ma consapevoli che se non si fa un salto radicale, si muore, anzi, si è già morti e morte. Così mi piace interpretare la chiusa di Febbre, e il fatto che sia una donna, legata per nascita e per educazione ai due paesi industrialmente più potenti (e più inquinati e inquinanti), a proporre non facili e poco credibili utopie, bensì una atroce distopia, mi pare un segnale al quale tutte e tutti noi dovremmo prestare attenzione. Da quelle macerie non possiamo né dobbiamo ricostruire nulla, solo allontanarcene verso un futuro tutto da ripensare, avendo costantemente negli occhi quelle rovine.

 

Laura Malaterra è autrice della fotografia Quarantine Self-portrait che accompagna questo articolo. Attrice, regista, scrittrice, fotografa, è anche autrice del CLM e regista dello spettacolo teatrale “Donne che cucinano la vita” tratto dai racconti delle antologie Lingua Madre – Racconti di donne straniere in Italia (SEB27), da anni segue e collabora con il progetto. Maggiori informazioni su di lei e sui progetti da lei seguiti sul suo sito.