Le biografie delle vincitrici XX edizione del Concorso Lingua Madre
Scritto da Segreteria il 08 Aprile 2025
BIOGRAFIE E MOTIVAZIONI PREMI VINCITRICI
XX CONCORSO LETTERARIO NAZIONALE LINGUA MADRE

Leyla Khalil, italo-libanese, nasce a Roma nel 1991 ed è antropologa e progettista sociale. Ha pubblicato racconti e poesie in antologie per Edizioni Ensemble, Giulio Perrone, L’Erudita, Ediesse, Guasco e nel 2022 Pizzicotti (MdS Editore), suo secondo romanzo. Appassionata di narrativa e cucina, cura due rubriche settimanali su facciunsalto.it ed è ideatrice del progetto di scrittura Fast Writing, scritti di rapida consumazione. Il suo racconto Ricordi congelati è pubblicato nell’antologia Lingua Madre Duemilaquindici. Racconti di donne straniere in Italia (Edizioni Seb27) e ha vinto il Premio Speciale Slow Food – Terra Madre della X edizione CLM.
Con il racconto Piangere per l’abbattimento di un albero ha vinto il Primo Premio della XX edizione del Concorso letterario nazionale Lingua Madre, con la seguente motivazione: «Il racconto è giocato sulla memoria, sulla suggestione che nasce dai dialoghi. Il Libano, che è il paese d’origine dell’autrice, esiste solo nei “ricordi semplici” come frasi, oggetti o cibi, e diventa un sogno di viaggio da condividere con la compagna, mentre la realtà portata dai mass media e dai messaggi dei parenti è segnata dalla guerra. Sarà l’abbattimento di un cedro del Libano a unire la terra immaginata e quella reale in una “ferita che profuma”. Nella metafora dell’albero la vita e la morte si fronteggiano, e – per il momento – ha il sopravvento quest’ultima. Ma se l’albero era malato, anche il paese lo era? Questo non ci viene detto. Ciò che ci viene raccontato sono gli esiti della distruzione. Ma anche, sotterraneamente, una riflessione sul non vedere né apprezzare la bellezza se non quando essa è stata ridotta in macerie».

Sayaka Miyamoto nasce a Tokyo nel 1964. Laureata in letteratura inglese e con una carriera avviata nell’editoria, all’età di trentun anni, motivata da una passione ereditata dal padre, decide di intraprendere un percorso nello studio della cultura gastronomica in Italia. Quella che doveva essere una breve esperienza si trasforma in un’intera vita a Torino: ventisette anni, fino ad oggi, fatti di famiglia, crescita e difficoltà di chi vive lontano da casa, ogni giorno accompagnati dai piccoli piaceri della tavola. Di recente, si interessa e rivolge il suo impegno verso i numerosi problemi alimentari che si verificano in tutto il mondo. Il suo racconto La forza degli udon è pubblicato nell’antologia Lingua Madre Duemilaventiquattro. Racconti di donne non più straniere in Italia (Edizioni Seb27) e ha vinto il Premio speciale Slow Food – Terra Madre della XIX edizione CLM.
Con il racconto Oppai ha vinto il Secondo Premio della XX edizione del Concorso letterario nazionale Lingua Madre, con la seguente motivazione: «Originalissimo album foto-biografico che si distingue per la delicatezza con cui l’autrice mette a tema un argomento molto attuale. La scelta perfetta di ogni termine evidenzia una sensibilità che produce talora turbamento. Tramite una serie di immagini, la cronologia allude alla linea genealogica che unisce l’io narrante alla madre e alla nonna attraverso il seno: parte del corpo femminile preposta al nutrimento e universalmente ritenuta espressione della femminilità. Che cosa accade se viene asportato, se al suo posto si hanno due cicatrici? Senza retorica, con precisione chirurgica, ma allo stesso tempo poetica, il racconto tocca numerose corde: la famiglia, la maternità, l’incontro tra cultura e tradizioni, la carriera, la malattia, la rinascita, la vecchiaia femminile. Sino ad approdare a una saggezza in cui la “preziosa perdita” è non solo accettata ma costituisce un elemento di individualità».

Loranda Domi nasce nel 1991 a Durazzo, città portuale dell’Albania. A sette anni attraversa il mare con la famiglia per iniziare una nuova vita ad Asti, dove si confronta con una lingua e un mondo nuovi. La lettura e la scrittura diventano presto il suo rifugio, un filo invisibile che la guida nella scoperta di sé e della realtà che la circonda. Crescendo, coltiva la passione per le lingue straniere, affascinata dal potere che le parole hanno nel creare ponti tra culture, radici e orizzonti futuri.
Con il racconto La mia voce è casa ha vinto il Terzo Premio della XX edizione del Concorso letterario nazionale Lingua Madre, con la seguente motivazione: «Il racconto mette a nudo in modo efficace la complessità dell’essere migrante. Ecco, quindi, la descrizione di un vissuto, di una scissione che fatica a ricomporsi, di una identità che corre il costante rischio di disintegrarsi. La voce vibra di radici, in un rapporto intimo continuo di amore e odio. La lingua d’origine diventa un’eco distante, un canto che non riesce più a trovare le sue note. Il risultato è il vuoto che sovrasta quei due mondi interiori che non si fondono mai completamente. Finché non recupera forza e si ricompone lentamente come le tessere di un mosaico per far tornare la protagonista all’autentica se stessa, per farla sentire, finalmente, a casa».

Anna Monteccone nasce a Torino nel 2006. Cresce in città ma trascorre le estati nell’entroterra ligure e tra le pagine dei libri che divora insaziabilmente: è lì che matura il sogno di fuggire per visitare paesi lontani. In quinta elementare le viene assegnato il compito di comporre una poesia sull’autunno: da quel momento la scrittura diventa uno dei suoi più grandi amori, seconda solo alla musica e ai draghi (che se esistessero sarebbero i suoi animali preferiti). Attualmente frequenta la quinta liceo dell’indirizzo Economico sociale del Convitto Nazionale Umberto I di Torino.
Con 猫 = Gatto ha vinto il Premio Sezione Speciale Donne Italiane della XX edizione del Concorso letterario nazionale Lingua Madre, con la seguente motivazione: «L’autrice mette a tema, in modo vivo e coinvolgente, il fascino della diversità e dell’estraneità così come l’amicizia che può nascere anche dall’apparente contrasto. La suspense narrativa si muove sull’alternarsi della prosa e del dialogo. In primo piano la parabola che va dal silenzio alla capacità di entrare in comunicazione guardando oltre la corazza che l’interlocutrice pone e che non è altro che disagio, timore, non dimestichezza con la lingua. Il finale è un omaggio – si potrebbe dire – alla profondità e al senso della relazione, allo scambio generato da una immersione affettiva e piena nel mondo dell’altra attraverso la mediazione del linguaggio, che veicola comprensione, affetto e addirittura un inatteso capovolgimento esistenziale».

Marta Valls nasce a Barcellona dove si laurea in Belle Arti e inizia la sua attività artistica. Si trasferisce poi in Inghilterra per sviluppare la sua carriera come professionista. Nel 1990 viene invitata a Torino dalla Fondazione Italiana per la Fotografia per realizzare una mostra nell’ambito della Biennale di Fotografia di quell’anno e da allora risiede e lavora in questa città. Insegna arte in una scuola secondaria superiore. Ha esposto in diverse gallerie italiane ed europee, nonché a New York, in Iran e in Corea. Le sue opere sono state acquistate da committenze pubbliche e private.
Con la fotografia Alina’s letter ha vinto il Premio Speciale Fondazione Sandretto Re Rebaudengo della XX edizione del Concorso letterario nazionale Lingua Madre, con la seguente motivazione: «La fotografia concentra in una sola immagine più storie ed emozioni, nonostante un impianto scenografico scarno ed essenziale che forse, proprio per questo, ne aumenta la portata comunicativa. Il punto di vista – una ripresa dall’alto, al di sopra di una donna che legge una lettera – ci fa capire che non è quello il vero soggetto ma è l’atto del leggere e la lettera stessa, il suo contenuto, che vengono amplificati sebbene in trasparenza. Una composizione essenziale ma raffinata – la lettera leggermente stropicciata, come se fosse arrivata dopo un lungo viaggio, una fotografia appoggiata sulla panca, forse il mittente – anche nei toni scelti dall’autrice».

Nancy Jissel Solis Realpe nasce nel 2001 in Ecuador e vive insieme alla madre la migrazione e le diverse decisioni che ne conseguono. Johanna Realpe parte alla volta dell’Italia all’età di ventitré anni, la stessa età che ha la figlia quando scrive di lei e, ancora dopo vent’anni, ricorda con melanconia il suo paese. Entrambe considerano una fortuna l’opportunità di sperimentare due diverse culture e di imparare ad apprezzarle.
Con Il fiore di smeraldo ha vinto il Premio Speciale Torino Film Festival della XX edizione del Concorso letterario nazionale Lingua Madre, con la seguente motivazione: «Nella scrittura emerge una linea narrativa tutta al femminile, che delinea l’evoluzione dei caratteri, intrecciando il racconto delle emozioni universali presenti nel rapporto generazionale madre-figlia a un percorso di migrazione e interazione, che comprende la cura e la comprensione delle proprie radici, unite alla curiosità per l’avventura della scoperta di “nuovi mondi”. La forza del testo risiede nella sua capacità di dare voce a un’esperienza intima, disturbante, che si fa però collettiva, attraverso un linguaggio incisivo e immagini che restituiscono con autenticità un legame composto da distanze, silenzi e riconciliazioni».

Lidija Pisker, nata in Bosnia Erzegovina, è giornalista e attivista culturale. Da sempre innamorata del viaggio, esplora il mondo confrontandosi con molteplici esperienze e conoscenze, raccontando storie di culture, cibo e identità̀. È proprio uno di questi viaggi a farle incontrare il suo compagno, con cui oggi condivide la vita. Attiva nell’affermare i diritti delle persone anziane, si impegna per dedicare loro la giusta attenzione in una società̀ che spesso le mette in ombra. Ora sta invecchiando con il compagno, il loro cane e il loro gatto a Roma.
Con Barattoli ha vinto il Premio Speciale Slow Food – Terra Madre della XX edizione del Concorso letterario nazionale Lingua Madre, con la seguente motivazione: «Il cibo unisce e divide al tempo stesso. Il rosso ajvar è emblema dell’identità balcanica, e viaggia nelle valigie di chi vive altrove. Ma la sua origine è contesa – un po’ come accade per tante ricette regionali italiane – tra Albania, Serbia e diversi altri paesi. Il racconto presenta un ottimo incipit e lo contraddistinguono parole ben dosate, proprio come la speziatura e la piccantezza dell’ajvar. A tratti, in modo anche ironico, l’autrice fa comprendere come un semplice barattolo di salsa possa attenuare la nostalgia di casa e rafforzare un legame che non può essere spezzato. Nonostante la distanza».

Luz Elsy Duarte Zapata nasce a Bogotà nel 1970. Laureata in Psicologia, studia poi l’inglese per circa due anni a Londra. Nel 2002 si trasferisce in Italia per amore e qui svolge diverse professioni prima di ottenere una nuova qualifica universitaria in ambito psicologico-olistico: attualmente lavora come costellatrice familiare, tecnica di analisi e terapia alternativa nel settore della psicologia sistemica. Ha due figli. Poesie, racconti e lunghe lettere sono la sua voce; l’espressione più autentica che dà un senso alle sue vicissitudini tra conquiste e sconfitte nel suo cammino in terre straniere. Dice che «è la scrittura, come una fedele amica, ad accogliere, consolare, curare, celebrare».
Con La mia scarpa del cuore ha vinto il Premio Speciale Giuria Popolare della XX edizione del Concorso letterario nazionale “Lingua Madre”, con la seguente motivazione: «Un racconto gioioso e intenso con richiami affettivi lunghi un’intera esistenza e articolati su persone diverse e in momenti differenti. Pagine che rendono bene l’idea del debito nei confronti di coloro che sono venute prima. Il titolo contiene la traduzione in italiano del cognome della madre dell’autrice: Zapata, cioè scarpa. Ritrae, attraverso l’esperienza della protagonista, anche la storia di tutte le donne che in Italia perdono con il matrimonio il cognome materno e con esso il riconoscimento di chi ha dato loro la vita (situazione solo in parte superata da una sentenza della Corte costituzionale del 2022, sebbene continui a mancare una legge che regolamenti la materia). Una dimostrazione di come le parole siano in grado di plasmare la realtà».