Appuntamenti

La calda accoglienza delle donne detenute alle autrici CLM Voltapagina 2023

Scritto da Segreteria il 30 Maggio 2023

Nell’ambito del XXXV Salone Internazionale del Libro di Torino sabato 20 maggio si sono svolti due incontri con le autrici CLM per Voltapagina: il progetto alla sua XVI edizione è pensato per far entrare scrittrici e scrittori nelle carceri piemontesi (e per la prima volta da quest’anno anche liguri) al fine di incontrare detenute e detenuti.

Claudiléia Lemes Dias, scrittrice, saggista, autrice e parte del Gruppo di Studio CLM, è stata accolta nella sezione femminile della Casa Circondariale “Lorusso & Cutugno” di Torino per presentare la raccolta di racconti Storie di extracomunitaria follia, suo libro d’esordio ora riproposto in una nuova versione aggiornata da Protos Edizioni.

Questo il suo racconto dell’esperienza:

La partecipazione al progetto mi ha consentito di assottigliare il limite tra la finzione creativa e la dura realtà degli ambienti immaginati e raccontati. Avevo scritto anni prima una storia ambientata in un carcere femminile, senza essermi mai confrontata con le donne detenute all’interno del sistema carcerario.
Quelle nella Casa Circondariale “Lorusso e Cutugno” di Torino sembravano inizialmente disincantate sull’efficacia della letteratura come strumento pratico e percorribile di un personale riscatto psicologico. Si sono meravigliate, quindi, quando hanno appreso il mio vissuto e la mia esperienza con il Concorso letterario nazionale Lingua Madre, iniziata nel 2008, quando vinsi il primo premio, condividendone la gioia con Herrety Kessiwaah, donna detenuta nel carcere di Trapani, alla quale fu assegnato il terzo posto con il bellissimo e duro racconto autobiografico “Nanà”.
Alcune di loro hanno esternato il desiderio di scrivere sulla propria condizione di carcerate, di raccontare “il bello e il brutto”, quello che avevano imparato e quello che non andava bene, temendo però che alla fine che “nulla sarebbe cambiato” e che i loro scritti sarebbero stati letti soltanto in ambito carcerario. Questo il principale motivo per cui hanno smesso di cimentarsi in iniziative letterarie.
Ho quindi sollecitato il gruppo a non soffermarsi unicamente sulla loro condizione di detenute, ma di andare oltre, di filtrare la loro esperienza, di inventare e raccontare personaggi che vivano vite diverse dalla loro, ma che possano comunque esprimere i sentimenti e le emozioni che provavano loro nel profondo. Le ho vivamente invitate a partecipare con un racconto di qualsiasi genere al Concorso Lingua e ho portato a esempio i miei personaggi di “Storie di extracomunitaria follia” e altri racconti che avevo scritto per il Concorso nel 2008 e 2011.

In particolare, in “Non negherai”, ho descritto la dura realtà delle detenute incinte e dei/delle loro figli/e nati/e in carcere e costretti/e a gattonare e a imparare i primi passi all’interno di una cella. Nell’anno in cui lo scrissi, i bambini e le bambine in carcere, assieme alle loro mamme, erano una cinquantina, oggi sono la metà. Ho argomentato loro che per descrivere un personaggio e renderlo credibile agli occhi di chi legge è necessario immedesimarsi nella propria creatura, “incorporarla”, recitarla mentre si scrive. Così come mi ero sentita una detenuta mentre scrivevo il mio racconto, nulla impediva loro di avventurarsi in qualsiasi tipo di storia o genere, anche attraverso passaggi fantastici o surreali, effetti metaforici come quelli che io stessa prediligo e che spesso utilizzo quando descrivo il dramma dei barconi dei/delle migranti approdati sulle coste italiane (o mai arrivati), le guerre o i regimi autoritari dell’America Latina.
Le donne sono state partecipative e i racconti hanno dato spazio a numerose riflessioni sugli stereotipi più comuni attribuiti alla popolazione straniera, e non solo. Una di loro, in particolare, ha esternato il suo disagio e dispiacere nei confronti dell’accostamento “zingare borseggiatrici”, rimarcando come il gruppo etnico romanì è composto da oltre centomila persone perlopiù di nazionalità italiana. Abbiamo commentato assieme il racconto “Spartitemi”, contenuto nel mio libro sulla popolazione rom, che ha per protagonista un bambino romanì diventato direttore d’orchestra, figlio di una cantante lirica di etnia rom che si esibiva per le strade di Berlino, prima di essere arrestata e confinata in un campo di concentramento nazista.
Nel corso delle due ore di scambio di opinioni, è emersa la disaffezione delle detenute verso la politica, a loro parere, incapace di proporre soluzioni valide per rendere le carceri italiane luoghi di recupero e riabilitazione o per proporre pene alternative alla detenzione per i reati che prevedono pochi mesi di reclusione.
Ci siamo salutate poi con la loro richiesta di un secondo appuntamento per dare continuità al dibattito e il mio impegno di organizzarmi con la direzione del carcere per un nuovo proficuo incontro letterario.

Diana Paola Agámez Pájaro Marcela Flavia Luque hanno invece incontrato le detenute della Casa Circondariale di Vercelli: un’occasione di dialogo e riflessione a partire dai loro testi, rispettivamente Il mio corpo: un posto felice, racconto pubblicato nell’antologia Lingua Madre Duemilaventidue. Racconti di donne straniere in Italia (Edizioni SEB27), e In riva al Tagliamento, edito da Besa Muci Edizioni.

Diana Paola Agámez Pájaro ha descritto così l’incontro:

Ho scritto il mio racconto senza nomi perché per me non era tanto importante dare dei nomi.
Durante l’incontro alcune detenute del carcere di Vercelli hanno voluto completare il racconto e hanno nominato le protagoniste: Esperanza e Soledad. Questo mi ha fatto pensare che siamo qui per completare insieme un’unica storia che non ha un solo incipit o un solo finale.
Oggi la presenza del Concorso letterario nazionale Lingua Madre in uno spazio così complesso come il carcere femminile ha reso possibile l’esercizio di riscrivere un pezzetto della nostra storia collettiva
.

Questo invece il racconto di Marcela Flavia Luque:

Con una accoglienza tanto ospitale quanto entusiasta, io e Diana abbiamo presentato le nostre opere al gruppo di detenute della Casa Circondariale di Vercelli. Avendo già letto il libro e il racconto, molte delle donne presenti avevano domande preparate in precedenza che hanno dato vita a un vero e proprio scambio.
Personaggi, situazioni e paragoni si sono alternati in una vivace condivisione non solo delle opere in sé ma soprattutto di quello che le storie avevano fatto scaturire in ognuna delle lettrici, essendo l’emozione il filo conduttore di tutta l’esperienza. I rapporti familiari, la visione del corpo delle donne, le frustrazioni e il perdono sono stati alcuni dei temi che abbiamo affrontato sulla base di quanto percepito dalle detenute durante il percorso svolto sui volumi. Qualcuna ha scelto di definire ogni personaggio abbinandolo a una pietanza determinata, qualcun’altra si è identificata nelle esperienze vissute dai protagonisti mentre qualcun’altra ancora aveva vissuto sulla propria pelle le stesse emozioni descritte nei testi. E poi invece chi ha scelto solo di ascoltare.
Ciò che ho percepito con maggiore chiarezza, tuttavia, è stato quello che tutte le donne riunitesi durante l’incontro – detenute, volontarie, scrittrici – avevano in comune: le storie, la massima espressione della libertà di pensiero.
Alla fine siamo state omaggiate con dei prodotti fatti dalle detenute: un vasetto di miele delle loro api e un grembiule da cucina, un piccolo gesto che mi ha molto emozionata.
Non sono sicura di riuscire a trovare le parole giuste per descrivere questo incontro perciò vorrei limitarmi a ringraziare tutte e tutti quelli che hanno partecipato all’organizzazione per avermi permesso di essere parte di una esperienza nella quale temo di aver ricevuto più di quanto sono riuscita a dare
.

Ecco alcune foto.

L’immagine nell’anteprima del titolo è stata scattata dall’autrice CLM Diana Paola Agámez Pájaro durante il suo ritorno in macchina dalla Casa Circondariale di Vercelli.