Albania "la sensuale" Narratrici albanesi in lingua italiana
Scritto da Segreteria il 10 Dicembre 2010
Pubblichiamo di seguito l’abstract della tesi di Ventiola Karafili, laureatasi in Letteratura Italiana Contemporanea presso l’Università degli Studi di Torino. Parte della trattazione è dedicata al Concorso Lingua Madre e alle sue autrici.
Ho voluto dare il titolo di Albania “la sensuale” perché l’Albania che si legge nelle pagine di questi autrici viene descritta come una donna vestita di rosso (è l’unico paese che nella mappa del mondo è colorata in rosso). È la terra madre che ti vede nascere, crescere, che ti avvolge in un caloroso abbraccio e ti fa sentire a casa, nel posto più sicuro del mondo. Ma è anche quella donna misteriosa che ti attira in inganno, ti coinvolge, ti fa innamorare e poi ti disprezza, ti infligge dolore, ti maltratta con una violenza indescrivibile… E quando non la sopporti più non ti resta altro che abbandonarla, sentendone però sempre nostalgia e mancanza.
È tutto inizia da qui, cioè da un viaggio che: «prevede solo approdi, non ritorni, un viaggio a senso unico» direbbe Očkayová Jarmila. L’emigrazione dall’Albania verso l’Occidente è recente ed è iniziata più o meno negli stessi anni che coincidono con la nascita della prima fase della letteratura di migrazione, cioè durante l’inizio degli anni ’90. Le autrici albanesi iniziano a pubblicare in italiano solo durante la seconda fase, quella chiamata “carsica”. Ne sono esempio Miranda Sulce, che nel 2001 pubblica per la Sinnos editrice un libro bilingue italiano-albanese e Kaliroi Bello che tra 1999 e 2005 ha pubblicato diverse raccolte poetiche e una raccolta di racconti da case editrici minori. Solo nella terza fase c’è un aumento delle pubblicazioni delle narratrici albanesi in italiano, più precisamente durante gli ultimi cinque anni. Segno dunque il 2005 come “anno di confine” tra il periodo che potrei definire “preliminare” delle pubblicazioni delle scrittrici albanesi in Italia e quello successivo, in cui si assiste a una vasta proliferazione, non solo ad opera di piccole case editrici, ma grandi case editrici come Feltrinelli e Einaudi pubblicano le opere di Dones, Vorpsi e Ibrahimi. Questa enorme diffusione di scritti di donne albanesi si deve anche al Concorso “Lingua Madre”, che ha dato voce a tante giovani donne straniere. Durante i cinque anni della vita di questo concorso, sono state dodici le autrici albanesi delle quali sono stati selezionati e pubblicati i racconti nel libro Lingua Madre – Racconti di donne straniere in Italia. Inoltre per due anni consecutivi, precisamente 2009 e 2010, i racconti vincitori del primo premio sono stati scritti da Alketa Kosova e Kamela Guza, entrambe albanesi.
Le autrici albanesi che pubblicano in lingua italiana sono quasi tutte immigrate di prima generazione, cioè giunte in Italia adulte. A questo punto nasce la domanda, perché le autrici anche se conoscono bene la loro lingua d’origine scelgono di scrivere in lingua italiana? Le ragioni di questa scelta sono diverse. «In linea di massima la scrittura in italiano viene sentita come ponte verso la cultura in cui, per scelta o per costrizione, si vive: le parole diventano il modo di trovare un’appartenenza. La scrittura diventa un mezzo di conoscenza reciproca»1. Tenendo presente queste motivazioni riporto qui le parole di Miranda Sulce che nel suo libro afferma: «Scrivo in italiano per raccontare la mia storia e quella della mia terra» (p. 131). Kaliroi Bello invece, scrive per denunciare l’isterica collettività dei suoi connazionali, durante e dopo l’emigrazione di massa, spiegando le motivazioni di questo isterismo e spera in una riflessione e in una comprensione da entrambe le parti. Nella Nota dell’Autrice, che si trova alla fine del suo libro, lei stessa afferma: «Ecco questo libro, che idealmente dedico al mio Paese confuso, vuole essere una piccola pietra sulla quale fermarsi per far riflettere la nostra gente e la gente che ci ospita affinché in un futuro non lontano, in un ideale abbraccio, le due sponde del mare Adriatico si uniscano» (p. 109).
Per Anilda Ibrahimi questa scelta risulta “molto naturale” perché lei da anni vive in Italia e con la sua lingua d’origine ha perso la sintonia. A parte questo motivo, lei sottolinea anche il fatto che quando si scrive si: «tende sempre a immaginare un pubblico, che appartiene a un determinata lingua, nel mio caso è l’italiano. Ovviamente io non posso scrivere un libro solo per me stessa e i miei familiari, ho bisogno di un pubblico. Per il pubblico albanese invece sono una perfetta sconosciuta, come avviene per tutti quelli che se ne vanno»2.
Ma usando una lingua diversa dalla propria: «esprime anche la necessità di staccarsi dalle proprie radici nella nuova condizione di spaesamento, anche ove racconti di quelle radici»3. Sono questi i motivi che spingono Vorpsi a scrivere le sue opere in lingua italiana, visto che ha vissuto in Italia solo pochi anni e ormai è da tredici anni che risiede a Parigi. L’autrice stessa sottolinea: «Se avessi deciso di usare l’albanese non sarei mai diventata una scrittrice. Per scrivere mi ci voleva una vera distanza da quello che avevo vissuto4. E una lingua che non è quella della tua infanzia aiuta molto questo distacco, è un medium perfetto»5.
Elvira Dones non sa dare una risposta alla domanda perché ha scelto l’italiano per scrivere il suo libro Vergine giurata. In un’intervista fatta da Pierre Lepori dopo la pubblicazione del romanzo risponde: «A volte mi chiedo perché quel tale personaggio parla con quel ritmo e usando quel linguaggio, o perché – riallacciandomi alla sua domanda Vergine giurata sia nato in italiano. Non sempre ho una risposta, e nemmeno mi preme averla»6.
Roberta Sangiorgi mette in evidenza che: «Per chi emigra le parole acquistano un “peso” maggiore, perché a loro il migrante affida la sua vita; il passato, il presente, il futuro. […] per non dimenticare, per non perdersi, per coltivare i sogni, per non annegare nella nostalgia»7. Credo che siano questi i motivi che spingono a scrivere in italiano (il bando prevede la scrittura in italiano, ma questo non si legga come una costrizione, infatti l’articolo 5 non solo ammette ma incoraggia la collaborazione tra donne straniere e italiane laddove non dovesse esserci dimestichezza nella lingua italiana scritta)8 la maggior parte delle autrici che hanno pubblicato nell’antologia di Lingua Madre, cioè per ricordare e raccontare del loro paese, per far conoscere le difficoltà che quest’esperienza di migrazione comporta, per evidenziare le problematiche che hanno incontrato durante la loro permanenza in Italia, ma anche per trovare il coraggio e non abbattersi, per continuare e lottare per la realizzazione dei propri sogni sperando sempre in un futuro migliore.
A questo punto ritengo utile sottolineare alcune tematiche che emergono con più forza e che accomunano le narratrici. Prevalgono le tematiche dell’incubo e della caduta del regime dittatoriale in Albania, a cui segue il sogno e il viaggio verso la terra promessa. Giunge poi la delusione del primo impatto con l’altro e la solitudine. Enormi sono le difficoltà da affrontare nel paese d’arrivo, che solo dopo tanti anni diventa, forse, anche un po’ il loro, richiamando continuamente però, tramite ricordi e memorie, il paese d’origine per il quale si nutre sempre amore e nostalgia. Ma vengono trattati anche temi che pongono tante domande sui diritti negati alle donne, sulle violenze che subiscono, sul dolore inflitto loro dagli uomini. Questo è però solo un lato della medaglia, dall’altro c’è la ripresa della parola da parte della donna, che si ribella, che trova sempre il coraggio di andare avanti. Daniela Finocchi afferma che in ogni parola che le donne scrivono trasmettono «un così forte entusiasmo per la vita da far ben sperare per il futuro del mondo»9.
Note:
1 DWF “Voci migranti”, 3-4 [71-72] Luglio-Dicembre, 2006, p. 27.
2 Intervista di Marjola Rukaj, Rosso come una sposa, 8 luglio 2008, tratta da: http://www.osservatoriobalcani.org/article/articleview/9832/1/41/
3 DWF “Voci migranti”, op. cit., p. 29.
4 «Riflettendoci poi, mi sono resa conto che avevo la necessità di lasciare fuori la mia infanzia. Che avevo bisogno di una lingua straniera che raffreddasse una materia incandescente, che mettesse distanza». Copolla Alessandra, La narrativa dei nuovi italiani. Una lingua, doppia identità, Corriere della Sera, Lunedì 26 Aprile 2010, p. 26.
5 Carlo Giorgi, “La scrittrice che ballava sul cubo”, D – La Repubblica delle donne, 17 febbraio 2007.
6 Intervista fatta da Lepori Pierre “Sei domande ad Elvira Dones”. Notizie consultate da questo link: http://www.culturactif.ch/livredumois/janv08dones.htm
7 DWF “Voci migranti”, op. cit., pp. 27-28.
8 L’art. 5 del bando del Concorso letterario nazionale Lingua Madre, infatti, recita: «Si richiede di scrivere in italiano, perché l’Italia è il paese di residenza e il luogo dove il Concorso è bandito ma è consentita, anzi incoraggiata, la collaborazione tra donne straniere e donne italiane nel caso l’uso della lingua italiana scritta presenti delle difficoltà. Tutto questo nello spirito della valorizzazione dell’intreccio culturale che è prima di tutto intreccio relazionale: assistenza non è affatto perdita sul piano identitario, al contrario è proprio nella relazione che l’identità si afferma in modo positivo e non preclusivo».
9 Ivi, p. 50.
BIBLIOGRAFIA
Bello Kaliroi, Spirito libero, OTMA Edizioni, 2005.
Carlo Giorgi, “La scrittrice che ballava sul cubo”, D – La Repubblica delle donne, 17 febbraio 2007
Copolla Alessandra. La narrativa dei nuovi italiani. Una lingua, doppia identità, “Corriere della Sera”, Lunedì 26 Aprile 2010.
DWF “Voci migranti”, 3-4 [71-72] Luglio-Dicembre, 2006,
Očkayová Jarmila, Dalle parole di nostalgia alla nostalgia di parole, Rivista on-line Kúmá. Creolizzare l’Europa, 12 ottobre 2006.
Sulce Miranda, Orme sul mare, Sinnos editrice, 2001.
Intervista fatta da Lepori Pierre “Sei domande ad Elvira Dones”. Notizie consultate da questo link: http://www.culturactif.ch/livredumois/janv08dones.htm
Intervista di Marjola Rukaj, Rosso come una sposa, 8 luglio 2008, tratta da questo link: http://www.osservatoriobalcani.org/article/articleview/9832/1/41/