18 dicembre: Giornata Mondiale dei Migranti
Scritto da Segreteria il 18 Dicembre 2013
Oggi, 18 dicembre, è la Giornata Mondiale dei Migranti. Per l’occasione siete tutti/e invitati/e a scrivere, commentare, condividere qui sul blog, su Facebook e Twitter (con l’hastag #invitoscritturaCLM)!
Partecipate numerosi/e con i vostri contributi!
La mia visita, come tutte le visite, doveva essere temporanea. Ma io chiesi a mia madre di rimanere. Nonostante tutto fosse diverso, nonostante non capissi ancora una parola, nonostante sorridessi a sproposito al nonsense di quello che mi dicevano gli italiani che incontravo. Volevo restare con la mamma, nonostante tutto.
Mi iscrissi a una nuova scuola, con nuovi insegnanti e nuovi compagni. Però, per quanto l’idea di cominciare una nuova vita mi eccitasse molto, sotto sotto ero angosciata. Il primo giorno nella mia nuova scuola le mani mi tremavano, il cuore mi batteva a mille e avevo la sensazione che quello fosse il mio primo giorno di scuola in assoluto. La mia mente era come avvolta da una specie di nebbia leggera che mi straniava e confondeva. I volti attorno a me sembravano indistinti come in certi sogni pieni di ombre.
Poi feci un gran respiro, mi diedi coraggio da sola ed entrai in aula. Un’insegnante mi sorrise e mi salutò in rumeno: «Salut, Nicoletta, bine ai venit!».
Fu allora che pensai che avrei preso il volo e riuscii finalmente a respirare calma.
Alla fine di quella giornata, distesa esausta sul divano di casa, pensai a tutta quella gente che lascia le proprie radici e parte alla ricerca di un posto di lavoro sotto un altro cielo. Gente sola che magari non ha proprio nessuno dall’altra parte.
Io ero molto fortunata perché la mia mamma già lavorava e parlava italiano bene. Così, ne ero certa, la sua nuova lingua sarebbe presto diventata la mia nuova “limba mama”, un’altra “lingua madre” perché era già quella di mia madre!
Nicoletta Andrea Orz – Limba Mama, in Lingua Madre Duemilatredici. Racconti di donne straniere in Italia (SEB27)
Il telefono suonò mentre Juliana leggeva gli aggiornamenti dei suoi amici su una rete sociale. Era Anna, sua suocera, che le chiedeva se avesse visto al telegiornale il servizio su una ragazza peruviana lanciatasi dal quinto piano di un edificio a Genova insieme al figlio piccolo.
Juliana non l’aveva visto. Era rientrata dal Brasile da poco più di tre settimane e, come accadeva ogni anno, anche quella volta faceva fatica a riadattarsi alla sua routine. Quelle giornate piovigginose d’autunno, poi, non la stimolavano affatto ad accendere la televisione per seguire i monotoni programmi italiani.
Le visite ai genitori brasiliani durante le vacanze estive del figlio Leonardo destabilizzavano il fragile equilibrio emotivo che Juliana riusciva a fatica a costruirsi durante le altre stagioni. Lontano dagli occhi, lontano dal cuore: meno tornava in Brasile, più si sentiva appartenente all’Italia. Viveva male l’attesa del viaggio perché aveva la fobia dell’aereo e si sentiva angosciata all’idea di dover affrontare circa dieci ore di volo sopra l’oceano. In più i suoi genitori, entrambi figli di giapponesi, erano impassibili e la ricevevano all’aeroporto sempre a braccia incrociate. Da un po’ di anni anche lei si riconosceva in quella freddezza… Quando i suoi amici italiani le chiedevano se la saudade fosse davvero un sentimento diverso dalla nostalgia e una parola intraducibile, lei rispondeva che quella era soltanto una grossa stupidaggine inventata da certi intellettuali brasiliani in esilio. Inquietudine per l’irripetibilità di un’emozione: non era forse così pure la nostalgia?
Monica Eriko Inoue – Spleen Tropicale, in Lingua Madre Duemilatredici. Racconti di donne straniere in Italia (SEB27)