Olinda dai capelli ricci Quante storie!
Scritto da Segreteria il 22 Dicembre 2020
Dai racconti delle autrici CLM più fiabeschi e fantastici, una serie di letture pensate per le/i giovani lettrici/lettori.
Simone Silva [Brasile]
OLINDA DAI CAPELLI RICCI
Quella mattina Olinda si era svegliata, come si usa dire in Italia, con la luna storta. Erano le sei ed i raggi del solleone già irrompevano con forza attraverso la finestrella della sua camera. Sapeva che quella non sarebbe stata la giornata più adatta per andare a scuola conciata in quel modo – con la solita pettinatura che la mamma si ostinava a farle ogni benedetta mattina .
Le foglie del vecchio albero di mango, che si trovava proprio lì a lato della sua camera, la salutavano ripetutamente. I suoi rami giganti si muovevano su e giù come per aprirle le braccia e avvolgerla nella dolce rugiada di una calda mattina di dicembre.
Da lì a poco sarebbero iniziate le vacanze di Natale e Olinda finalmente avrebbe potuto dormire e magari liberare la sua testolina di soli otto anni, sia dagli impegni scolastici, che da quella sorta di routine mattutina.
La bambina cominciava ad essere proprio stanca di quelle doppie code di cavallo, una su ogni lato della testa, che le pendevano come dei caschi di banana. Sentiva che la sua cute reclamava riposo, perché facevano troppo male e poi la mamma non aveva tanta pazienza, tirava con forza quel mucchio di riccioli neri per cercare di disciplinarli. A lei ed a sua sorella Marilha non piaceva per niente quel momento della giornata, ma non era possibile contrariare la volontà della mamma. Doveva essere così. Era la loro piccola dose di sofferenza quotidiana, antipasto indigesto prima di andare a scuola.
La mamma non si accorgeva di infliggere così tanta sofferenza alle figlie, dopotutto non stavano bene con quei lunghi capelli sciolti. Bastava un soffio di vento ed ecco che si sparpagliavano all’aria, indomabili, donando a quelle testoline un’aureola ingombrante e folta, quasi ridicola. Sembravano due contadinelle con una cesta di vimini sul capo “alla Carmen Miranda degli anni 30”.
Le ragazzine fin da piccolissime avevano provato a resistere a quelle sedute di parrucchiere casalingo, ma era tutto inutile! Avevano in casa un arsenale di quegli elastici, i cosiddetti “Maria Chiquinha” che rappresentavano il vero oppressore delle bambinette ricciolute del Brasile degli anni ‘70. Erano colorati, molto sottili e con degli oggettini su ogni estremità. Potevano essere palline, animaletti o semplicemente fiorellini. Sui capelli davano quel tocco di grazia e ingenuità a cui le mamme tenevano tanto per le loro bambine. Il rituale che Olinda e Marilha dovevano seguire alla regola era quello di sedersi sul tavolo della cucina ed aspettare il proprio turno. La mamma si muniva di Maria chiquinhas, pettini, spazzole e olio di babosa[1] ed iniziava la lunga operazione di districamento di quei ricci che impetuosamente si facevano beffa di lei nella loro intrinseca riluttanza a lasciarsi domare pervicaci nel restare se stessi, nonostante tutto quel da fare.
Alle sei e mezzo sua sorella Marilha era già pettinata, dopotutto era sempre lei la prima ad alzarsi per iniziare la sua seduta di bellezza. Non si lamentava mai, aveva un senso del dovere e del rispetto dell’autorità materna veramente invidiabile. “Mia sorella è perfetta”, pensava tristemente Olinda. Dopo veniva il suo turno.
Si udiva allora un urlo secco, uno di quegli “ahiiiii” che faceva volar via tutti i beija –flor[2] che si aggiravano tra le papuolas[3] del loro giardino. In quel giorno, come la luna di Olinda, le code uscirono tutte storte. Appena arrivata a scuola le disfece, infischiandosene di quello che le avrebbe detto la mamma una volta tornata a casa. Si sentiva nuovamente libera, rasserenata. Non le importava niente di portare a spasso quei capelli gonfiati e quella testolina di fungo. Era felice così.
Solo col tempo le bambine avrebbero cominciato ad odiare quei ricci ed a rimproverare madre natura che aveva donato loro quel genere di capelli. Disprezzato in Brasile in quanto non appartenente alla “casta” di quelli lisci, biondi o neri, splendidamente setosi, ordinati e brillanti, simbolo per eccellenza di bellezza femminile.
Per loro era un segno di appartenenza scomodo, indesiderato, distintivo dal punto di vista estetico, oltre a rappresentare un motivo di sofferenza fisica. Sentirsi belle ugualmente, in quello stato di “negazione” di canoni estetici comunemente accettati non era facile, soprattutto per delle bambine, in una società fortemente schiava e devota dell’apparenza fisica.
Nell’età dell’adolescenza, sia Olinda che Marilha, con consenso della madre, avevano preferito mascherare quel tratto facendosi stirare i cappelli con una crema azzurra, a base di soda e ammoniaca, estremamente forte e odorante, che oltre a ferire la cute faceva puzzare i capelli pure dopo numerosi lavaggi, ma che li rendeva lisci, anche se l’aspetto risultava decisamente innaturale.
Oggi Olinda non si stira più i capelli, non li tiene più cortissimi e nemmeno si pettina con quelle goffe code di cavallo di cui sua mamma andava fiera per perizia e maestria. Ora vive in Italia, la sua nuova casa, e quei tempi di spensieratezza sono diventati dolci ricordi, struggente nostalgia profumata di “saudades”.
Il destino ha cambiato la sorte di quella bambina fragile di un tempo piena di sogni, speranze e entusiasmi tipici di un’infanzia, tutto sommato meravigliosa e che vive intatta nei ricordi.
Alla bella età dei suoi quasi quarant’anni Olinda, dopo oltre diciassette anni vissuti in Italia come donna migrante, sente di essersi tolta un piccolo sfizio: aver lasciato crescere naturalmente e liberamente i suoi ricci. Ma come, alla sua età?! Ma non è forse troppo tardi? Cosa significa questo? Il riaffiorare di una nuova gioventù, o cos’altro? I capelli non sono forse un’arma di seduzione vincente per ogni donna? Non sta lì la loro forza e la loro bellezza? Ad Olinda non interessa tutto questo, bensì farli crescere così come sono, ricci, decisamente crespi e naturalmente brasiliani, fiera del suo segno distintivo dalla sua appartenenza di un pezzo di identità nascosta e ora svelata per sempre. Ma perché tutto questo? E perché solo ora? E’ una lunga storia…
Il suo approdo in Italia è avvenuto per una scelta d’amore con il progetto di una vita da costruire insieme al marito ed alla nuova società di accoglienza.
Appena arrivata il suo essere brasiliana si svelava subito; bastava pronunciare qualche parola azzardata in italiano. D’altronde l’inflessione della propria lingua non si perde facilmente, e resta tuttora il suo segno distintivo. Ma con i capelli Olinda ci sapeva proprio fare. Riusciva magistralmente a camuffarli, a domarli, a renderli quasi invisibili agli occhi indiscreti. In un certo modo mascherava la sua etnia facendo delle bellissime messe in piega a regola d’arte, frutto di anni e anni di apprendimento. I ricci venivano così trasformati in bei boccoli, finti sì, ma che la rendevano un po’ più simile alle donne italiane e un po’ meno straniera, almeno nell’apparenza. Questo stratagemma la faceva sentire più protetta dagli sguardi curiosi, meno appariscente, magari anche più bella…
Olinda però ben presto si rese conto che non era facile portare quella maschera. Pure il clima giocava a suo sfavore, soprattutto la nebbia della pianura bresciana che tendeva a mettere allo scoperto quei riccioli indesiderati. Alla suocera non piacevano, erano troppi e troppo appariscenti. “Andrebbero tagliati, corti se possibile” era solita ribadirle. La questione lasciava invece indifferente il marito. Il problema vero era un altro: come riuscire a portarli senza paure, senza costrizioni e sensi di inadeguatezza? Doveva proprio tagliarli corti? Era forse il caso di rifiutare quel pezzetto di identità?
Nascondersi dietro quel banale sotterfugio di mascheramento e di invisibilità sociale non le avrebbe facilitato l’inserimento tra la gente. Non era forse l’ora di spogliarsi di quelle paure infondate? Non era necessario assumere l’aspetto esteriore di un’italiana a tutti gli effetti per venire accettata. Vestirsi e acconciarsi come le italiane non bastava a renderla meno straniera. La questione aveva una portata assai maggiore che andava oltre l’aspetto dei capelli. E’ così che negli anni Olinda ha capito che aprirsi ad una nuova società, in un altalenarsi di incontri, scontri, scoperte e cambiamenti culturali, non doveva significare né una svalutazione di sé né tanto meno un immedesimarsi incondizionato nell’altro, ma un’occasione unica di crescita e conoscenza della propria e altrui diversità. In questi giochi di specchi umani e interculturali Olinda ha imparato ad accettare se stessa, nella sua interezza, a non rinnegare nulla delle sue origini.
Ha iniziato così il suo personale cammino alla ricerca di una identità nuova, più sicura dove i ricci fungono da metafora per la scoperta e la valorizzazione consapevole di sé e dell’altro.
[1] Olio di aloe molto usato in Brasile dalle donne di origine africana per nutrire ed idratare i capelli secchi e ricci.
[2] Il corrispettivo di colibrì in italiano
[3] Papaveri
L’illustrazione che accompagna il racconto è contenuta nel volume “Due infanzie per Nambena e altri racconti” realizzato a seguito del laboratorio artistico MIRAcconto illustrando condotto dalle illustratrici Annalisa Sanmartino e Giulia Torelli dell’Associazione BUM Ill&Art e promosso in collaborazione con le Biblioteche Civiche Torinesi ed il contributo della Youth Bank Mirafiori.