La campana di cartone Quante storie!
Scritto da Segreteria il 20 Dicembre 2024
Dai racconti delle autrici CLM più fiabeschi e fantastici, una serie di letture pensate per le/i giovani lettrici/lettori.
Con l’augurio di buone feste da parte del Concorso!
Maria Francisca Chapilliquen Alva e
Valeria Vargas Chapilliquen [Perù]
LA CAMPANA DI CARTONE
Sì Valeria, anche quest’anno sul nostro albero di Natale ci sarà la campana di cartone che lo zio Nicolas, il fratello maggiore di mio padre, realizzò. La confezionò con materiale di riciclo, cartone e incarto di cioccolato.
Me la inviò il primo anno che sono arrivata in Italia ed ero lontana dal mio pase, insieme a una lettera di quelle che si usava scrivere trent’anni fa, di quelle scritte con carta e penna.
Lei, la campana, continua ad avere il suo posto d’onore sul nostro albero.
Abbiamo cambiato case e alberi di Natale: colorati, con neve finta, addobbati con i tuoi pupazzi preferiti, piccoli e grandi come quello che da un po’ mettiamo all’ingresso, così che possa essere ammirato appena si entra.
Sempre addobbato anche dalle emozioni vissute in questi tuoi ventisei anni. Momenti felici, tristi, belli, brutti, ma la campana resiste al passare del tempo.
Addobbare l’albero, ogni volta, è più compito tuo e di papà. Non è che mi ci butto a capofitto, ma il momento che più mi piace è proprio collocare quella campana.
Credimi che questo gesto mi ricorda il suono delle parole delle persone con le quali sono cresciuta.
Non li hai conosciuti tutti bene e, soprattutto, non hai ascoltato i racconti dello zio Nicolas visto che lui è partito per sempre prima che tu nascessi. È riuscito però a sapere che aspettavo te ed era felice.
Sei nata e cresciuta lontana da loro, lontana dai nostri cari. Per scelta, sì, per le circostanze della vita, politiche, economiche. Non lo so.
È vero che avrei preferito essere circondata anche dagli affetti familiari lontani, come avviene per tante altre donne immigrate che conosco tramite il mio lavoro, ma il tuo sorriso, il tuo sguardo appena nata, ha compensato fin da subito questa mancanza.
Sei nata in Italia e a diciotto anni sei diventata italiana per lo Stato, ma lo eri già quando, a cinque anni, chiedevi a me e a tuo padre, battendo la tua manina sul tavolo, di parlare “normale” quando mangiavamo e parlavamo in spagnolo, perché volevi parlare in italiano.
Quando, a dieci anni, durante il nostro viaggio di ritorno dal Perù, volevi mangiare gli spaghetti c’a pummarola, e ci hai detto basta riso. Meno male che adesso ti piace el arroz con pollo.
Parlavi già da piccola sia l’italiano sia il napoletano, dipendeva dal contesto e anzi lo fai tutt’ora. Mi aiuti e mi correggi con entrambi.
Ho capito che quando ti arrabbi ti viene spontaneo parlare in napoletano e ne sono testimone quando metti al suo posto qualche impiegato burocratico e per farti capire meglio gli parli in dialetto. È la tua lingua di difesa, ma quando ti sento parlarlo ti riconosco ed è grazie a te che ho potuto apprezzare e conoscere meglio questa città e i napoletani.
La campana, in questo momento dell’anno, mi ricorda le parole delle persone che mi hanno amato e cresciuto. Quelle che hanno protetto la mia vita affollata di familiari di sangue e anche di quelli che mi sono scelta.
La campana dello zio Nicolas ha il suo posto, in alto nell’albero, perché possa essere vista e io possa raccontarti la sua provenienza e quello che rappresenta.
La tua vita è diversa dalla mia ed è giusto che sia così.
Credo fermamente che ognuno si sceglie la propria famiglia. Non solo la famiglia di sangue, ma quelli che ti scegli “tu”. Sai di avere affetti ovunque: Perù, Stati Uniti, Regno Unito, ma stai costruendo tutto tu.
Sei un’italiana di seconda generazione. Dal punto di vista giuridico, voglio vedere solo gli aspetti positivi perché, ricorda figlia mia, tu sei una ius sanguinis e una ius culturae. Eccome se lo sei, ti abbiamo fatto conoscere infinite realtà scolastiche che offrono l’Italia e Napoli.
Quindi ti voglio ricordare che, ogni anno che vedo questa campana, mi tornano in mente i suoni delle parole dello zio Nicolas che mi diceva: «Ti voglio aggiungere in un’altra categoria alla quale tu hai diritto, così come tutti i figli delle persone straniere che hanno scelto di far nascere i propri figli altrove. Anzi è una categoria alla quale abbiamo diritto tutti a prescindere dalla nazionalità: beatus homo. È un diritto e un dovere cercare di esserlo».
Queste parole mi risuonano perché erano le parole che mi diceva spesso mio zio Nicolas e che il primo anno mi scrisse sulla campana che tutt’ora brilla sul nostro albero.
Mamma Maria Francisca
Racconto pubblicato in Lingua Madre Duemilaventitré. Racconti di donne non più straniere in Italia (Edizioni SEB27).