Il mondo di Sonia e Zahra Quante storie!
Scritto da Segreteria il 28 Luglio 2020
Dai racconti delle autrici CLM più fiabeschi e fantastici, una serie di letture pensate per le/i giovani lettrici/lettori.
Alia Aghil Sharif [Somalia]
IL MONDO DI SONIA E ZAHRA
Sonia: «Mamma posso andare a giocare da Zahra? I compiti li ho fatti tutti».
La mamma: «Zara, Zara… Sempre questa Zara».
Sonia: «Mamma, la mia amica si chiama Zahra e non Zara… È come se ti chiamassero Lordana invece di Loredana… Sì mamma, mi piace andare da Zahra, perché è gentile, simpatica; mi racconta le favole del suo paese e m’insegna a fare le treccine».
La mamma: «Ormai, per la mia Sonia esiste solo Zara».
Sonia: «Mamma, quando imparerai a dire Zahra? Lo sai cosa significa questo nome? “Fiore”. Sì, vuol dire fiore, è un nome arabo, ma lei è pakistana… Mamma, adesso devo andare, a casa di Zahra stanno per iniziare i preparativi per una grande festa che si svolgerà fra una settimana».
Tornata a casa, Sonia portò con sé il chapati[1], avvolto in un panno di stoffa bianco.
E quando si sedette a tavola con i propri genitori, Sonia cominciò a raccontare e descrivere il mondo di Zahra: «Sai mamma, la zia di Zahra ha comprato tanto henné[2]. Servirà a decorare le mani delle amiche di Zahra e quindi anche le mie… Mamma, te lo chiedo già adesso: quella sera dovrai lasciar che io dorma a casa di Zahra per il rito dell’henné, così non ti sporcherò la casa. Invece, a casa di Zahra, c’è un tappeto molto grande, di color rosso scuro (come l’henné) e delle coperte vecchie dove dormiremo noi, mentre l’henné si asciugherà sulle nostre mani». E Sonia, durante la cena, non esitava ad accompagnare il suo chapati con il pollo e l’insalata preparati dalla mamma, invitando i genitori a fare altrettanto. La mamma tirò su un lungo sospiro e, rivolgendosi a suo marito, esclamò: «Credo proprio che nostra figlia sia rimasta abbagliata da qualche Mahatma».
Il giorno della festa, a casa di Zahra arrivarono le bambine di mezzo mondo. La mamma di Zahra preparò il biryani[3], dei shish kebab[4], ed il naan[5]. Poi, Habiiba (che viene dal verbo amare, voler bene), una bambina somala, portò un bel cesto di vimini pieno di sambusi[6] ed un thermos pieno di un profumatissimo tè al cardamomo. Poi arrivò una bambina palestinese, Selma (che significa pacifica) e portò un bel contenitore di vetro, pieno di hummus[7]. Sonia convinse la sua mamma a prepararle un bel po’ di pizzette. Poi c’era Nuura (che vuol dire luce in arabo) ma lei è iraniana. Portò con sé un prezioso vaso, pieno di pistacchi e datteri. I datteri oltre ad essere squisiti sono anche simbolo di pace, di serenità e d’amicizia. Poi c’era Fatima (che vuol dire serietà ed autorevolezza), una bambina algerina, che portò dei favolosi dolcetti a base di pasta sfoglia, coperti di miele e mandorle tritate. Poi c’era Yasmin, una bambina turca che portò un bel contenitore di vetro pieno di halwa[8]). Poi c’era Salima (che forse vuol dire salva), una bambina irachena che portò dei meravigliosi biscotti fatti in casa e ripieni di datteri. Poi c’era Najma (che vuol dire stella), una bambina eritrea che portò delle polpettine di patate con ripieno di carne trita con mille spezie. Poi c’era Elisabetta, la bambina piemontese, che portò una stupenda pirofila di ceramica di Castellamonte, contenente il bunet[9]. E, tutte quante, avevano le mani dipinte con l’henne, con stupendi disegni quasi fossero un’opera d’arte e con un leggero e stupendo profumo, simile a quello del tè delle Indie.
La sera, quando i genitori di Sonia andarono a riprenderla, furono invitati ad entrare. Il loro stupore fu alle stelle nel vedere tanta amicizia, allegria e convivenza di mille culture e differenze.
Papà Ludovico non riuscì a trattenere la domanda che gli girava in testa: «Ma com’è possibile che qui siate tutti amici e viviate in pace e, invece, nei vostri paesi siate eternamente in guerra?».
La risposta di Sonia non si fece attendere: «Papà, devi sapere che i bambini vorrebbero vivere sempre in pace e giocare allegramente con tutti i bambini del mondo. Siete voi grandi a volere la guerra.
[1] È il tipico pane pakistano.
[2] Pianta lasciata a essiccare.
[3] Uno dei piatti più importanti della cucina pakistana fatto di riso allo zafferano e spezie.
[4] Piccoli spiedini molto sfiziosi e gustosi.
[5] Simile alla piadina romagnola, ma molto fermentata e con una spolverata di sesamo sulla crosta.
[6] Triangolini di pasta sfoglia con un ripieno di carne tritata e dai mille aromi.
[7] Una salsa a base di ceci, insaporita con olio d’oliva, limone, prezzemolo e tahina (una pasta di semi di sesamo tostati e tritati).
[8] Crema a base di sesamo e pistacchio, tritato ed amalgamato con zucchero e burro.
[9] Un morbido e squisito dolce a base di amaretti, cioccolato e latte.
L’illustrazione che accompagna il racconto è contenuta nel volume “Due infanzie per Nambena e altri racconti” realizzato a seguito del laboratorio artistico MIRAcconto illustrando condotto dalle illustratrici Annalisa Sanmartino e Giulia Torelli dell’Associazione BUM Ill&Art e promosso in collaborazione con le Biblioteche Civiche Torinesi ed il contributo della Youth Bank Mirafiori.