Lo spirito critico di Aida Ribero Presentato il volume “Con forza e intelligenza” all’Ordine dei Giornalisti
Scritto da Segreteria il 16 Ottobre 2024
«O si crede nello spirito critico oppure non ci si avvicini neppure ad Aida Ribero. O si crede nel valore della storia come cammino, fatto di contraddizioni, di spinte in avanti così come di arretramenti, quindi in una visione tutt’altro che positivistico-deterministica, oppure è arduo apprezzare l’intelligenza viva, non dogmatica, ostinatamente libera da pregiudizi e preconcetti, perché è davvero un’autentica intelligenza che le pagine di questo libro ci restituiscono». Così Emmanuela Banfo – Giulia Giornaliste – ha esordito martedì 15 ottobre 2024 presso l’Ordine dei Giornalisti a Torino alla presentazione del volume Con forza e intelligenza. Aida Ribero (1935 – 2017), Il Poligrafo. L’incontro, promosso dal Concorso Lingua Madre e Giulia Giornaliste, ha visto in dialogo con lei Daniela Finocchi, ideatrice CLM e curatrice del libro con Michela Marocco, e la giornalista Stefanella Campana.
È nella rivendicazione di una identità femminile, non come paradigma escludente, ma come riappropriazione di un sé personale e collettivo, e quindi storico, che l’ottica della liberazione scavalca quella dell’emancipazione nei libri e nell’opera di Aida Ribero, ha poi ricordato Banfo – dopo l’introduzione della curatrice sulla genesi del volume e i suoi contenuti – che ha sviluppato il suo intervento attraverso tre nodi principali: corporeità, differenza e libertà.
Il pensiero femminista consegna alle donne un corpo nuovo che, proprio attraverso la valorizzazione al femminile, apre una prospettiva filosofica innovativa. Il corpo non è l’involucro privo di valore di stampo pitagorico-platonico-gnostico e non è il luogo, antitetico alla razionalità celebrata dall’Illuminismo, che altro non ha fatto che ereditare l’impostazione polarizzata dell’antica filosofia greca, di cui l’Occidente europeo è figlio. Nel far tabula rasa della cultura fallologo-centrica, si creano le condizioni per affermare sì una femminilità autentica, liberata, ma anche una nuova concezione dell’umanità.
Partendo da questo orizzonte, ampio, articolato, profondo, Banfo si è poi soffermata sul concetto di “libertà da” (dal bisogno, dai vincoli sociali o culturali, dalle strettoie psicologiche) e “libertà di” (di realizzarsi indipendentemente dalla determinazione biologica, di pensare autonomamente dai paradigmi culturali maschili, di conoscere e dare corso ai nostri desideri, in sostanza libertà d’essere nella propria autenticità).
È quindi passata a ciò che Aida Ribero afferma su donne e politica e, in sostanza, la relazione tra pubblico e privato, raffrontando il suo pensiero con quello di altre due donne che sull’argomento hanno avuto molto da dire: Hannah Arendt e Ada Prospero Marchesini Gobetti – autrice quest’ultima ampiamente indagata dalla relatrice anche nel libro Pam, Croak, Ugh! Ada Gobetti giornalista. Il linguaggio “social” prima dei “social”, del Centro Studi sul Giornalismo Gino Pestelli. «I punti di contatto da me individuati si congiungono in un ripensamento a tutto tondo della categoria del politico. In qualche modo tutte partono da una ridefinizione dell’essere per la vita. Mi viene in mente un intervento di Ada Gobetti, dell’ottobre 1945, al primo congresso nazionale dell’UDI dal titolo Affermare lo spirito materno: la madre donatrice di vita e come tale nemica della guerra che distrugge la vita. Una lettura superficiale potrebbe vedere in queste parole lo stereotipo della donna-madre, procreatrice della specie. In realtà la maternità è consegnata a nuovo paradigma delle relazioni umane, là dove s’intenda ospitalità, accoglimento, capacità di cura, di ascolto e attenzione». Tra l’altro in questo solco s’inseriscono le teologhe femministe con la loro riscoperta del Dio materno – ha precisato Banfo – non giudice vendicativo, padre violento e tiranno, ma il materno dispensatore di grazia gratuita. Colui che ricuce i rapporti di fratellanza e sororità. La maternità assurge a valore per l’umanità nella misura in cui è atto supremo di libertà di accogliere, libertà di dare. «Immaginiamo per un momento se i potenti della terra cominciassero a pensare di essere loro stessi padri e madri di quei figli e di quelle figlie, di quei bambini e bambine, di quei soldati e soldatesse che mandano a morire in guerre – che sono sempre guerre per il potere degli uni sugli altri, guerre di predominio, di supremazia – se cominciassero a ragione in termini di diritto alla vita, di dignità della vita. Sarebbe davvero una svolta epocale. Un nuovo sguardo sul mondo». Filosofare la nascita significa filosofare ciò che inizia, il divenire e l’essere per il nuovo e per il progetto.
Daniela Finocchi e Stefanella Campana, Giulia Giornaliste, hanno quindi ricordato l’attività giornalistica di Aida Ribero e il suo impegno nell’ambito del Coordinamento Giornaliste del Piemonte. La collaborazione con La Stampa, intrapresa nell’ottobre 1970, fu l’inizio di un percorso vivace e proficuo che la giornalista non esitò a volgere a favore delle donne. Scrive Ribero:
La mia collaborazione con La Stampa ebbe inizio a seguito di una telefonata dell’allora vicedirettore Piero Martinotti, che mi sorprese con queste parole: “Ieri sera durante la riunione di redazione del giornale il direttore (Alberto Ronchey) ti ha proposta come collaboratrice”. Rimasi molto stupita. Io? Lo ringraziai ma obiettai subito che non avevo mai esercitato la professione di giornalista e proprio non avrei saputo come svolgere quell’incarico. La sua risposta fu chiara: “Tu sei un’insegnante e sei madre di un bambino, potresti tenere una rubrica sull’educazione dei figli per la ‘Pagina della donna’”. In realtà il motivo di fondo per cui mi veniva fatta quella proposta era la recentissima morte del padre di mio figlio, con il quale convivevo, il che significava che io non avevo diritto alla pensione, quindi, che mi sarei trovata in difficoltà a crescere un figlio facendo conto sul mio esiguo stipendio di insegnante. La proposta di collaborazione era dunque una signorile offerta di aiuto economico. […] Poco tempo dopo, con la nascita del Coordinamento Donne Giornaliste, nel parlare degli esordi di ognuna di noi ci sorprese il fatto che per molte questo fosse stranamente segnato dalla morte di uno stretto famigliare. Donatella Giacotto e Vittoria Doglio, giornaliste professioniste, erano state assunte dai rispettivi giornali in giovane età e dopo la morte del padre, anch’egli giornalista, mentre Marinella Venegoni era orfana di entrambi i genitori. Una coincidenza che allora non esplorammo in profondità alla ricerca della possibile relazione tra questi lutti e le assunzioni, relazione che certo doveva esserci, l’argomento divenne per noi solo oggetto di scherzose battute. Essere insegnante e madre mi autorizzava, dunque, a parlare dall’alto di una competenza pedagogica che in realtà non avevo. Per tenere la mia settimanale rubrica mi affidai sia alla mia esperienza sia alle letture che mi affrettai a fare. Ero comunque ben cosciente del fatto che tale “autorizzazione” proveniva da una cultura che attribuiva alle donne, solo perché tali, una innata capacità di giudizio e di guida per tutto ciò che attiene l’educazione dell’infanzia. Una consapevolezza che, comunque, mi aiutò a diffidare di me stessa, rendendomi più accorta nel trattare i vari argomenti.
Compì così un’azione innovativa all’interno del giornale. Da giornalista, infatti, riuscì gradualmente a introdurre la sua visione “politica” nell’ambito della rubrica Nel mondo dei figli che le era stata affidata. Grazie a lei, i tradizionali argomenti trattati quali la moda, i viaggi, la cucina vennero gradualmente sostituiti da temi quali l’educazione sessuale, la contraccezione, l’aborto, la condizione e il ruolo della donna nella società, aprendo le pagine – come scrive la stessa Ribero nelle riflessioni sul Coordinamento Giornaliste – non solo all’autenticità di pensiero ma anche alla “realtà circostante ormai mutata nei suoi codici civili e in grande fermento sui temi della laicità”.
Stefanella Campana ha quindi illustrato l’attività del Coordinamento delle Giornaliste del Piemonte e della Valle d’Aosta nato a seguito della pubblicazione di un articolo di cronaca sulla morte di una ragazza violentata e uccisa da un giovane ch’ella credeva amico. In quell’articolo, dalla forte connotazione maschilista, il giornalista lasciava chiaramente trapelare gravi insinuazioni sulla moralità della ragazza, rintracciabile, a suo dire, in un diario da lei tenuto. Fu inviata una lettera di protesta al quotidiano La Stampa e occorre sottolineare come fosse quasi inconcepibile allora che i dipendenti prendessero posizione contro il proprio giornale, un’azione che poteva essere anche motivo di licenziamento. Ebbe così fine l’isolamento delle giornaliste che aderirono al gruppo – Vittoria Doglio, Daniela Finocchi, Donatella Giacotto, Anna Rita Merli, Marinella Venegoni – cui si aggiunse, in seguito, anche Stefanella Campana. Le donne che lavoravano nell’informazione si trovavano ad affrontare una crisi di crescita professionale e personale, e all’interno del Coordinamento si lavorava per mettere in discussione tutto: da ciò che tradizionalmente si pensava “facesse notizia” al ruolo di giornalista, dalle esperienze di autogestione al linguaggio. Altro fronte di impegno, non meno significativo, fu quello sindacale. Nel 1978 Marinella Venegoni e Aida Ribero parteciparono, come delegate, al XVII Congresso dei Giornalisti che si tenne a Pescara, dove si trovarono a dover affrontare per la prima volta la malcelata ostilità dei maschi nei confronti delle donne impegnate nei vari coordinamenti regionali, che nel frattempo erano nati in tutta Italia.
Ulteriore grande impegno quello che vide la mobilitazione del Coordinamento per difendere la legge 194 – sulle norme per l’interruzione volontaria della gravidanza e tutela sociale della maternità, approvata nel 1978 – messa in discussione da un referendum abrogativo nel 1981.
«Com’era possibile esprimersi sui quesiti di referendum, uno dei Radicali e uno dei Movimenti per la vita, se non si era adeguatamente informati, se nei media il tema aborto non veniva approfondito nei suoi risvolti drammatici, come gli aborti clandestini e l’assente educazione sessuale? Nel Coordinamento si aprì un acceso dibattito sul da farsi, – ha ricordato Stefanella Campana – fu lanciata l’idea di esprimerci con strumenti mediatici che raggiungessero più facilmente le persone non abituate a informarsi, a leggere i quotidiani». Ecco quindi l’idea di realizzare un fotoromanzo di facile comprensione e un filmato da trasmettere sulle emittenti private che allora cominciavano ad avere un largo seguito, soprattutto tra le casalinghe. Fu quindi realizzato il racconto: la storia di una donna normale, sposata e con figli, alle prese con una maternità non voluta soprattutto per ragioni economiche, che rispecchiava una realtà suffragata dai dati. Un lavoro corale che coinvolse tutte le giornaliste, amiche e amici, professioniste e professionisti che si prestarono gratuitamente per la riuscita dell’opera. Fotoromanzo e video furono utilizzati in molti dibattiti pubblici a Torino e in provincia durante la campagna referendaria e il video fu trasmesso da quindici emittenti private piemontesi. Un contributo importante per far chiarezza, sino all’esito affatto scontato del referendum che vide salva la legge 194.
Si è quindi aperto il dibattito con il pubblico, tra cui erano presenti anche la scrittrice Margherita Giacobino e l’attivista Marcella Campini. Un confronto stimolante che non ha mancato di sottolineare la lungimiranza e l’indubbia modernità del pensiero di Aida Ribero, capace di precorrere i tempi ed essere ancora straordinariamente attuale.