Nòstras raïtz
Scritto da Segreteria il 12 Maggio 2010
Continuiamo a pubblicare i racconti delle ragazze e dei ragazzi del Liceo Gobetti che hanno partecipato insieme alle loro insegnanti Cristina Bracchi e Patrizia Moretti ai laboratori di narrazione e scrittura organizzati dal Concorso Lingua Madre.
Ecco l’ottavo racconto:
Nòstras raïtz
Di Eleonora Leombruni
(Classe III C)
Giovanni è a bordo di una Panda scassata. Sta viaggiando sulla statale. Dov’è diretto questa volta? Frassino, quattro chilometri. Il cartello gli dice che è quasi arrivato. Vede le prime case del paese appena svoltata la curva. Poi scompare dietro un tornante. Sa già tutto. È un comune della Val Varaita (Val Varacho nella lingua del posto) verso il centro della valle, tra Sampeyre e Melle. Cittadina che raccoglie famiglie che un tempo vivevano di pastorizia sui pendii delle montagne, ma che col tempo si sono trasferite in parte nella città. Comprende anche numerose borgate montane sul versante destro e sinistro dei monti. Parcheggia nella piazza centrale, in realtà uno slargo della via principale che percorre tutto il fondo della Valle, ed esce dalla macchina. Si accende una sigaretta e comincia a guardarsi intorno. Proprio quello che si aspettava. Ci sono un bar con un gruppo di anziani seduti fuori a giocare a carte, una tabaccheria e una panetteria, un piccolo negozio di alimentari il cui proprietario, sfaccendato al momento, è sulla porta che osserva un ragazzo che non gli piace molto; c’è una fontana, la sede della “Comunità montana Val Varaita”, e all’inizio di una strada secondaria una macelleria che vende anche “formaggio tipico della valle” come dice il cartello, e poi strade che si diramano per il resto della cittadina. Vede il cartello che indica la strada per la chiesa, poco più in alto: la parrocchia di Santo Stefano.
Prende l’imbocco di una stradina e vede un portone con la targa “Dott. F. Rigoni medico veterinario” e poco più sotto un foglio scritto a mano e appeso con lo scotch che reca la scritta “in malattia”. Gli viene un’idea, fa dietro-front ed entra nel bar. Ordina un bicchiere di vino e si appoggia al bancone a osservare i consumatori. Vicino a lui si accosta un signore a ordinare un caffè, sembra un tipo del posto e ha parcheggiato fuori un banco mobile di quelli del mercato. «Ci si prepara per vendere eh!».
«Già, già, come tutti i sabati, lei vende?».
«No, no, io vengo solo a dare un’occhiata: non posso lasciare troppo soli i miei animali».
«È pastore lei?! Come me?!».
«Già, e vorrei chiederle un favore. Sa mica dirmi se conosce un veterinario a Sampeyre o non so da qualche altra parte, che Franco è in malattia?», non poteva che essere Franco quella F. della targa del veterinario.
«Già è vero che sta male da tre giorni il nostro veterinario, è un vero casino quando lui non c’è». Huff, ha azzeccato il nome, gli è andata di fortuna.
«Che adesso poi basta prendere la macchina e andare nel primo paese vicino» continua il signore. «Ha proprio ragione! Mio nonno se la doveva fare tutta a piedi da Campo Soprano a Melle quando il veterinario era malato o troppo occupato con i borghesi della pianura. E se pioveva mica poteva rimandare, si camminava anche sotto la pioggia!».
«È proprio vero, mica si fatica come una volta. Ma lei è di su?», chiede a Giovanni. «Sì, tutti i miei antenati sono di Champ Soubiran, i miei avi pascolavano e le mie ave facevano formaggi, fino a me e mia moglie, ma non so se i miei figli vorranno rimanere come me lassù. Lei invece?».
«Ah io sono di due borgate più sotto, lei è in alto eh! Boia se si è fatto tardi, devo andare ad aiutare mia moglie, che ci prepariamo per il mercato. Mi passi a trovare, sono il banco più vicino alla chiesa! Mi raccomando. Buona giornata». «Grazie. Buon lavoro e a presto allora».
Ok, il primo passo è fatto, ora c’è da vedere che altre occasioni ci sono in paese.
Camminando sulla via per la chiesa si immedesima bene nel clima della borgata, gli basta poco e già si trova al raduno serale per la “polentata” dopo la festa patronale in ricordo di San Rocco con sfilata in costume tradizionale, a cui ovviamente ha partecipato. Canta con gli altri signori, in perfetto dialetto occitano, bevendo vino del luogo. Le canzoni sono popolari, dei contadini della valle, come lui del resto, e fanno sentire tutti molto uniti e legati dalle stesse tradizioni. Si canta dei pascoli alti e solitari, delle belle contadine e delle feste di paese.
Il giorno seguente va a messa e, uscito dalla chiesa, si ferma col gruppetto dei soliti anzianotti a fumare una sigaretta tutti insieme. Ad un certo punto passa un gruppetto di ragazzini che urlano tra loro. Quando sono vicini al loro gruppo gli anziani commentano ad alta voce in dialetto, tanto mica i giovani li capiranno, mica sanno la loro lingua, che si sentano inferiori ed esclusi!
Il giorno dopo è al ritrovo settimanale dei vecchi malinconici. Si incontrano col pretesto di giocare a carte e poi cominciano a essere molto nostalgici e a raccontare, un pezzo ciascuno, le trafile dei contadini di lì, i vari momenti dell’anno in cui si portavano al pascolo mucche, capre, tori. Si ricordano le difficoltà e le soddisfazioni. Ognuno ricorda una parte della loro storia e tutti insieme formano una sola cosa, un unico grande episodio. Giovanni si lascia trascinare e si sente davvero parte della comunità.
La mattina gironzola per i negozi a scambiare pettegolezzi con le varie signore maldicenti e con i commercianti, che poi riferisce subito alla persona che incontra poco dopo, creandosi un bagaglio di conoscenze sulla gente del paese. Ora conosce proprio tutti. Poi passa a dare una mano al suo amico del mercato che deve sistemare la roba da riportare alla sua baita. Frassino è il centro di ritrovo di tutti i pastori delle borgate superiori, dove la gente di montagna si incontra e si aiuta.
Passano diversi giorni e Giovanni sta bene, si sente sicuro e protetto da questo nucleo di persone simili a lui, accomunate tutte dalla stessa storia, sente di essere nel posto giusto, nella sua casa, non è estraneo e si sente a suo agio. Sente che tutto quello che fa è parte di quelle che i compaesani chiamano “nòstras raïtz”, in dialetto, le nostre radici, le sue.
Le settimane passano tutte sostanzialmente uguali, lente ma comunque piene di eventi ed emozioni.
Una mattina di venerdì si stufa, sale sul suo Land Rover verde e riparte sulla statale. È di nuovo libero, senza legami, senza radici, senza nome, non appartiene a nessun luogo, nessuna comunità, non ha nessuna storia alle spalle, nessuna tradizione, non ha nessuna appartenenza, non deve niente a nessuno perché non è di nessuno, e sulla strada, solo, si gode la sua libertà.
Per ora ha voglia di essere così, ma gli basterà leggere un libro trovato per caso sui pescatori greci e sarà già Petros, il pescatore ellenico che parla con i colleghi pescatori su come pescavano i suoi genitori, oppure sarà Pierre, il borghese francese di una città non molto centrale e frequentata della Francia, appartenente ad un stirpe di sarti illustri che da generazioni appartengono all’Associazione filatori provenzali, oppure sarà Marco, Alberto, sarà prete, giornalaio, sarà inglese, sarà zingaro, e avrà altre radici.
Eleonora Leombruni
Classe III C
Liceo Scientifico Gobetti