Una lingua per abbattere i muri Linguaggi
Scritto da Segreteria il 20 Aprile 2022
Donne che decidono di raccontarsi e scoprirsi in una lingua altra, svelando la parte più schietta e vulnerabile di se stesse. Una scelta che dà origine anche a infinite possibilità di sperimentazione. Racconti che testimoniano come reinventando la lingua si reinventa il mondo. Il desiderio di comunicare opera la trasformazione e risveglia le coscienze.
UNA LINGUA PER ABBATTERE I MURI
di Ghiznele Hami [Marocco]
La prima città che ho visto in Italia è stata Torino. Ci sono arrivata dopo un viaggio di moltissime ore da Rabat… in autobus! Abbiamo attraversato il Marocco, la Spagna e la Francia. Viaggiavo con mia sorella gemella.
Non mi sono fermata a Torino perché abbiamo subito raggiunto Alba dove ci aspettava nostro padre e in cui ho trascorso sette anni. Le difficoltà legate alla lingua sono state molte in quegli anni. Era un’impresa complicata anche solo andare a comprare il pane! Avevo tanta voglia di imparare e andavo a scuola mattino, pomeriggio e sera per imparare la lingua. Sono una persona abbastanza insicura, non riesco a buttarmi come faceva mia sorella che era assai più esuberante. Io dovevo imparare bene prima di poter parlare!
Mio papà era in Italia da sei anni e lavorava come operaio in zona. Ad Alba avevo i miei cugini che sono nati qui e hanno studiato qui. Loro in realtà non sempre avevano voglia di accompagnarci nelle difficoltà quotidiane. Immagino fosse un po’ noioso per loro averci sempre tra i piedi così spaesate! Sembravamo, e a tutti gli effetti lo eravamo, delle bimbe lontane dalla mamma e disorientate. Meno male che eravamo in due e riuscivamo a farci forza.
Ho impiegato tre anni a imparare la lingua. A 18 anni ho iniziato a lavorare in hotel, facevo le pulizie. Qui ho iniziato a imparare le parole della cucina e della casa. Poi sono andata a lavorare dalle suore e con loro sento di aver imparato veramente bene la lingua perché mi hanno guidato nello studio con grande pazienza.
Dal 2004 al 2007 sono rimasta con mia sorella e mio papà. Ad Alba, dove vivevamo, ho conosciuto mio marito che è tunisino. Ci siamo sposati nel 2008 e nello stesso anno mio papà e mia sorella sono tornati in Marocco per sempre. Quell’anno è stato come tornare di nuovo per la prima volta in Italia. Mi sono sentita nuovamente spaesata e sola malgrado la vicinanza di mio marito.
Il matrimonio è stato celebrato in Comune, ma la festa grande è stata a Tunisi dai parenti di mio marito. A questo secondo matrimonio è venuta anche mia mamma che non vedevo da quattro anni. È stata un’emozione fortissima. Nel 2009 sono rimasta incinta della prima bimba: Teinsime. Credevo di aver superato le maggiori difficoltà legate alla lingua, ma frequentare l’ospedale è stata una nuova prova. Il solo semplice fatto di portare la bambina dalla pediatra era fonte di stress per me: non conoscevo le parti del corpo, mi spiegavo a gesti… Certo, anche in questa situazione ho imparato tanto perché per la prima volta ho dovuto confrontarmi con i termini della medicina. Capirli era importantissimo!
Una volta è capitato che a mia figlia facesse male la gola, sono andata dal pediatra e siccome sentivo tutti parlare di tiroide, ho ripetuto la parola al pediatra. Peccato io abbia detto “emorroidi” anziché “tiroide”. Quando ho capito di aver detto una sciocchezza è stato molto imbarazzante. Le parole erano simili e io mi ero confusa. Alla fine, ci siamo capiti per fortuna e l’episodio si è concluso con una risata.
Teinsime è stata sempre una bimba sana. Poi è nato Yassine nel 2012 che ha cambiato completamente la mia vita. Con lui ho imparato davvero il linguaggio specifico della medicina, ne avevo la necessità. A volte scrivevo tante volte la parola che poteva servirmi in modo da arrivare preparata dai medici. Volevo essere capita a tutti i costi.
Quando Yassine è nato sembrava che andasse tutto bene, era un neonato normalissimo. Dopo alcuni mesi, ho iniziato a capire che qualcosa non andava: non stava seduto, non produceva nessun suono…
L’ho portato io dal pediatra malgrado mio marito non fosse d’accordo. Anche mia mamma diceva, per tranquillizzarmi, che i maschi sono più lenti delle femmine nello sviluppo. Lei non era qui con noi, non poteva sapere. Sentivo forte la sua mancanza: avere la mamma vicino in questi momenti è estremamente importante per qualsiasi donna.
Il pediatra ha misurato la circonferenza della testa riscontrando delle anomalie. Da quel momento sono iniziati i nostri viaggi tra Torino e Alba. Da allora sono sette anni che andiamo avanti e indietro con i treni, non importa che ci sia la pioggia, la neve, il freddo o il caldo.
Pensavo di aver imparato molto con Teinsime negli ospedali, ma con Yassine era tutto diverso. Tutto più complicato. Mi sono scoperta nuovamente impreparata. A volte i medici nemmeno mi davano ascolto, facevo perdere loro del tempo. I pregiudizi, poi, portano a pensare che tu sia responsabile di quello che è accaduto.
A volte noto delle differenze nel modo di trattarmi delle persone. A volte mi sento meno ascoltata. Credo sia un comportamento normale, anche se talvolta fa male. Ricordo una volta dopo il parto, condividevo la stanza con una ragazza italiana che al mattino non voleva mai aprire la finestra per cambiare aria, temeva di ammalarsi. Arrivò l’infermiera e disse ad alta voce che bisognava aprire la finestra perché l’aria era cattiva e siccome c’era un’extracomunitaria era necessario farlo più spesso. La ragazza italiana non disse nulla. In quel momento mi è dispiaciuto conoscere l’italiano, avrei voluto non capire.
I pregiudizi purtroppo ci sono anche se parli la lingua, se vesti come la moda occidentale comanda… Io sono fiera di essere marocchina. Rispetto questo Paese, ma vorrei che venisse rispettato anche il mio.
Nel 2018 è arrivata la mia ultima bimba. Prima di lei ho avuto due gravidanze andate male. E in quel momento ho avuto ancora tanto bisogno della mamma. Se avessi potuto avere qui mia mamma sarebbe stato tutto più semplice. Una mamma ti dà coraggio.
Mio marito fa quello che può, ma fatica ad accettare i problemi soprattutto di nostro figlio. Inizia ora a riconoscerli. Le mie battaglie le ho combattute da sola. È stato difficile anche fargli capire la situazione.
Mia sorella gemella si è sposata in Marocco e ha anche lei dei bimbi. Lavorano e hanno una vita tranquilla. Io forse qui ho cose che mia sorella non ha laggiù. Possiamo comprare il necessario per i figli. Mia sorella fa più fatica ma ha l’aiuto della mamma che è impagabile.
Per me mangiare una cena fuori con gli amici è molto difficile così come avere dei momenti con mio marito. Per una donna straniera essere lontana dalla famiglia d’origine è difficile. Avere la famiglia vicina è anche un aiuto morale.
Sono talmente abituata a guardarmi i figli da sola che anche quando torno in Marocco e la mamma vuole aiutarmi guardando i bambini, faccio fatica a lasciarli. Sembra quasi che non mi fidi più della mia famiglia. Riesco a tornare nel mio Paese ogni due anni.
Loro mi percepiscono diversa, mi dicono che sono diventata più dura, forse solo più adulta. Io qui mi sono trasformata in una donna indipendente. Per mia sorella è stato diverso, stare in mezzo alla famiglia ti fa crescere in modo diverso.
Io ho voluto restare qui in Italia perché era stata una mia scelta e dovevo portarla fino in fondo. Se avessi saputo tutte le difficoltà che avrei dovuto affrontare nella vita sarei tornata? Non lo so…
Il futuro che veramente desidero è che i miei figli siano in salute. Queste sono tutte le mie preoccupazioni. Il loro domani lo vedo in Europa, non dico in Italia. Teinsime ha provato a vivere due anni a Tunisi, ma lei si trova bene qui.
Anche mia mamma io la vorrei vicino ma non voglio tornare in Marocco. Ormai ho perso la capacità di stare in mezzo alle persone in Marocco, non ho più le loro abitudini quotidiane. Alcune mi danno addirittura fastidio: il modo di parlare della gente, l’intromettersi nei discorsi senza permesso. Vedo cose strane nel mio Paese anche se è un posto in cui ho vissuto diciassette anni. Anche quando parlo con le amiche del Marocco, che magari non vedo da anni, noto una grande differenza: io mi sono italianizzata.
Anche le nostre tradizioni un po’ le abbiamo perse. Adesso che è Natale cerchiamo di spiegare ai nostri figli perché noi non festeggiamo. Quando festeggiamo per il Ramadan, invece, io cerco di fare capir loro le nostre tradizioni: li vesto con i costumi tipici, li porto in moschea. Ma anche in queste situazioni loro parlano italiano e non arabo, malgrado lo conoscano. Durante le feste tipiche della tradizione senti la famiglia, ti circondi di amici. Io invece ne ho trascorse due da sola e ho pianto perché non era la stessa cosa. Mi sembra quasi che noi qui diamo più valore a queste feste rispetto al Marocco.
Se rifletto sulla mia esperienza sento davvero che ogni posto nuovo in cui sono stata mi ha lasciato qualcosa in più. Spero che i miei figli possano trovare la loro strada in un mondo sempre più accogliente e senza muri.
Il racconto Una lingua per abbattere i muri di Ghiznele Hami è pubblicato in Lingua Madre Duemilaventi – Racconti di donne straniere in Italia (Edizioni SEB27)