I laboratori CLM nelle carceri La testimonianza di Vilma Morillo Leon
Scritto da Segreteria il 16 Febbraio 2008
Vilma Morillo Leon è stata la prima autrice del Concorso Lingua Madre a incontrare le detenute nel carcere Lorusso e Cutugno di Torino, nell’ambito dei laboratori avviati in collaborazione col Ministero della Giustizia. Qui di seguito il suo racconto.
“Da lontano ho visto il penitenziario di Torino e mi è sembrato simile a dei comuni e grandi stabilimenti, un complesso industriale in poche parole! Avvicinandomi a quest’istituzione, mi sembrava molto di più una grande industria. Era come vedere da fuori un’industria dove si lavora con qualcosa di valore, di pregio, come per esempio quella industria che macina le pietre per estrarre l’oro oppure i diamanti. Un’industria che deve essere ben sorvegliata e custodita dai poliziotti armati come vedevo in questo complesso.
Ero fuori dal cancello e aspettavo insieme a mio marito che arrivasse Daniela Finocchi, ideatrice del Concorso Lingua Madre, che mi aveva invitata a parlare con le carcerate delle mie esperienze come straniera in Italia e autrice di un racconto. Tremavo un po’, colpa del mio stato d’animo e del freddo perché era un giorno d’inverno del mese di febbraio e avevo fatto un viaggio in macchina senza riscaldamento. Sarei stata tranquilla, se non avessi saputo che in quegli edifici c’erano uomini e donne galeotti perché sono pericolosi oppure hanno commesso dei reati gravi per la società e stanno pagando le loro condanne.
Guardavo i poliziotti con le mitragliette vicino al gran cancello ed altre persone che prima di entrare dovevano identificarsi con due uomini chiusi in una cabina di fianco al cancello. Abbiamo aspettato per cinque minuti al cancello, finché è arrivata Daniela Finocchi dai grandi occhi del colore delle foglie degli alberi d’estate. Era accompagnata da una ragazza con la faccia di una bambina birichina e che aveva un nome che le era molto appropriato: Alice; il nome della protagonista di una famosa favola per bambini. Alice era stata invitata per leggere alcuni racconti del libro che Daniela dagli occhi smeraldini lucente avrebbe presentato alle carcerate.
Ci siamo salutate e abbiamo scherzato e riso sulle nostre emozioni e come i nostri figli l’hanno presa al sapere che la loro mamma sarebbe andata in prigione. Loro, prima di andare a scuola, con tono burlesco ed ironico avevano cantato: “ La mia mamma va in galera, va in galera ”. Ci siamo scambiati delle domande e pensieri fantasiosi come: e se i miei bambini lo dicono a scuola come una cosa buffa, cosa penserebbero le maestre? Cosa i compagni della scuola riferiranno ai loro genitori? Io invece mi domandavo: e se rimango dentro in carcere per qualcosa d’inesplicabile? Sarebbe un’esperienza interessante da raccontare dopo….Abbiamo riso di tutte queste eventualità fantasiose. Poco dopo sono arrivati i sei giornalisti per completare la nostra comitiva. Erano tre donne e tre uomini della RAI e della stampa di Torino.
La direttrice del penitenziario femminile era arrivata con l’elenco scritto dei nostri nomi che giorni prima aveva ricevuto, per darci il permesso per entrare.
Dopo aver lasciato un documento d’identificazione agli uomini della cabina di controllo, hanno dato ad ognuno un cartellino con la parola “ VISITATORE ” da portare in vista per tutta la permanenza, all’entrata una donna che guardava l’orologio e dopo ho saputo che sarebbe stata la nostra guida per il complesso. Dopo essere passati in una specie di parcheggio, siamo andati ad un edificio e mentre aspettavamo che il guardiano ci aprisse la massiccia porta di ferro, il mio inconscio mi ha fatto avvicinare ad Alice perché non c’era nessuno meglio di lei per entrare insieme e affrontare una nuova esperienza! “ La bambina che seguendo un coniglio che guardava l’orologio lamentandosi che era in ritardo all’appuntamento, lo ha seguito fino all’entrata della tana e senza pensare due volte: se sarebbe riuscita ad uscire dopo, era entrata in un mondo nuovo ed assurdo…e poi era uscita per poi entrare attraverso lo specchio per un’altra avventura fantastica”.
Si è aperta la solida porta e abbiamo dovuto lasciare il nostro cellulare dentro un armadietto custodito e dopo un nuovo controllo dell’elenco dei nomi e dei nostri cartellini di visitatori, ci hanno aperto un’altra porta, siamo uscite. Abbiamo camminato in uno spazio aperto verso un altro edificio e siamo entrati dove c’è stato un altro controllo, abbiamo firmato sul quaderno dei visitatori ed abbiamo dovuto lasciare le nostre borse in un armadietto metallico a lucchetto. A Daniela dagli occhi color smeraldo hanno perquisita la valigetta che conteneva il suo libro e le locandine del Concorso letterario Lingua Madre.
Se uscire o scappare dal carcere non è facile, ugualmente per entrare…
Siamo saliti ed entrati al terzo piano insieme con una bell’agente in uniforme con un neo molto carino sul collo che da lontano sembrava una farfallina che muoveva un pochino le ali per la vibrazione della voce quando l’agente parlava. Alla fine della mia visita le ho domandato se era un neo oppure un tatuaggio a rilievo.
Le carcerate ci aspettavano sedute in una sala poco spaziosa ed allungata. Subito tre prigioniere coprendosi le facce con dei cappelli sono uscite via al vedere i giornalisti che avevano in mano le cineprese e le macchine fotografiche. Una ventina di detenute sono rimaste sedute ma protestavano perché non volevano essere riprese dalle camere televisive. La tensione era notevole, i giornalisti dicevano alle prigioniere che sarebbero state filmate dal collo in giù oppure che avrebbero offuscato il loro viso. Niente, finché, Daniela Finocchi ha presso in mano la situazione chiedendo ai tre giornalisti che avevano le camere di andare in fondo alla sala e di riprendere le carcerate di schiena. Di conseguenza le detenute si sono calmate… Nella sala in piedi c’erano altre due agenti femminili, la direttrice ed una insegnante delle recluse sedute con loro. Molte di queste donne erano straniere e altre avevano l’aspetto di rom, tutte erano vestite in modo semplice, non indossavano nessun’uniforme che potesse identificarle come donne recluse in questa istituzione. Nella prima fila c’erano quattro prigioniere, tre erano italiane e una straniera, tutte e quattro le donne avevano qualcosa di bello: una di loro aveva bei grandi occhi verdi, l’altra dei bei capelli lunghi neri, una bionda ben truccata e femminile che emanava furbizia ed ironia, e la più bella di tutte quattro: era una straniera con la sua carnagione caffelatte e lisci capelli neri, neri come i suoi occhi, indossava una maglia gialla che esaltava di più la sua bellezza esotica.
Alice, le tre giornaliste con blocnotes in mano ed io, ci siamo sedute fronte a questa ventina di detenute. Io osservavo tutto ed ogni tanto mi alzavo per non perdere niente… Notavo che le carcerate erano un po’ eccitate e nervose tanto quanto me! Ha aperto il discorso Daniela Finocchi che questa volta aveva gli occhi come un gatto al buio. Dopo ha parlato la detenuta dai bei lunghi capelli e ha raccontato la sua triste storia di madre. Tuttavia da parte delle recluse emanava una barriera invisibile che separava noi da loro.
Chi mostrava tranquillità era Alice, come nella favola si comportava come una esperta di avventure poco comuni…e poco dopo ha cominciato a leggere e drammatizzare alcuni brani dei tre racconti premiati dell’anno 2007 al Concorso Lingua Madre. Le carcerate hanno ascoltato con molto interesse, si sono stupite per la parte di un brano che raccontava un aborto era durato sette minuti e poi che la donna si era fatto un lungo viaggio fino in Italia e all’arrivo alla “terra di sogno” la aspettava suo padre perché gli cucinasse la cena. Ho notato che una delle detenute era molto triste all’ascoltare la storia di questa infelice… e poi Alice ha cominciato a leggere il mio racconto: come ridevano! Soprattutto la signora che prima era triste. Così la signora dagli occhi smeraldini mi ha presentato come l’autrice di questo racconto. Mi sono alzata e ho fatto un piccolo discorso dove parlavo delle mie esperienze. Alla fine una delle detenute, la bionda della prima fila, mi ha chiesto se mi ero sposata con il fidanzato, cioè con “ il pollo congelato”; quando le ho detto di sì, mi ha detto che congelato non lo era tanto, e tutte abbiamo riso. Si era aperta una crepa nella barriera di ghiaccio fra noi e loro. Alla fine del mio racconto, tutti ridevano: prigioniere, agenti, direttrice. La barriera di ghiaccio era distrutta e io mi sono avvicinata alle carcerate della prima fila; la detenuta dai capelli lunghi che prima era triste, rideva e mi ha baciata su una guancia senza un perché, la bionda e la straniera ridevano e mi domandavano se per scrivere un racconto era necessario raccontare le storie personali; le ho riposto che potevano essere storie inventate e ha fatto loro piacere saperlo. La bionda mi ha chiesto se avessi una gomma da masticare da regalarle ed io le ho regalato la mia scatolina di cicles dicendole di condividerla con le sue compagne.
Ho saputo che le recluse possono studiare per ottenere la licenza media, addirittura gli uomini prigionieri che sono in un altro edificio, possono andare all’università. Ogni recluso può quindi accorgersi di questi benefici, per togliersi via le sue macchie di fronte alla società e tirare fuori il meglio di sé, e splendere come una moneta d’oro. E se la refurtiva non ce l’ha, non importa, sono sicura che troverà lavoro più rapidamente di altri”.