Fascismo tropicale Il Brasile tra estrema destra e Covid-19
Scritto da Segreteria il 14 Dicembre 2020
Disponibile in tutte le librerie e negli store online Fascismo tropicale. Il Brasile tra estrema destra e Covid-19 (Dissensi Editore), il nuovo libro di Claudiléia Lemes Dias, scrittrice, blogger (L’arte di salvarsi) e autrice del Concorso Lingua Madre.
Riportiamo di seguito la quarta di copertina, la prefazione firmata da Daniela Finocchi, ideatrice e responsabile del Concorso, e il booktrailer del volume.
Fascismo tropicale racconta l’avanzare dell’estrema destra in Brasile, l’opera di convincimento delle fasce più deboli, indotte a consegnare la massima carica dello Stato a un uomo politico misogino, omofobo, razzista e anti ambientalista. L’arrivo della pandemia del COVID-19 ha messo in evidenza la totale l’incapacità di un governo composto da personaggi negazionisti, complottisti, difensori dell’immunità di gregge e dell’utilizzo del controverso medicinale clorochina come cura preventiva, di gestire un paese multietnico e disuguale. Il Coronavirus ha colpito soprattutto gli indigeni, i neri e la popolazione povera, come in un macabro coronamento di un progetto politico che sin dalla sua nascita difendeva la sterilizzazione di massa dei cittadini meno abbienti, l’abrogazione delle leggi in materia di protezione ambientale, l’industrializzazione dell’Amazzonia, l’inferiorità delle donne e lo sterminio della popolazione carceraria come elementi indispensabili all’ordine e al progresso scritto nella bandiera nazionale. Si tratta di un ricco mosaico della società brasiliana e delle conseguenze nefaste prodotte dal meticoloso smantellamento delle politiche sociali, sanitarie e ambientali in nome di una idea di sviluppo incompatibile con la tutela dei diritti umani, civili e sostenibilità ambientale.
Prefazione di Daniela Finocchi
“Con la rivoluzione femminile e la conseguente caduta del patriarcato, un ordine che, pur ingabbiandoli in modelli riduttivi di mascolinità, forniva agli uomini puntelli di identità, norme e criteri di autoregolazione, è venuta allo scoperto la precarietà dell’identità maschile così difensivamente costruita – e perciò sempre pronta all’offesa – nella ricerca illusoria di conferme”. Anna Maria Piussi, Per un’altra civiltà dei rapporti, Diotima n.15, 2017/2018
L’imbarbarimento del discorso politico in Brasile affrontato da Claudiléia Lemes Dias in questo volume, non dà origine a un semplice saggio sulla situazione sociale ed economica del Paese, ma accende un faro sulla crisi del sistema patriarcale e tutta la violenza che da questo ne può scaturire. Ecco quindi un maschile tossico che avvelena territori e rapporti sociali, incarnato da Jair Messias Bolsonaro, presidente della nazione dal 2019, che definire autoritario, conservatore e reazionario appare persino riduttivo.
L’autrice, a fronte di dati, comprovate ricerche ed esperienze vissute in prima persona traccia il quadro di una situazione tragica affrontando temi e ambiti diversi: dalla corruzione statale alla distruzione ambientale, dal razzismo (nei confronti di nativi, afrodiscendenti, comunità lgbtq e chiunque possa rientrare in una seppur vaga definizione di “diverso/a”) alla misoginia, senza dimenticare la fallimentare gestione dell’emergenza sanitaria causata dal Covid-19.
Anche la censura praticata nei confronti dell’arte e della cultura è affrontata dettagliatamente in un capitolo dedicato a operatori e operatrici del settore che sono considerati “nemici pubblici” dal governo. Non è certo cosa nuova che i regimi reazionari colpiscano la cultura, ma l’autrice, forte della sua pratica e del mestiere di scrittrice, traccia con particolare efficacia il perché questo accada, consapevole dell’insegnamento e dello sguardo “differente” che le deriva dalle tante scrittrici, madri simboliche della storia delle donne.
“La letteratura può essere portatrice e operatrice di invenzioni, di pratiche di pace, di esercizi di trasformazione e di orientamento per costruire, mentre lo si immagina e lo si racconta, un mondo diverso” spiega Leggere e scrivere per cambiare il mondo. Donne, Letteratura e politica, a cura della Società italiana delle Letterate. La letteratura è davvero capace di salvare una vita o di perderla, e la forza straordinaria di cui è dotata si sprigiona “dal suo non essere altra cosa dalla politica”, e per questo spaventa tanto chi la vuole ammutolire: la letteratura è “un modo forte di stare nel mondo, una grande lezione di democrazia, e una possibilità di affermare la vita anche contro la sua stessa precarietà”.
La letteratura delle donne, in particolare, mette in scena personagge diversamente epiche – tanto per usare altri due termini d’impronta sessuata scaturiti ancora dal lavoro della Sil – che ritroviamo poi tragicamente reali nella disamina di Claudiléia Lemes Dias.
Non sono forse epiche le figure di donne, anche giovanissime, che resistono a una legislazione antiabortista che non ha pietà neanche di fronte a una bambina di dieci anni stuprata da un familiare, che devono confrontarsi con un aumento del 600 per cento della violenza e dei femminicidi in tempo di pandemia, che rischiano la morte solo perché incinte?
Il capitolo “Misoginia e guerra alle donne: oltre le cartoline di Copacabana” è agghiacciante. Per quanto consapevoli del fenomeno, non si può non rimanere sconcertate dai fatti, dalle statistiche, dalle frasi riportate dall’autrice. “Non ti meriti neanche di essere stuprata”, dice Bolsonaro a un’avversaria politica e questo non è che uno degli innumerevoli esempi citati.
Non dovremmo stupirci del resto che un regime autoritario possa dare origine a tanta ferocia: tra tutti i flagelli mondiali, infatti, la violenza contro le donne è il più equamente ripartito, lo si trova in tutti i paesi, in tutti i continenti e presso tutti i gruppi sociali, economici, religiosi e culturali:
“Se avvenisse tra paesi, la chiameremmo guerra. Se si trattasse di una malattia, la definiremmo epidemia; di una perdita di petrolio, lo definiremmo un disastro. Poiché accade alle donne, è solo una faccenda di tutti i giorni. È la violenza alle donne.” (Michael Kaufman, White Ribbon Campaign, dall’edizione italiana Campagna del Fiocco Bianco a cura dell’Associazione Artemisia di Firenze).
Più di un terzo delle donne in tutto il mondo sperimenta la violenza fisica o sessuale nel corso della vita e conosce il proprio assalitore: è l’uomo con cui condivide la casa e la vita. L’aggressività maschile è stata riconosciuta dall’Onu come la prima causa di morte e di invalidità permanente per le donne in tutto il mondo. Il numero delle donne vittime di violenze supera ogni quattro anni quello delle vittime dell’olocausto.
Ma non solo. La violenza contro le donne passa anche attraverso le parole, le immagini, la cultura “neutra” che neutra non è, il diritto “neutro” che neutro non è. Nelle società democratiche, in tutto l’Occidente “progredito e progressista” continua a perpetrarsi la follia di Oreste, la negazione stessa della madre. “La nostra differenza maschile – scrive Lorenzo Coccoli – si annuncia e si situa già alla nascita nella differenza da nostra madre. Eppure cosa resta di questa imprescindibile origine materna all’interno della cultura in cui viviamo? Ben poco, forse nulla. La nostra identità civile sembra anzi costruita sulla sua negazione” (Lorenzo Coccoli, Uomini e madri in Differenza maschile, differenza sessuale, www.diotimafilosofe.it). Quindi come sorprendersi della situazione in atto in un paese dichiaratamente maschilista?
Quando Mary Wollstonecraft pubblicò il pamphlet Sui diritti delle donne il filosofo Thomas Taylor rispose col libretto satirico Rivendicazione dei diritti delle bestie: proprio perché se si voleva concedere diritti alla “parte irrazionale dell’esistente” tanto valeva darli anche agli animali, perché l’Umanità era ovviamente definita dal maschile bianco e razionale e le donne non ne facevano parte.
Labile il confine tra umano e animale, tra naturale e razionale, tra corpo e spirito, quando si tratta di soggettività femminile. “Il guasto all’origine” che vede emergere l’Uomo a discapito di altri e altre, ha favorito rapporti di pura subordinazione e strumentalità nei confronti delle donne e di altri viventi. Anche l’oblio della nostra dipendenza dall’aria, dall’acqua e dall’amore ha origine nel disprezzo dell’opera femminile di mettere al mondo e di provvedere quotidianamente ai bisogni materiali e affettivi della vita. Lo spiega bene l’autrice nel capitolo iniziale dedicato alla distruzione ambientale dei territori brasiliani operata dal regime Bolsonaro e non potrebbe essere altrimenti perché come ci ha insegnato l’ecofemminismo esiste uno stretto rapporto tra la dominazione della natura e lo sfruttamento e l’oppressione delle donne.
Il discorso è globale, perché il mondo è interconnesso, interdipendente. La battaglia per i beni comuni si basa, come sostiene Vandana Shiva, sulla “difesa del pianeta come bene comune” e l’unica strada dovrebbe essere quella di guardare al mondo come a un ambiente domestico di cui prendersi cura, scrive Ina Praetorius. Si può sopravvivere anche su un pianeta infetto per Donna Haraway se “presenti nel mondo in quanto creature mortali interconnesse in una miriade di configurazioni aperte fatte di luoghi, epoche, questioni e significati”, restando a contatto col problema in maniera più seria e vitale così da generare collaborazioni, parentele, combinazioni inaspettate e impreviste per contrastare e superare il disagio (Donna Haraway, Chthulucene – Sopravvivere su un pianeta infetto, Nero Editions).
Invece, come i lupi famelici dell’installazione dell’artista Liu Ruowang, i maschi del regime brasiliano esercitano e moltiplicano i loro atti predatori nei confronti della natura, invadendo sempre più territori, tra distruzione e morte.
Depredare le ricchezze dell’Amazzonia per favorire le multinazionali e le grandi industrie, il disboscamento selvaggio, la vegetazione devastata dagli incendi, la liberalizzazione concessa dal Ministero per l’Ambiente di ben 197 pesticidi e agrotossici (vietati nei Paesi dell’Unione europea e negli Stati Uniti), la guerra messa in atto nei confronti di ONG e volontari non sono che alcune delle azioni governative. Il tutto condotto impunemente, tanto da far dichiarare allo stesso Ministro dell’Ambiente riguardo le seppur blande residue leggi di protezione ambientale: “Ora che stiamo vivendo un momento di tranquillità per quanto riguarda l’attenzione della stampa, che parla soltanto del Covid, possiamo provare a far passare la mandria, cambiare tutte le regole e semplificare le norme.”
A chi spetta una “buona vita”? Judith Butler si interrogava su questo tema pensando soprattutto a una vita degna di lutto, ma lo sono forse quelle delle donne, dei transessuali, delle popolazioni indigene, delle minoranze tutte in Brasile? Ci sono corpi degni di essere pianti e altri che non lo sono nell’ambito di un sistema che definisce il soggetto di diritto in modo prescritto ed escludente.
Lo illustra chiaramente Claudiléia Lemes Dias nel capitolo dedicato alla politica genocida e allo sfruttamento degli indios e delle loro terre. Una politica che non ha scrupoli nel manipolare le diverse etnie dei nativi brasiliani fomentando guerre intestine, nell’illusione del sogno occidentale che li costringe a rifiutare tradizioni e svendere territori. Un vero e proprio genocidio in atto, sbandierato e proclamato a gran voce e senza tema in tanti discorsi pubblici che fanno rabbrividire.
E ancora l’analisi degli attacchi alla stampa, ai partiti oppositori, al sistema accademico brasiliano e la negazione della pandemia da Covid 19 che vengono sviluppati negli altri capitoli del volume mettono a nudo tutto il male del sistema. Un delirio d’onnipotenza dove l’efferatezza non è poi che espressione d’impotenza, di paura a confrontarsi con un cambiamento prima o poi inevitabile, con la crisi inarrestabile del sistema patriarcale.
“In gioco è dunque la difficoltà degli uomini a intraprendere un cammino consapevole di accettazione della propria parzialità nello scambio reale con l’altra, con altro da sé, che li costringerebbe a mettere in discussione la presunta ovvietà di quel fondamento, obbediente e sicuro, fatto di nutrimento, amore, soddisfazione dei bisogni affettivi e vitali, contatto intelligente e sensibile con la realtà, da sempre fornito loro dalle donne” (Anna Maria Piussi, cit.).
Come donne non possiamo che agire per ripensare tutto fin dall’inizio, seguendo l’insegnamento di Ina Praetorius, consce che “il potere non è misura di tutto, come non lo è il denaro o la violenza, e che tutte e tutti abbiamo bisogno di mediazioni simboliche e relazionali in cui trovare sempre di nuovo la nostra voce, il nostro divenire singolare, non in solitudine, ma con gli altri invece che contro o su gli altri” (Anna Maria Piussi, cit.).
L’agire di Claudiléia Lemes Dias è la denuncia del fascismo tropicale. É questo libro.