Un racconto a più voci Il primo elaborato delle detenute che hanno partecipato ai laboratori CLM
Scritto da Segreteria il 16 Febbraio 2008
Torino – Napoli è il titolo del primo racconto collettivo scritto dalle detenute del carcere Lorusso e Cutugno di Torino dove si sono svolti i laboratori narrativi del Concorso Lingua Madre. Ve lo proponiamo con gioia!
“Torino mi è sempre piaciuta, con i suoi parchi, il suo centro storico così a ridosso del fiume e della collina. Leziosa e seria al tempo stesso come il suo barocco, diceva Guido Piovene. La notte, salendo da piazza Emanuele Filiberto, mi piaceva gettarmi tra la folla e i negozi aperti, respirando il profumo di carne alla griglia delle locande che si mischiava all’aroma del tè alla menta e dei dolci al miele del bistrot marocchino. Di giorno il grande mercato di Porta Palazzo mi avvolgeva in un turbine di colori e di voci, con i suoi spacci e i vecchi empori di sementi, i suoi negozietti orientali e le antiche botteghe di cestai. (Guido Piovene, Viaggio in Italia)
Ma Porta Palazzo non era solo questo: c’erano cose meno piacevoli: come i ladri o la droga, spacciata e consumata, e allora me ne andai in via Roma, dove ci sono i negozi, la gente che passeggia, bambini, un ambiente diverso, dove non hai paura di stare come a Porta palazzo.
Passeggiando tranquillamente incontrai un amico d’infanzia, Andrea, ex compagno di classe delle elementari, che non vedevo da tanti anni, da quando mi ero trasferita a Torino da Napoli; ne fui molto contenta.
Andrea era l’aiutante dell’uomo che vende caldarroste all’angolo, un signore anziano e stanco che aveva bisogno d’aiuto. Andrea mi raccontò la sua storia di napoletano venuto a Torino perché a Napoli non si può camminare in mezzo alla strada, sembra ci sia la guerra, si sparano.
(Non che a Torino si stia tanto meglio, ma un po’ sì). Poi aveva incontrato il venditore di caldarroste che voleva aiutarlo.
Il giorno che incontrai Andrea faceva molto freddo, e ci dicemmo che a Napoli si sarebbe stati meglio, ci venne nostalgia della nostra città e parlammo di tornare a Napoli dove alle elementari ci eravamo perfino un po’ innamorati.
Ci dirigemmo verso la stazione per prendere il treno, e dopo aver fatto i biglietti salimmo
Appena usciti dal Piemonte, vicino alla prima stazione ligure, il treno si fermò a lungo, proprio vicino al mare.Un guasto al motore, ci dissero, e allora tutti i passeggeri scesero nell’attesa che riparassero il guasto, col desiderio di fare una passeggiata sulla spiaggia. Il guasto fu presto riparato e quindi risalimmo sul treno, dove ci ritrovammo a chiacchierare con Rita, una signora africana che andava a Napoli per comprare delle scarpe da mandare in Africa, che ci raccontò che in Africa sono le donne che si occupano degli acquisti, che vanno al mercato, ma normalmente non lavorano. Quando suo cognato era andato a trovarli, non poteva sopportare che mentre lei lavorava suo marito si occupasse della casa. Così ci disse, probabilmente aveva bisogno di sfogarsi un po’..
Io e Andrea l’accompagnammo fino al negozio di scarpe, la cui proprietaria si chiamava Gabriella.
Il mio cellulare improvvisamente squillò: era il mio compagno che mi cercava. Ma non risposi: ancora non sapevo se il mio era solo un viaggio oppure una fuga temporanea, o ancora una reale voglia di cambiamento.
Dopo aver salutato Rita andammo a fare la tanto desiderata passeggiata sulla spiaggia per spostarci poi al parco naturale del Cilento, luogo prescelto per decidere se continuare la vita di prima o no.
A Torino non potevo tornare, perché mio marito mi avrebbe ammazzato di botte, e allora rimasi a Napoli, dove aprii un agriturismo. Incontrai poi un altro amico e cominciai una nuova vita, con un nuovo compagno e dei bellissimi bambini”.