L'Uomo: un fantasma si aggira tra noi
Scritto da Segreteria il 19 Giugno 2009
Di Aida Ribero
(Articolo pubblicato su La Pazienza, rassegna dell’Ordine degli avvocati di Torino, dicembre 2008, n.101)
Permettetemi di intervenire sulla questione della denominazione Corte di Strasburgo dei Diritti dell’Uomo, cui la vostra rivista ha dedicato alcune interessanti pagine nella sua recente pubblicazione. Lo faccio come persona che da molti anni dedica la propria attenzione al “pensiero della differenza”.
Innanzitutto mi pongo la domanda: come dobbiamo considerare il termine Uomo nel XXI secolo? Un residuo della filosofia socratica, una variante dell’ “individuo” dell’Illuminismo o del “cittadino” della Rivoluzione francese, uno degli ultimi ancoraggi del patriarcato? Se è così, è sufficiente chiedere un aggiornamento del linguaggio politico occidentale, rimasto fermo per inerzia, pigrizia mentale, affezione archeologica. Se invece il termine Uomo regge su una volontà consapevole, allora proviamo a ragionare sul problema, perché per noi donne è un problema.
Scrive la grande filosofa Hannah Arendt: “La filosofia ha sempre parlato dell’uomo. La filosofia ha definito la politica come il luogo della realizzazione dell’uomo. Ma proprio qui sta l’errore: la politica è il luogo della pluralità degli uomini, non dell’uomo” (Che cos’è la politica). L’uomo nella sua singolarità, nel suo solipsismo cartesiano, nella sua astrazione universale, nel suo essere il significante supremo, non esiste, è un fantasma che si aggira tra noi. Esistono gli uomini e le donne, esiste la pluralità degli esseri viventi, con la propria storia, le proprie esperienze, il proprio corpo, le proprie relazioni.
Ma – si dirà – con il termine Uomo si intendono tutti gli esseri umani, comprese le donne: è semplicemente una convenzione. Tuttavia, nonostante l’apparente buon senso, questa semplificazione non prevede almeno l’alternanza del genere. Se sostituissimo al termine in uso il termine Donna avrebbe la stessa valenza? Non credo, e sarebbe interessante chiederci il perché. Inoltre, per fare una convenzione bisogna essere almeno in due, in questo caso bisogna chiedere alle donne se sono d’accorso. E le donne dicono di no, che non lo sono, perché il termine Uomo è storicamente implicato con la filosofia greca, anzi ne è una derivazione diretta, senza che attraverso i secoli ne sia stato alterato il senso.
Scrive la filosofa Adriana Cavarero: “Il grande Aristotele dice: l’uomo è un animale che è in possesso del logos, e per questo è un animale politico. Allora ecco il luogo di realizzazione dell’identità maschile, che si pone come l’uomo universale” (Il femminile negato). Chiariamo: quando Aristotele dice l’uomo intende proprio il maschio. Perché dice questo? Perché il pensiero “binario”, nato con i filosofi greci – razionale/irrazionale, trascendenza/immanenza, cultura/natura, mente/corpo – ha stabilito che l’uomo appartiene al primo dei due termini, la donna al secondo. Dunque, la donna è fuori dalla storia, dalla filosofia e dalla politica poiché è calata nella materia, nell’immanenza, nell’irrazionale. L’Uomo invece, in quanto possessore del logos ha la titolarità della rappresentanza dell’umanità. Dalla filosofia greca questo pensiero percorre tutta la cultura occidentale sino ai nostri giorni. Facciamo nostre le parole della filosofa Rosi Braidotti: “Ci si è appropriati della ragione, che appartiene a tutta l’umanità, come se fosse un diritto maschile portando così all’esclusione del femminile” (Dissonanze).
Il termine Uomo, dunque, è fortemente impregnato di misoginia e di volontà di potenza. Per Aristotele solo gli uomini, ossia i maschi, generano – tra loro – le idee, che sono immortali. La donna invece genera solo i figli, che sono per loro natura mortali. L’unica possibilità che le donne hanno di apparire sulla scena della polis è relegata alla procreazione, ossia alla sfera della mortalità.
La legge si avvale, dunque, di un linguaggio ben connotato. Ma, dobbiamo aggiungere, fuori dal linguaggio non c’è niente, non ci sono cose vergini, corpi autentici, concetti che non siamo già significati. Per Fiammetta Ricci, citando Aristotele (Etica Nicomachea) “ogni volta che è in gioco il linguaggio, la situazione diviene politica per definizione, perché è il linguaggio che fa dell’uomo un essere politico” poiché “ogni linguaggio sottende una visione del mondo” (I linguaggi del potere). Chi ha stabilito, legittimato e conservato la centralità e l’onnicomprensività del soggetto uomo? Il pensiero della differenza sessuale ha dato questa risposta: è la cultura patriarcale, una cultura che domina la scena filosofica, politica e scientifica da millenni. Con il femminismo abbiamo assistito alla decostruzione di questa cultura: “Non riconoscendosi nella cultura maschile, la donna le toglie l’illusione dell’universalità” è la sintesi di Carla Lonzi, una delle più autorevoli pensatrici europee.
Dunque, assumere il termine uomo come la parte per il tutto, equivale a un atto politico, poiché rimanda a un pensiero destinato a dominare la scena pubblica, in questo caso il diritto. Per questo non possiamo fare a meno di tradurre uomo come colui che è dotato di logos e che, in forza di questa auto rappresentazione, ha espulso la donna dalla scena pubblica.
Ma la parola è azione, anzi è pensiero d’azione, schema di comportamento e regola intersoggettiva. Per questo ritorniamo a parlarne, anche in questa sede, nella speranza che la nostra azione si traduca in un cambiamento capace di accogliere la molteplicità degli esseri umani e, in particolare, la soggettività femminile: si nasce maschio o si nasce femmina. Tra i due soggetti può esserci complementarietà? Sì, se il significato di quest’ultimo termine viene concordato con le donne. Se, invece, per complementarietà si intende che l’uomo agisce nella sfera pubblica e la donna nella sfera privata (divisione dei ruoli) allora no, dal momento che questa complementarietà risulta essere una versione edulcorata dell’asimmetria ancora oggi esistente tra i due sessi, con il maschile posto a controllo del potere e il femminile a custode del focolare.