Appuntamenti

Ricordando Rosetta Rimini e Lidia Pucci Tedeschi Giorno della Memoria 2023

Scritto da Segreteria il 30 Gennaio 2023

Sabato 28 gennaio il Concorso Lingua Madre ha partecipato all’evento in ricordo di Rosetta Rimini e Lidia Pucci Tedeschi in occasione del Giorno della Memoria, organizzato dall’Associazione Piazzetta Verde. Nel corso dell’incontro, letture a cura di Nunzia Scarlato, autrice del Concorso.

L’incontro ha preso avvio a partire dalle pietre di inciampo site in via Aurelio Saffi 13 a Torino. Le “pietre” (in tedesco Stolpersteine) sono opera dell’artista tedesco Gunter Demnig al fine di depositare, nel tessuto urbanistico e sociale delle città europee, una memoria diffusa dei cittadini e delle cittadine ebree deportati e spesso uccisi nei campi di sterminio nazisti. L’intervento artistico e sociale, attuato in diversi paesi europei, consiste nell’incorporare, nel selciato stradale delle città, davanti alle ultime dimore volontarie delle vittime di deportazioni, dei blocchi di pietra con una piastra di ottone sulla faccia superiore che riporta i nomi e i dati anagrafici di nascita, deportazione e morte delle persone che si intende ricordare. Le prime furono depositate nel 1992 e ad oggi vi sono 71 mila pietre in Europa.
Un’opera importante e necessaria, soprattutto in epoca di negazionismo, come è stato ricordato da Giorgio De Francesco cui va il merito di aver inserito e recensito su Google Maps tutte le pietre di inciampo di Torino.

La ricorrenza è stata istituita da una legge del 20/7/2000 e come cita l’articolo n.1 vuole “ricordare la Shoah (sterminio del popolo ebraico), le leggi razziali, la persecuzione italiana dei cittadini ebrei, gli italiani che hanno subìto la deportazione, la prigionia, la morte, nonché coloro che, anche in campi e schieramenti diversi, si sono opposti al progetto di sterminio, ed a rischio della propria vita hanno salvato altre vite e protetto i perseguitati”.

Il male ma anche il bene, quindi, come ha sottolineato Gianfranca Venesio, ricordando il valore dell’azione dei Giusti nel corso di un intervento volto ad approfondire il senso stesso e le prerogative del Giorno della Memoria. “L’ossessivo ricordo a ciò che è stato può risultare paralizzante”, ha detto. Ha quindi spiegato come la memoria debba contemplare uno sguardo al futuro, debba farsi carico di un’elaborazione costruttiva e non distruttiva (che non farebbe che tenere prigioniere dei propri aguzzini quelle persone). La memoria non è solo “conservazione meccanica”, perché questo a lungo andare non farebbe che portare all’indifferenza e alla rimozione. Lo sforzo che coinvolge tutte e tutti è quindi quello di costruire e partecipare a una memoria in grado di ricongiungere passato e futuro, che permetta la conoscenza e l’apertura alla verità, che rimandi alla dimensione affettiva, rinvii alla giustizia, diventando un obbligo morale e un esercizio di resistenza. “Trasformare il ricordo in compito”, per affrontare più consapevolmente anche la contemporaneità. Solo così è possibile scongiurare il rischio che tra qualche anno sui libri di storia ci sia solo una riga dedicata allo stermino degli ebrei, come recentemente paventato dalla senatrice Liliana Segre.

Da qui la lettura di una “biografia poetica” curata dalla stessa Gianfranca Venesio, Lidia e Rosetta:
Buongiorno signori e signore o, meglio, miei vicini di casa. Mi chiamo, o chiamavo, Lidia Tedeschi, ma ero conosciuta con il soprannome di Pucci. Sono nata a Torino il 29 gennaio 1925 – a proposito, domani sarebbe stato il mio compleanno – e abitavo con i miei genitori proprio qui, in via Saffi 13. Eravamo una famiglia di ebrei, mia madre discendeva da ebrei veneziani, era parte dell’antica comunità lagunare.

Quando il governo italiano varò le leggi razziali era il 1938. Io, una ragazzina tredicenne improvvisamente catapultata in una vicenda che non comprendeva. Che cosa vuol dire essere ebrei? Cominciai a chiedermi. Io sono nata a Torino, la mia scuola e le mie compagne sono di Torino, nel mio palazzo ho giocato con bambini che non erano ebrei, ma nessuno se ne accorgeva non c’erano differenze.

Ci fu la guerra, nuovamente una guerra mondiale. La fame e le bombe. La paura. Poi dicevano, l’armistizio, e la speranza che l’incubo finisse e io potessi tornare alla mia vita di sempre. Ma non fu così. Il 27 ottobre 1943 – come dimenticare quel giorno? – uomini delle Brigate nere vennero a prendermi. Mi trascinarono via senza una spiegazione, io giovane diciottenne che voleva vivere, e mi portarono al comando delle S.S. dell’Hotel Nazionale. Già, un hotel, che da luogo che associavo alla comodità e alla vacanza, divenne improvvisamente un luogo di morte. Mia madre Rosetta aveva allora poco più di cinquant’anni, era forte e risoluta. Corse per salvarmi ma fu arrestata con me. Ci pareva di essere dentro un brutto sogno, speravamo che qualcuno intervenisse a liberarci, in fondo eravamo due donne inermi non avevamo ucciso nessuno, eppure…

Ci trasferirono prima nel carcere Le Nuove di Torino, poi un camion ci trasportò lontano, su strade sconquassate dalla guerra, con tanti compagni di viaggio increduli e disperati come noi. Capimmo che eravamo arrivate a Milano, qualcuno ci disse che quello era il carcere di San Vittore. Fummo costrette a entrare. Intanto i giorni passavano e noi non sapevamo che cosa pensare. Iniziò il freddo. Io pensavo alla mia casa calda di via Saffi, alle buone minestre che mia madre mi preparava. Ora mi stringevo a lei senza parlare. Eravamo sempre più piccole, più indifese, con la speranza che lentamente svaniva come sabbia nella clessidra.

Venne il 6 dicembre 1943. Ci caricarono su un treno che portava una sigla, RSHA, che non avevo mai visto. Qualcuno più informato di noi disse che era una sigla tedesca, significava Ufficio Centrale per la Sicurezza. Ma sicurezza di chi?

Poi, cinque giorni dopo, Auschwitz. A scuola avevo studiato Dante e cercavo di immaginarmi come fosse il suo inferno. Ora, qui, avevo trovato il mio inferno. Fecero subito la selezione, un giudizio supremo di umani su altri umani. Mia madre non superò la selezione, morì subito.
Io sopravvissi, ma questo non è un verbo che possa esprimere qualcosa di quel barlume di esistenza che si consumava senza dignità. Una misteriosa fiammella mi conservò, e non so come, in questa specie di vita per molti mesi, fino all’arrivo dei soldati dell’Armata Rossa, i liberatori. Sarebbe stato un bel giorno, un nuovo inizio.

Ma il mio corpo non volle ricominciare, si disfece sotto un dolore disumano.
Ora torno tra voi per un istante, a raccontare la storia mia e di mia madre, noi divenute pietre d’inciampo, pietre di memoria che dicono: mai più.

Alla coinvolgente lettura ha fatto seguito un’altrettanto emozionante recita dell’autrice CLM Nunzia Scarlato. Al centro sue poesie tratte dall’antologia, appena pubblicata, Tutta una vita (Youcanprint, 2023). Un libro che attraversa l’esistenza dell’autrice e quindi la memoria attraverso una dimensione affettiva, momenti troppo dolorosi o troppo felici da poter esprimere, se non in versi.
“Fare memoria”, questo si è condiviso con il pubblico presente all’incontro, concludendo sempre in poesia grazie a Paolo Ragni che ha letto Fuga di morte di Paul Celan, uno dei suoi più famosi componimenti, scritta nel 1954. Un’opera che mette a fuoco la realtà dei campi di concentramento e il comportamento dei soldati nazisti. Ad essi vengono attribuite due facce, da una parte parte (di giorno) rappresentati come aguzzini, mentre dall’altra (di notte) come persone comuni, colme di emozioni.

Grazie all’anafora: “nero latte dell’alba ti beviamo la notte/ti beviamo il meriggio e al mattino/ti beviamo la sera/beviamo e beviamo” si percepisce la continuità di una sofferenza imposta unilateralmente ai deportati condannati a due morti, fisica e spirituale, i cui lamenti sono coperti dalla musica. “La banalità del male”, come scriveva Hannah Arendt, che deve indurci non solo a ricordare ma ad agire e magari riflettere su quegli avvenimenti/persone/fatti di fronte ai quali anche oggi “tiriamo dritti senza farci coinvolgere”, per volgere l’indifferenza in partecipazione, per metterci in relazione con l’Altra/o.

Ecco le foto dell’evento.