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Giornata mondiale del/lla Rifugiato/a 2022 Un brano dal racconto di Chiamaka Sandra Madu

Scritto da Segreteria il 20 Giugno 2022

Il 20 giugno si celebra la Giornata Mondiale del/lla Rifugiato/a, indetta dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite per commemorare l’approvazione, nel 1951, della Convenzione relativa allo statuto dei rifugiati. Il CLM ricorda la Giornata con un brano tratto dal racconto di Chiamaka Sandra Madu (Nigeria), It-aliena. Identità in bilico, pubblicato in Lingua Madre Duemilaventi. Racconti di donne straniere in Italia (Edizioni SEB27).

“Mi chiamo Chiamaka Sandra Madu e vivo una doppia estraneità: non sono né carne né pesce. A volte mi piace fare dell’autoironia per sanare le mie ferite. Come se il ridere per lo stesso motivo potesse avvicinare le persone e renderle uguali. Probabilmente, oggi, piuttosto che creare legami sociali basandosi sulle similitudini fra i condividui si è prediletto l’individuo e i suoi tornaconti personali che permettono di accelerare il mercato.
Sono nata in un paese che non ho mai visto, col sole radiante che risplendeva, il calore ardente che mi riscaldava come per dare l’avvio alla fotosintesi clorofilliana. A pochi mesi da quando mi fu donata la vita, fui strappata via dalle mie radici e portata in Italia dai miei genitori che avevano deciso di immigrarci. Ora qui i miei piedi non smettono mai di sanguinare, ho una ferita che a volte si cicatrizza ma poi ogni tanto si riapre e questo mi impedisce di germogliare.

[…] È come se il dono che ho ricevuto debba essere ricambiato, mi sento come responsabile di tutto ciò che hanno passato quei due, con un cuore grande, gli occhi lungimiranti e la felicità che qui non hanno mai trovato. Sono nata in Nigeria e cresciuta in Italia, paese in cui vivo, dove ho frequentato le scuole primarie, secondarie fino all’attuale università. Nonostante la mia prima lingua sia l’italiano e condivida pienamente tutti i costumi e le abitudini dei miei coetanei, le persone in generale mi identificano solo come un’africana/nigeriana, inoltre anche i miei documenti sono africani, quindi anche per lo Stato non sono italiana.

[…] Il paradosso più bizzarro è che neanche i connazionali della Nigeria mi considerano nigeriana nonostante i miei documenti lo dimostrino, perché io non parlo la loro lingua, non conosco bene le loro tradizioni, la loro cultura e il loro stile di vita. Mi identificano quindi come un’italiana. Il dramma esistenziale è che sono un’estranea ovunque mi trovi, per le persone sono sempre qualcos’altro.
Non sono né carne né pesce, forse sono una verdura. A volte mi piace fare dell’autoironia per sanare le mie ferite.

[…] Sono un romanzo di formazione: ho compiuto una sorta di evoluzione dalla fase iniziale di spaesamento ed estraneità fino alla quasi maturazione della mia identità. Prima di essere italiana o nigeriana, io mi chiamo Madu, un nome che sembra non aver significato per le orecchie altrui, ma che letteralmente si traduce in “essere umano”. Dopo un percorso giurassico, ho ritrovato un ordine, un’identità nel mio nome, in me stessa. Sono prima di tutto un essere umano e non farò più dipendere il mio benessere dalla capacità di accoglienza degli altri, ma accoglierò me stessa: una scelta apolitica, squisitamente etica.

[…] Il mio è un costante percorso non ancora finito. Tra molti anni rileggerò questo racconto e vedrò la mia evoluzione. Ora mi definirei figlia del tempo e dello spazio, per natura un superamento dell’identità nazionale. Io credo che sia il fattore di circostanza a definire ciò che si è. Viene automatico domandarsi quale sia il cortocircuito che bisogna mettere in discussione per facilitare il processo costruttivo delle identità dei meticciati. In questa prospettiva, l’obbiettivo comune è di creare nuovi modelli di convivenza, lavorando sulla formazione di persone, affinché possano comprendere la complessa articolazione del processo costruttivo delle identità dei migranti e delle società di accoglienza, dilatato nel tempo e declinato nello spazio.

Nonostante io sia un ottimo esempio dell’emarginazione, dell’alienazione e del disincanto, mi piace fare dell’autoironia per sanare le mie ferite e oggi i miei piedi non sanguinano; spero che la cicatrice non si riapra.