Linguaggi

Essere in italiano Linguaggi

Scritto da Segreteria il 16 Febbraio 2022

Donne che decidono di raccontarsi e scoprirsi in una lingua altra, svelando la parte più schietta e vulnerabile di se stesse. Una scelta che dà origine anche a infinite possibilità di sperimentazione. Racconti che testimoniano come reinventando la lingua si reinventa il mondo. Il desiderio di comunicare opera la trasformazione e risveglia le coscienze.

ESSERE IN ITALIANO
di Amàlia Lombarte del Castillo [Spagna]

Oggi sono in grado di cogliere il silenzio. Lo ascolto volentieri, seduta di fronte alla finestra.
Con uno sguardo diretto a occhi chiusi, lo vedo viaggiare nel raggio di sole che entra senza chiedere permesso.
La luce cala salutandomi. La quiete rimane, prendendo appuntamento con i miei pensieri che scelgono di parlare in italiano.
Non ho più volontà per cambiare questa scelta.
Inconsapevolmente mi sono arresa ai nuovi suoni, ma di nascosto, sono sempre rimasta leale ai vecchi, degni di ascolto e rispetto e, di sicuro, più esperti.

Dal vuoto al ripartire, dal vuoto al reinventarsi. Il vuoto si può riempire e saggiamente mutare da buio a bussola.

I miei vecchi suoni.
Sempre in testa, liberi, potenti, orgogliosi, e improvvisamente colti di sorpresa, costretti a tacere e a reprimersi. Un tempo partenza e arrivo, ora guida. Tanti come sono scelgono di vagare soli e smarriti nella folla di quanti sono appena arrivati agevolando loro la strada, diventando più fragili, (e perciò forse anche più forti?).
Voglio loro tanto bene. Prima non potevo. È l’italiano che mi ha insegnato.
Li coccolo sempre più che posso, tanto come posso. Prima non potevo. L’Italia mi ha insegnato a farlo.
La lingua è un mare mosso da onde di organza che ognuno cavalca dando e togliendo forma di continuo. Spinta dalle maree sono finita in un altro dominio riservato, abitato da simboli diversi. E immersa in questa nuova vibrazione ho dovuto imparare a essere un’altra persona. Ebbene sì, accade anche questo: scopri di essere in un altro modo.

C’e stata una forte lotta tra il mio io catalano / spagnolo e il mio io italiano.

Ci è voluto del tempo per mollare la presa. Tanta paura di perdere le mie parole, la mia scrittura, le mie espressioni. Tanta resistenza a un tradimento che non lo era affatto; si trattava di un lasciar andare, atto arduo e faticoso, per niente indolore.
Arrendersi al cambiamento, disarmata, confessando la stanchezza, il peso della rimanenza; l’ostinazione nell’illudersi ancora pur di rimanere nell’obsoleto, tanto pregiato quanto avariato. Riconoscendo più bellezza nella nuova pronuncia, più passione. Ma innanzitutto scoprendo in tutto ciò una più vera me stessa, forse.
Sconcertante quando parte in automatico l’intuizione: “Non sono più quella che ero”, oppure “chi credevo di essere”.
Come si fa a nascondere un’affermazione del genere?
Certamente si può. L’inganno sta nel mostrarsi agli sguardi sbagliati, quelli che non sanno o non riescono a vederti, e che forse per caso oppure volutamente sono gli unici che ti circondano.

L’abitudine fa sì che tu non veda. La quotidianità rende meno importanti le cose che lo sono davvero.

Un fonema pare tanto piccolo e privo di senso per chi nasce circondato da questo. Non ci si accorge di quanta potenza contengono i suoni fondamentali, i propri. Il linguaggio è una scintilla capace di risollevarci.
Ogni giorno parliamo e comunichiamo, senza farci caso. Ci pare normale, facile, scontato.
Chi si sofferma a riflettere che cosa si nasconde dietro a questa azione consueta? Io stessa prima di cambiare Paese non mi rendevo conto di quanta elaborazione ci fosse dietro le quinte del dire, né quanto fosse importante saper dire le cose nella maniera giusta.

La lingua è il nutrimento di ogni Paese. Dà sostegno al modo di essere che varia da luogo a luogo.

Prendiamo l’italiano: è un canto di sirene. Allunga e stende le parole per poi farle cadere con morbidezza in un materasso di gommapiuma dove rimbalzano di nuovo, dileguandosi leggere. E ammaliato da questo piroettare non avverti neanche il furto della parola: non c’è più, è sparita.
L’italiano è un giocoliere, anche dei suoni. Resterà sempre fedele alla sua arte e alla sua commedia, perennemente in conflitto tra Arlecchino e Brighella. Lui è così, tanto sciocco come arguto, tanto furbo come ingenuo ed è davvero bello, forse la lingua più attraente e seducente che esista.
Ma, ahimè! Come figlio di commedia tende a sdrammatizzare tutti i suoi valori, e perciò a volte diventa tragedia.

Come fare a non rimanere coinvolto di questa sinfonia? Come fare a non essere vittima di questo incantesimo?

La lingua è musica e a ogni ritmo corrispondono movimenti diversi. Conoscerla vuole dire imparare a danzare con le idee e i pensieri nel modo più armonioso possibile, calarsi in un processo creativo che offre la possibilità di reinventarsi o ricomporsi. Arrangiamento che giunge al suo apice con un assolo interpretato dall’istinto e dall’improvvisazione. Non c’è un altro modo d’eseguire questa composizione che può concludersi in consonanza o dissonanza.
Sin da giovane ho amato questo idioma. Non saprei dire di preciso che cosa mi abbia attirato. Ma il suo è stato un richiamo forte, tanto da rimanere insieme ai miei risvegli e ormai anche ai miei sogni. Tanto da fare amicizia con i miei pensieri, tanto da farmi anche litigare con loro; e tanto da farmi dubitare da quelli che avevo.

Se io fossi rimasta a Barcellona, questo mucchio di lettere, frasi e pensieri neppure esisterebbero.

Non le avrei mai scritte queste parole, non così. Parole che nascono della mia esperienza italiana, dall’influenza che in me ha avuto questo allegorico idioma. Non posso affermare che la mia vita da italiana sia stata come la volevo, ma di sicuro mi ha arricchita.
Il distacco dalla mia terra ha portato allo scoperto amarezza e afflizione. La distanza è una sorta di palla di cristallo che acconsente di vedere realtà a cui da vicino sarebbe impossibile rivolgere lo sguardo. Certi dolori fanno troppo male e trovano il loro antidoto solo nella lontananza.

Questo è un mio modo di ringraziare il Paese dello stivale, dove un giorno arrivai credendo di “essere” soltanto in castigliano e catalano e dove sto scoprendo di “essere” anche in italiano.

 

Racconto pubblicato in Lingua Madre Duemiladiciotto – Racconti di donne straniere in Italia (Edizioni SEB27)

Illustrazione tratta dalla fotografia “It-aliena” di Chamaka Sandra Madu, selezionata per il Premio Speciale Fondazione Sandretto Re Rebaudengo alla XV Edizione del Concorso Lingua Madre.